Dopo oltre mezzo secolo esce dagli archivi di Washington il testo con il quale il poeta contestò l’accusa di aver rinnegato l’America
di Ezra Pound
«Ho finanziato il duce e criticato gli Usa, ma non sono traditore»
Il mio nome completo è Ezra Loomis Pound. Sono cittadino americano. Non ho mai rinunciato alla cittadinanza americana. Sono nato a Hailey, Idaho, Usa, il 30 ottobre 1885. Ho vissuto negli Stati Uniti fino al 1908, quando mi sono trasferito a Londra, dove ho vissuto fino al 1920, lavorando come scrittore. Dal 1920 al 1924 ho vissuto a Parigi, dove ho composto l’opera Villon, e ho scritto recensioni di arte e musica. Nel 1924 mi sono trasferito a Rapallo, dove ho vissuto fino al maggio del 1944. Mi sono quindi trasferito a Sant’Ambrogio di Rapallo 60, mio attuale indirizzo. Durante il mio soggiorno in Europa sono stato spesso in Italia e, dopo l’ultima guerra, ho notato il rinnovamento del Paese attuato dal fascismo. Mia moglie ed io abbiamo comprato 25.000 lire a testa di Buoni del Littorio... Il mio scopo era dare a Mussolini un «giusto contributo», sostenendo il suo buon lavoro. Verso il 1929 ho avuto un’udienza con Mussolini, che conosceva il mio libro Cavalcanti, che gli avevo donato l’anno precedente. Voleva che gli parlassi del libro. Nel 1929 circa ho rilasciato un’intervista a Francesco Monotti del giornale «Lavoro Fascista». In quest’intervista ho detto che l’Inghilterra era morta e lasciava i cadaveri in strada; che la Francia era morta ma aveva avuto la decenza di seppellire i morti; che l’Italia era l’unico fra questi tre Paesi dove vi fosse qualche vitalità. Nel 1935 è stato pubblicato il mio libro Jefferson e Mussolini, in cui affermavo che il fascismo era il New Deal di Mussolini per l’Italia e contrapponevo il suo metodo a quello di Jefferson. Nel 1939 ho preso contatto con il ministero della Cultura Popolare, durante un viaggio a Roma. In quell’occasione ho incontrato il ministro Pavolini. Gli ho consegnato cinque proposte... Il punto che più lo interessava era il quinto, in cui suggerivo di parlare dalla radio agli americani, per illustrare il buon lavoro che Mussolini aveva fatto in Italia. Nella primavera del 1940 sono stato invitato dal signor Interlandi, e poi dal signor Paresce, ad andare a Roma per discutere la mia proposta e ho chiesto se potevo parlare agli americani e agli inglesi... Mi sono state concesse due trasmissioni alla settimana destinate agli Stati Uniti e una alla settimana all’Inghilterra... Ho cominciato a parlare alla radio verso l’estate del 1940. Ho sempre cercato di avere più tempo per poter trasmettere le mie idee... All’inizio, per un periodo molto breve, ho parlato alla radio in diretta, ma una volta, nel 1940, alla fine del mio discorso ho fatto considerazioni che non erano state scritte... Dopo quell’incidente mi è stato ordinato di registrare gli interventi su un disco, ed era poi questo disco ad essere trasmesso... Alcune delle trasmissioni di cui ho parlato erano fatte a mio nome. Iniziavo dicendo «Europe calling - Ezra Pound speaking», qui l’Europa, parla Ezra Pound. Nel 1942 ho inventato un personaggio chiamato «Imperialista americano»... Smisi di lavorare all’Eiar perché Badoglio mi cacciò. Tuttavia tra luglio e settembre 1943 ho mandato al principe Ranieri di San Faustino, del ministero della Cultura Popolare, quattro o cinque testi sotto il nome di «Piero Mazda». Lui li ha fatti trasmettere. (...) Nell’autunno ‘43 alcuni fascisti formarono un nuovo partito nell’Italia settentrionale, Alessandro Pavolini assunse la carica di segretario del nuovo partito, che divenne poi il governo fascista repubblicano. Più tardi scrissi a Pavolini e lui mi invitò ad andare al Nord, se ci riuscivo, e io accettai. A Salò non ho potuto vedere Pavolini, ma ho visto Fernando Mezzasoma, che era diventato ministro della Cultura Popolare... Mezzasoma mi ha lasciato andare a Milano, poiché gli ho detto che anche se l’Italia cadeva io dovevo continuare la mia personale propaganda economica, sul rispetto cioè della clausola sulla moneta della Costituzione degli Stati Uniti, per la quale mio nonno aveva combattuto nel 1878, dicendo le stesse cose che dicevo io. Sono andato a Milano... e ho trovato che la radio fascista repubblicana funzionava male, con pochi uomini onesti che volevano una stazione radio e altri arroganti che la sabotavano, nessuno libero dal controllo tedesco... A Roma avevo incontrato un certo Carl Goedel, della sezione inglese dell’Eiar nel 1942 e ‘43. Ho incontrato Goedel di nuovo a Milano... Ho rifiutato di trasmettere rivolgendomi alle truppe americane e non mi è stata fatta nessuna pressione... Da maggio a settembre del 1944 ho mandato dei pezzi alla radio fascista repubblicana... Quando volevo che il mio nome risultasse o fosse usato, scrivevo i pezzi in forma di interviste con me stesso... Verso il settembre 1944 ho cominciato a inviare dei pezzi brevi a Goedel. I pezzi mandati a Goedel e quelli inviati a Milano... seguivano le stesse linee dei miei discorsi radio del 1942 e 1943... Ho mandato il mio ultimo pezzo tre settimane fa... Non ho mai sentito i pezzi che ho inviato a Goedel. L’ultima cosa che mi è stata detta è stata: «Goedel usa la tua roba a modo suo»... Credo di aver avuto buone ragioni nel continuare a criticare il presidente Roosevelt dopo che gli Stati Uniti, nel dicembre 1941, sono entrati in guerra. Ammetto che nelle mie trasmissioni del 1942 e ‘43 all’Eiar ho accusato i finanzieri internazionali di New York e di altre parti del mondo di aver complottato per trascinare gli Stati Uniti nella guerra attuale... L’impero britannico era un vero schifo. Non sono mai stato membro del partito fascista, ma ho fatto, a volte, il saluto fascista. Dopo che il governo fascista italiano ha dichiarato guerra contro gli Stati Uniti, ho detto nei miei discorsi che gli Usa si stavano mettendo in un mare di debiti e che dovevano subito uscire dalla guerra. Stavo creando un precedente a favore della libertà di parola. Penso che i miei discorsi facessero male ai peggiori nemici degli Usa... Ammetto di aver detto, nei miei discorsi radiofonici dopo l’8 dicembre 1941, che il presidente Roosevelt doveva essere visitato da uno psichiatra perché sembrava lottare contro influssi di tipo ipnotico. Nell’autunno 1943 (...) ho preso contatti con Pellegrini, che era ministro delle Finanze, e gli ho presentato il mio piano per il finanziamento del nuovo governo. Ho suggerito a Mezzasoma di presentare agli italiani libri come «Banker’s Conspiracy» di Kitson o «L’imperialismo» di Lenin... Gli accordi in base ai quali parlavo alla radio erano che non mi fosse chiesto di dire nulla di contrario alla mia coscienza o ai miei doveri di cittadino americano. Lo si disse più di una volta in trasmissione, dando anche una definizione piuttosto forzata di fascismo, in cui si sosteneva che la cosa era in accordo con i princìpi fascisti secondo i quali doveva esservi libera espressione per le opinioni di chi era qualificato ad avere un’opinione. Mi sono sempre opposto a certe «zone grigie» dell’opportunismo fascista, definendo il fascismo in modo da adattarlo alle mie opinioni. Questo atteggiamento è chiamato «linguaggio esopico» da un politico eminente come Lenin... Sono disposto a ritornare negli Stati Uniti e a subire un processo per l’accusa di tradimento nei confronti degli Stati Uniti...
(Traduzione di Maria Sepa)
«Corriere della sera» dell’8 giugno 2007
«Corriere della sera» dell’8 giugno 2007
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