14 luglio 2007

Fondi ai trans, il triste reality di Casa Prodi

di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
C’era una volta il socialismo reale. Già, c’era una volta: perché oggi, anche nelle regioni comuniste doc, bisogna accontentarsi del socialismo relativista. Tanto che la rossissima Regione Toscana ha destinato 150mila euro del Fondo sociale europeo alla creazione di carte di credito riservate a transessuali e transgender in cerca di lavoro. Roba da far drizzare tutti i peli della barba del povero Carlo Marx.
Benvenuti nel cosiddetto «Paese normale» che i post comunisti e i post cattolici dell’Unione promettevano da tempo. Dopo rapida gestazione ecco qua uno dei tanti figli in provetta prodotti dal matrimonio fra marxisti senza marxismo e cattolici senza cattolicesimo, per i quali il concetto di normalità dipende dalla moda.
Questo, rapidamente, il fatto: l’Unione europea stanzia da alcuni anni dei fondi per promuovere lo svolgimento di corsi professionali per i nostri ragazzi. Corsi che, quando sono ben progettati e ben realizzati, insegnano davvero un mestiere e introducono nel mondo del lavoro i giovani. Così la rossissima Regione Toscana ha pensato di inventarsi con quei fondi una carta prepagata di 2.500 euro procapite da spendere in due anni, utilizzabile solo per frequentare corsi di formazione. Bene, diranno molti. Però, c’è un però: la carta è riservata a coloro che esibiscano un certificato del servizio sanitario con la diagnosi di «disturbo di identità di genere».
«La somma è modesta, l’idea è grande» commenta trionfalmente un comunicato dell’ufficio stampa della rossissima Regione Toscana, che aggiunge per la precisione: «Non è però il primo esperimento che si tenta in Toscana in questo settore. Nel centro per l’impiego di Pistoia si era già iniziato ad utilizzare la carta per permettere ai trans di studiare ed aggiornarsi per poi trovare un canale d’ingresso in un’azienda, un ufficio, un ospedale, un luogo in cui costruire un futuro e dei rapporti umani e professionali senza sentirsi emarginati, strani, diversi, osservati».
Se qualcuno pensa di essere finito su Scherzi a parte si svegli. Questo è un episodio, e nemmeno l’ultimo purtroppo, di «Casa Prodi», il reality show più triste e veritiero della Seconda Repubblica. L’idea brillante, questa volta, è venuta all’assessore al Lavoro, il democratico di sinistra Gianfranco Simoncini, che spiega come il sussidio sia «diretto alle fasce deboli del mercato e non c’è dubbio che quella dei trans lo sia. Vogliamo dare a queste persone una concreta opportunità di fare una vita normale, evitando che l’isolamento le spinga a prostituirsi per riuscire a guadagnare dei soldi. Dobbiamo toglierle dal marciapiede».
E i cattolici che pure fanno parte di quella maggioranza di governo? Non pervenuti. Tace il vicepresidente Federico Gelli, già presidente provinciale delle Acli. Ma tace pure il sito della diocesi di Firenze, che non dà la notizia né la commenta in alcun modo. E pure quello del settimanale cattolico Toscana Oggi.
Questo è il «Paese normale» che l’esercito della salvezza progressista vuole confezionare per il nostro futuro, trasformando i famosi «diritti civili» in veri e propri servizi garantiti e pagati dallo Stato. Ci vogliono traghettare in un territorio dell’assurdo che è al di là del bene e del male, ben oltre il confronto atavico fra destra e sinistra. Perché non ci vuole la tessera di un partito particolare, o una fede religiosa specifica, per certificare l’insensatezza, per non dir di peggio, di un provvedimento così sgangherato. È dunque questo il tragicomico epilogo di quello che una volta fu il glorioso partito dei proletari: i deboli mica sono gli handicappati, o le mamme con tre figli, o gli anziani. Abbandonata la prole al suo destino, lo Stato sociale si rivolge a nuove categorie meritevoli della mano compassionevole dell’autorità.
E tutto questo scialo di denaro pubblico, perché? Per strizzare l’occhio alla «diversità» e assumere come modello culturale la nuova ideologia del «genere», secondo la quale «maschile» e «femminile» non sono più dei dati oggettivi, che la biologia ci mette davanti senza possibilità di equivoco. «Maschio» e «femmina» sarebbero solo delle «categorie culturali», che devono essere superate dalla libera determinazione del singolo. Dai post-comunisti siamo approdati ai trans-comunisti. E adesso chi va a spiegarlo ai compagni in qualche Casa del popolo un po’ fuori mano?
Ma questa iniziativa del centrosinistra toscano un merito in fondo ce l’ha: dimostra che il confronto politico dei prossimi anni passa lungo la linea delle scelte di valore. Il centrodestra ha vinto nelle competizioni locali perché è visto dalla gente comune, giustamente, come interprete della sana, banalissima, normalità. E tanto più si imporrà quanto più si confermerà alternativo al socialismo relativista di questa sinistra nichilista. C’è un elettorato normalmente borghese - tanto disprezzato dalle élite culturali «de sinistra» e dai cattolici adulti - che su certi valori non tollera tradimenti. Non ama le amministrazioni che buttano via 290 milioni delle vecchie lire per destinarli alla «categoria socialmente debole dei trans».
«Il Giornale» del 9 giugno 2007

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