16 luglio 2007

Il sacco della verità

Il crollo dell’impero romano d’Oriente raccontato dai musulmani, un esempio di parzialità ideologica
di Luciano Canfora
Presa islamica di Costantinopoli, storia scritta dai vincitori
Con quale velocità decadono gli imperi? La domanda è più che mai attuale. Basti pensare che, al di là del vocio di sottofondo rappresentato dalle raffigurazioni ideologiche (l’età dei liberalismi, l’età dei socialismi etc.), la vicenda storica sin qui conosciuta non è che un succedersi, alternarsi, e scontrarsi, di imperi e di aspirazioni imperiali. Il Novecento fu funestato dalla spinta del mondo tedesco a ridisegnare la mappa della suddivisione del mondo tra gli imperi più antichi e consolidati. L’impero russo fu penalizzato alla fine del Novecento ma probabilmente è in ripresa, mentre quello americano, dopo aver raggiunto il vertice del predominio mondiale, nell’anno stesso in cui ha avuto inizio il nuovo secolo, ha incominciato a scricchiolare. La storia ci insegna che non c’è mai stato un unico impero, anche quando si è data una tale illusione: i romani sapevano che oltre i confini non più dilatabili del loro impero c’erano altri, e questi altri ad un certo punto si mossero. Anche oggi vediamo gli Stati, persino i più solidi, intaccati da un’onda continua e capillare di movimenti di popoli. Non sarebbe sorto il muro voluto dagli Usa al confine col Messico, se il problema non fosse vieppiù preoccupante. L’impero romano d’Occidente si formò (quand’era guidato ancora dall’oligarchia dirigente della città-stato) con la vittoria su Annibale e poi sulla Macedonia, e durò sette secoli, fino alla metà circa del V secolo d.C. L’impero d’Oriente visse un altro millennio: forse è il più longevo impero che la storia ricordi. Finì quando la «città di Costantino» fu espugnata dai turchi del grande e illuminato Maometto II, il quale però si proponeva di continuare l’impero che aveva conquistato. E lo storico che narrò le sue gesta, tra cui la presa di Costantinopoli, fu un greco, Michele Critobulo, che scrisse in stile tucidideo l’epopea del nuovo sovrano. Quell’epopea fu narrata anche da storici turchi: Tursun Bey è il più celebre, ed opportunamente la nuova collana mondadoriana «Islamica» ne offre una fresca e ben prefata traduzione. Così il lettore moderno può rendersi direttamente conto dell’elementarità (per non dire banalità divagante) di tale narrazione, ben al di sotto del livello della storiografia di matrice greca anche nei suoi prodotti meno riusciti. Valga per tutti un esempio. Si tratta del resoconto della conquista della fortezza di Costantinopoli: «Presa la fortezza con l’aiuto di Dio e ridotto il nemico inerme all’impotenza, i musulmani si lanciarono a briglia sciolta e, come l’occhio rapace, qual turco razziatore, saccheggia la regione del cuore e dell’anima, con passo intrepido allungarono le mani a razziare e a saccheggiare. Da ogni abitazione, il cui tetto somiglia a Saturno e i cui piani ricordano le sfere dei cieli, da dentro letti intessuti d’oro e da dietro cortine gemmate, spinsero nella strada e nei mercati giovinetti greci e franchi, russi e ungheresi, cinesi e tartari, insomma tirarono per quei capelli, simili ai ciuffi degli idoli, ogni genere di amabili creature: giovinetti rubacuori e schiavi belli come la luna. Di natura gentile, di lineamenti paradisiaci, pronti al servizio fasciati di cintura come luna nei Gemelli; slanciati di statura, dalla guancia di rosa, crederesti che sull’alberello di cipresso una fresca rosa sia sbocciata; dalle sopracciglia arcuate, come due pezzetti di muschio (...). E fanciulle simili a stelle: dalle natiche di rosa selvatica, dalle guance di gelsomino, dai ricci di violetta e dalla statura di cipresso; dal viso di sole, dalla fronte di luna, dalla natura di Venere, dal fare civettuolo di Marte, dai lineamenti di Giove, dalla cintura simile a Orione, dalle sopracciglia come Sagittario, dalla ciocca della Vergine, dalla figura dei Pesci, dall’incedere di pavone, dalla rossa gota, crederesti sia candida rosa tinta dal sangue; dai seni prosperosi, li crederesti due melegrane acerbe su vassoio d’argento; dagli occhi languidi, il suo sguardo è ammaliatore, anzi, assassino; dalle palpebre bistrate, crederesti sia occhio della gazzella di Hotana; dalle gambe formose...». Nel racconto del sacco di Costantinopoli non si fa cenno a distruzioni di libri - che pure ci furono in misura non minore che nel 1204 ad opera dei crociati -, forse perché l’argomento non interessa per nulla al narratore, preso da entusiasmo per l’ampio pascolo sessuale offerto dalla conquista. L’altro motivo di eccitazione per Tursun è l’oro che fu depredato in quantità ingenti: «Oro e argento furono acquistati al prezzo del rame e dello stagno. In questo modo - commenta -, grazie a quelle cose preziose, molte persone si elevarono dalla più profonda povertà a una straordinaria ricchezza. In breve, gli infedeli, gli uomini che marciano sulla via dell’errore, caddero nella rovina, mentre l’esercito del sultano, meglio ancora l’intero mondo abitato, proprio grazie ai loro preziosi tesori, ai loro fanciulli, ai loro gioielli e ai loro ricchi ornamenti assunse l’aspetto del paradiso». Il resoconto dei vincitori è sempre unilaterale e talvolta anche irritante. In questo caso è molto utile sul piano storiografico, poiché sulla fine di Costantinopoli pesa, sul piano della «mitologia storiografica», l’effetto della cattiva coscienza del mondo cristiano. Le potenze dell’epoca nulla fecero per salvare Bisanzio, ma lucrarono emotivamente sulla sua caduta per rinfocolare l’odio contro gli «infedeli» e contro gli ortodossi, raffigurati per lo più come infidi e ingrati. Insomma la vicenda del 1453 è davvero, da ogni punto di vista, una pagina capitale nella storia della Realpolitik. Ma questo non ci indurrà a scivolare nell’illusione ottica di assumere come verità quella dei conquistatori. Audiatur et altera pars («Si ascolti anche l’altra parte») non dovrà significare che la verità ce la fornisce l’altera pars. Sarebbe un procedimento poco critico. E non è, credo, lo spirito della neonata collana mondadoriana «Islamica» di cui questa Conquista di Costantinopoli (ma il volume contiene molto altro) di Tursun Bey è il secondo titolo. Un recentissimo libro di Bat Ye’or (Eurabia. Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita, Lindau editore) descrive, anche se in toni molto aspri, un meccanismo mentale che in alcuni ambienti si sta producendo, il bamboleggiamento estetizzante nei confronti di ciò che viene dall’Islam: una forma di anti-illuminismo estetizzante che non giova alla conoscenza, ma rischia semmai di sostituire un dogmatismo ad un altro. Benemerita è invece l’opera di conoscenza e di allargamento della documentazione se sorretta da spirito critico e non confessionale. Il subentrare sulle sponde del Bosforo, all’ultimo imperatore bizantino, di un dinasta turco il quale assunse subito il nome di «Cesare» è un evento epocale nella storia degli equilibri di potenza, nonostante il peso ridottissimo dell’ormai larvale impero d’Oriente. È di lì che incomincia la lunga e complicata partita tra «terza Roma» (Mosca), impero ottomano ormai padrone della «seconda Roma» (Bisanzio) e le grandi potenze europee occidentali. Una orwelliana partita a tre, che ancora oggi prosegue con la disputa assai poco teorica sull’allargamento in direzione di Ankara, anziché di Mosca, della «Comunità Europea».
Il libro di Tursun Bey «La conquista di Costantinopoli» (pagine 336, 16), edito da Mondadori nella collana «Islamica», racconta la caduta dell’impero romano d’Oriente dal punto di vista dei vincitori turchi e in particolare del sultano Maometto II. Invece «Eurabia» di Bat Ye’or (Lindau, pagine 410, 24) è una denuncia dell’attuale arrendevolezza europea di fronte all’atteggiamento aggressivo del mondo musulmano.
La città di Costantinopoli divenne capitale dell’impero romano nel 330 d. C.
Costantinopoli fu espugnata nel 1453 dalle truppe dell’impero ottomano
«Corriere della sera» del 13 giugno 2007

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