14 luglio 2007

Eugenio Corti: neorealismo letterario

di F.A. Morlion
Se il neorealismo cinematografico degli italiani ha fatto la conquista del mondo, non è per ragioni superficiali di una più brutale tecnica documentaria, ma per ragioni di una spiritualità più umana e più profonda della produzione corrente.
Una delle prove di questa affermazione è il fatto che la medesima freschezza d’animo in tempi di maggior stanchezza, ha prodotto opere della stessa ispirazione nel campo della letteratura. Mi limito per oggi ad analizzare un solo esempio: il libro I più non ritornano di Eugenio Corti (prima edizione 1947, terza ed. 1948 – Garzanti).

Definire i termini
Prima di parlare del neorealismo letterario dobbiamo definire i termini, soprattutto in questo caso, perché il neorealismo è divenuto una pentola in cui ogni critico getta la sua interpretazione. La distinzione fondamentale dell’arte si fa secondo un principio filosofico: la classificazione dell’arte in due categorie secondo la relazione specificamente diversa tra l’ispirazione (il tema centrale) e i mezzi espressivi.
L’artista ha la prerogativa di essere partecipe dell’opera di creazione e può dunque creare dei mondi nuovi con esseri che sono più tipi, incarnazione, di un’idea che individui presi nel mondo esterno. In questo caso l’artista sfugge alla realtà banale creando un mondo di fantasia, vivendo nel suo sogno, espressione indiretta, ma vera delle realtà spirituali umane. Questa categoria d’arte costituisce la grande linea che va da Omero a Virgilio, a Dante, Cervantes, Shakespeare, Dostojevski, Kafka, cineasti quali Kaspli, Clair, Capra, pittori De Chirico, Max Ernist, Kandinsky, e deve chiamarsi l’irrealismo in quanto la materia dell’opera artistica è costituita di elementi immaginari e non di elementi reali. Ma l’artista può anche prendere come materia òa semplice realtà quotidiana, un fatto di cronaca, un movimento sociale e riprenderlo nell’opera d’arte con una tale intensità che la realtà vista diviene espressione d’un profondo segreto spirituale, di una scoperta delle sorgenti sopra psicologiche della vita umana.
Quest’altra categoria d’arte costituisce la grande linea che va da Tacito e Flavius Josephus a Verga, Gogol, Doebli, Proust, Dos Passos, e cineasti quali il primo Vidor, il primo Ford, Pabst, Turovkin, Renoir e tutta la scuola italiana Rossellini, De Sica, Castellani, a volte Blasetti, Lattuada, De Sanctis, ecc. senza dimenticare pittori quali Grosz, Kollowiz, (scuola Neue Sachlichkeit) ecc.

Entrare nella realtà dell'opera
Il libro di Eugenio Corti è una espressione letteraria dello stesso movimento d’anima che ha fatto il successo meritato della scuola neorealista cinematografica italiana. Il libro è un semplice diario di 20 giorni di accerchiamento russo nell’inverno 1942-43, scritto da un Tenente dell’esercito italiano. Lo stile stesso del libro è lo stile di cronaca, l’annotazione di fatti accaduti, semplice e senza nessun ornamento letterario. I fatti sono brutali: fatti degli uomini che hanno superato i limiti della resistenza umana, fatti delle mille maniere di morire: di fame, di freddo, di pazzia, di tradimento, di bestialità, di odio…
Il Corti ha spinto la tecnica realista del racconto fino alle logiche applicazioni della verità artistica che è anche umiltà, non rifuggendo dalla necessità di raccontare anche le proprie viltà, nell’abbandono di un compagno, nella distruzione dei propri gradi, dei documenti e immagini sacre e reliquie “che la Madre m’aveva dato alla partenza… non potevo tenere la mente sul pensiero che presto sarei stato un morto, come non si può tenere la mano su una stufa troppo calda”.
Man mano che prosegue il racconto spogliato, con brevi frasi, quasi “telegrafico”, comincia a vivere in noi la stessa terribile realtà, l’esperienza degli abissi della miseria, del freddo, della morte. E precisamente perché entriamo nella realtà di questi giorni smisurati, entriamo nel vero della vita umana che tocca l’infinito come una cosa reale. C’è l’infinita tenerezza del cuore umano che delicatamente, ma ineluttabilmente attinge in pieno orrore alla grande unità sopranazionale della famiglia umana: “Un ragazzo russo…, ridotto a un pezzo di ghiaccio… il viso grassoccio rivolto al cielo con gli occhi aperti e resi di cristallo dal gelo… pareva lanciasse un grido di estrema protesta contro l’umana mostruosità della guerra. E in lui mi parve di vedere tutto il popolo russo, che da tanti anni soffre di dolori senza nome. Povero piccolo soldato russo!”.

Ed in mezzo a tutto questo c’è la presenza suprema, la realtà delle realtà: Dio.
“Ci riunimmo tutti nella nostra casetta a recitare il Rosario come le sere precedenti. Anche i pochissimi che erano stati increduli: e non per confusa paura. In quei giorni si sentiva il Soprannaturale così vicino al Naturale, che volerne negare l’esistenza sarebbe stato come il voler negare l’esistenza di cose materiali e presenti: della neve fuori, e del nostro fuoco che scoppiettava sordamente dandoci nostalgia d’un po’ di pace, e di noi stessi”.
Il libro di Corti è cristiano non perché egli si sia sforzato di provare una tesi, ma perché il suo documento è completo, una onesta e intensa sintesi di tutto il vissuto umano in cui entra Dio come punto d’arrivo del pensiero che cammina nel buio: “Ero stanco fino alla morte. Nel viola del cielo si inseguivano lucenti pallottole traccianti. In quel cielo c’era Dio: io ero muto e grigio davanti a Lui”.

Un italiano per il mondo
I critici in Italia hanno paragonato Corti a Remarque, Steinbeck, Hemingway, hanno parlato di un libro destinato a vincere il tempo. E’ vero e la ragione precisa è questa: c’è in questo libro tutta la realtà di 28 giorni spaventosi e c’è di più: c’è la visione del senso eterno degli avvenimenti: “Non era assolutamente possibile che cose immani come quelle che stavamo vivendo, dipendessero dalla volontà di alcuni uomini. Erano castighi all’intera Umanità, quelli. Solo Dio può castigare l’umanità. Così si spiega la guerra. Anche se noi fossimo arrivati a salvarci, un giorrno, e avessimo raccontato agli altri, e specie ai responsabili, cosa è la guerra, le guerre in futuro, contro ogni umana logica, ci sarebbero state lo stesso. Anche in passato, come avrebbe potuto l’uomo arrivare a volere la guerra, se gli fosse stato possibile non volerla? Così perché essa non venga, bisogna che gli uomini non se ne rendano colpevoli innanzi a Dio”.
Il libro di Corti è un libro non meno espressivo della vera Italia dei film neorealisti che fanno parlare dell’Italia al mondo intero.
Questo libro ed altri della stessa vena dovrebbero trovare all’estero lo stesso successo internazionale dovuto ad un paese che sta riprendendo un posto centrale nella cultura universale.
«L’Ora dell'Azione» del 30 dicembre 1948

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