04 luglio 2007

In un Paese non del tutto pacificato

Giornata della memoria
di Giorgio Ferrari
Il 9 maggio di ventinove anni fa cadeva assassinato Aldo Moro. Il suo corpo - autentica e tragica icona degli anni di piombo - veniva fatto trovare in via Caetani a Roma, riverso all'interno del portabagagli di un'automobile.
Chi ha vissuto quei momenti non li dimenticherà mai più. Non a caso il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha personalmente incoraggiato l'iter parlamentare che ha portato all'istituzione di un Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo, fissato proprio per il 9 maggio e che verrà celebrato a partire dall'anno prossimo, quando saranno trent'anni da che lo statista democristiano e gli uomini della sua scorta sono caduti sotto il piombo delle Brigate rosse.
Coincidenza opportuna, questo 9 maggio, perché cade lo stesso giorno in cui si festeggia la Giornata dell'Europa. E, come dice Napolitano, «il terrorismo rappresentò una pagina tragica della storia del nostro Paese e dell'Europa». Ma in queste parole - assolutamente condivisibili - si rivela in filigrana quell'incompiuta conciliazione con il passato che affligge l'Italia, unica nazione europea insieme forse alla Spagna dell'Eta ad avere ancora conti in sospeso con il terrorismo.
Perché il conto da noi, purtroppo, è ancora aperto, la ferita non completamente rimarginata, il giudizio politico su quegli anni e sulle vittime non ancora rasserenato dalla prospettiva storica e per almeno due ragioni, una politico-ideologica, l'altra legata alla cronaca recente. Vediamole.
La condanna del terrorismo in Italia non è unanime. Esistono zone grigie, settori opachi delegittimati dalla politica ma attivi nel sottosuolo di un antagonismo in bilico fra il nichilismo ottocentesco e vaghe ideologie insurrezionaliste che creano e alimentano un bacino di coltura in cui il terrorismo degli anni di piombo - al netto delle sigle, siano esse le Nuove Br piuttosto che altre fantasiose etichette di matrice paracomunista - è in grado di riemergere e di rinascere. Perché morto certamente non lo è, complici - non ci stanchiamo di ripeterlo - cattivi maestri il cui arco intellettuale spazia dalle vette ermetiche di Toni Negri ai borborigmi confusi di Oreste Scalzone fino alla iattanza di un fuoriuscito famigerato come Cesare Battisti, che varie volte si è pubblicamente vantato del suo passato di lotta armata. Cattiva scuola e cattivo proselitismo. E cattiva figura di una Francia - quella di Mitterrand - che per decenni, per un discutibile e malinteso sberleffo alla legalità internazionale, ha protetto e vezzeggiato i terroristi di casa nostra.
E qui veniamo alla seconda ragione che in parte avvelena il civile ricordo delle vittime del terrorismo: il fatto cioé che l'elenco di queste vittime non è terminato con Bachelet, Alessandrini, Casalegno, Tobagi, Coco, Moro, Rossa, Tarantelli per citare i più famosi, ma tragicamente prosegue con le vittime dei giorni nostri - Biagi, D'Antona, Petri - e dei loro assassini, Nadia Desdemona Lioce, Marco Galesi, senza contare gli arresti dei mesi scorsi e la costante scoperta di cellule insurrezionaliste pronte a colpire.
A testimonianza che insieme al ricordo e al cordoglio dobbiamo tuttora conservare - e non ci pare un segno rassicurante - la guardia alta.
«Avvenire» del 10 maggio 2007

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