Un dibattito sul libro di Andrea Colombo che sostiene l’innocenza di Fioravanti e Mambro
di Antonio Carioti
«Un caso davvero mostruoso»: non usa mezzi termini Paolo Mieli, direttore del Corriere della Sera, per definire le inchieste e i processi che hanno portato alla condanna di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, il più cruento episodio terroristico (ben 85 morti) che abbia funestato l’Italia repubblicana. A suo avviso si tratta di una vicenda figlia del condizionamento culturale per cui le stragi in Italia dovevano essere necessariamente «di chiara marca fascista», a prescindere dai dati di fatto: a Bologna, secondo Mieli, si è partiti dalla certezza che gli estremisti di destra Fioravanti e Mambro, già responsabili di gravi delitti, fossero colpevoli e poi si sono interpretati tutti gli elementi emersi per confermare il teorema di partenza. È appunto questa la tesi sostenuta nel libro di Andrea Colombo Storia nera (Cairo editore, pp. 367, 17), presentato ieri a Milano, presso la sala Buzzati del Corriere, dallo stesso Mieli, dai magistrati Rosario Priore e Otello Lupacchini, dal giornalista di Panorama Giovanni Fasanella. Colombo, ex cronista del manifesto, è un uomo di idee opposte rispetto ai due terroristi di cui parla il suo saggio, ma si è convinto della loro innocenza per Bologna, spiega, a partire dai dubbi che gli sorsero quando vide con quanta rabbia e disperazione la Mambro respingeva l’addebito: «Dopo aver commesso tanti crimini per dimostrare che eravamo diversi dagli stragisti di destra collusi con lo Stato - diceva - non sopportiamo di essere accusati di aver messo una bomba in una stazione con l’aiuto dei servizi segreti». Tutti gli intervenuti al dibattito, moderato da Dino Messina, hanno denunciato la fragilità dell’impianto accusatorio che ha portato alla condanna definitiva di Fioravanti e Mambro. Ma resta il problema di attribuire una matrice all’eccidio. Priore suggerisce di guardare allo scenario internazionale. Lupacchini richiama l’attenzione sulla figura equivoca del criminologo Aldo Semerari, uscito troppo presto dalle indagini sulla strage. Fasanella evoca i condizionamenti della ragion di Stato. Per Mieli invece l’errore è consistito nel guardare all’indietro, ai conflitti del Novecento incentrati sul fascismo, mentre già dalla fine degli anni Sessanta si era attivato il focolaio terroristico mediorientale, culla delle convulsioni che agitano il secolo appena iniziato.
«Corriere della sera» del 15 giugno 2007
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