Una profezia di Ernst Jünger
di Natalino Irti
Ora il corpo è diventato un’entità che è possibile produrre
Pubblichiamo la sintesi di una conferenza sul bio-diritto tenuta da Natalino Irti all’Università di San Paolo del Brasile
Il diritto non può starsene più entro gli antichi termini e accogliere dal di fuori il nascere e morire. La giuridificazione del bios è inevitabile. La vita, nella sua elementare fisicità e corporeità, esige regole, fa appello alla decisione politica, varca impetuosa i confini del diritto. Non un giurista (i giuristi vanno con passo grave e lento), ma un sensibilissimo sismografo dell’età nostra, Ernst Jünger, già nel 1981 vedeva nelle nuove forme di procreazione «sintomi di una svolta del mondo», e annotava: «Le leggi possono soltanto agire da barriera o scavare un letto alla corrente. Ma che cosa sono mai le leggi quando una nuova formazione proietta la sua ombra?». «Agire da barriera» o «scavare un letto alla corrente»: l’alternativa di Jünger implica, nell’uno e nell’altro modo, che il diritto prenda posizione, e dunque che assuma la vita, il nascere e il morire, come cosa propria, come eventi non ricevuti dall’esterno, ma previsti e disciplinati da norme. Non più appartenenti all’ordine spontaneo della natura, ma all’ordine artificiale del diritto. I codici civili si restringevano ai «momenti» del nascere e del morire, del venir, la «persona», dal nulla e del tornare al nulla. I problemi posti dalla bio-tecnica sospingono il diritto sui termini estremi, sui confini già tenuti per invalicabili. I modi del nascere e i modi del morire diventano materia di diritto, e acquistano la necessaria rigidità di forme giuridiche. Questo ha di proprio il diritto: che, nell’atto di toccare esperienze di studio o di vita, le converte in forme, in quei modelli astratti e generali, che solo permettono di dominare l’irripetibile varietà delle cose e di protendersi verso il futuro. Giuridificazione significa riduzione in forme. Questo è il punto, in cui bio-tecnica e bio-diritto si ritrovano nello stesso e identico orizzonte. Se l’una assume il corpo in fisica oggettività, l’altro ne considera modi e forme, anch’essi oggettivi, distaccati dalle singole e irripetibili individualità. Il processo di oggettivazione è comune ad ambedue le potenze, alle immani energie che mirano a governare le cose e gli uomini. Il corpo, nel suo nascere e morire, nel suo durare in vita, non è questo o quel corpo, il mio o il tuo, ma il corpo in sé, nella sua calcolabile e manipolabile oggettività. Non più l’individuo intero, corpo e pensiero, fisicità e spiritualità, ma la res extensa, una materia sperimentabile e regolabile, su cui si esercita, in un modo o nell’altro, la volontà dell’uomo. Il nascere e il morire diventano così eventi calcolabili: dalla razionalità scientifica, che ne segue e determina lo sviluppo; dalla razionalità giuridica, che, superati gli antichi confini, li converte in forme astratte, in modelli di azioni e schemi generali, Il corpo non è più la dimora di qualcos’altro, abitata per breve ora e poi lasciata verso altri regni: è il tutto della scienza, ed è il tutto del diritto. La rottura con la tradizione, la discontinuità dei tempi, ha note di tragedia. Il nascere, che era un pro-venire, un giungere dal passato e affacciarsi, passando dall’oggi, verso il futuro, è ormai un evento tecnologico. Il mistero è risolto, si conosce tutto prima; e prima è tutto interrompibile, correggibile, manipolabile. La bio-tecnica priva di significato il padre e la madre, o, meglio, li riveste di un significato in-naturale, che nulla ha da vedere con l’antico rapporto di filiazione. Ciò che sembrava impensabile è accaduto: non c’è più un diritto di conoscere il proprio padre o la propria madre. Ambedue possono rimanere ignoti, eppure il nato avrà un padre e una madre, che non saranno più naturali, ma determinati dall’artificialità del diritto, da un diverso criterio d’imputazione del figlio ai genitori. È che eventi soffusi di mistero - vita, corpo, nascere, morire - sono ormai dissacrati e ridotti a calcolata oggettività. Essi non ci vengono più dati dal di fuori e dall’alto (da qualcosa che chiamavamo divinità o destino), ma sono da noi prodotti: non li troviamo, ma li facciamo. Questa insaziata volontà di produrre si è estesa dalle cose agli uomini, riconducendo il corpo tra le cose fattibili. Un piccolo classico della filosofia stoica, il Manuale di Epitteto, si apre con la distinzione fra «le cose che dipendono da noi e quelle che non ne dipendono». Il corpo è elencato in quelle cose, che - come volge, in elegantissimo latino, Angelo Poliziano - «nostra opera non sunt». Ma la tecnica ha rotto la rigidità di questa antitesi, e fatto del corpo un nostrum opus, una cosa producibile. Anch’esso dipende da noi. Il diritto non può starsene come un curioso spettatore, né delegare ad altre potenze la guida degli uomini. I tempi esigono una presa di posizione. La scelta fra «agire da barriera» o «scavare un letto alla corrente» è affidata alla responsabilità politico-giuridica: non c’è alcun criterio di ferma e immutabile verità. Si accendono, intorno a queste domande, conflitti di fedi religiose, di ideologie, di visioni del mondo. Nessuno è in grado di scorgere il futuro.
«Corriere della Sera» del 29 maggio 2007
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