16 luglio 2007

Elie Wiesel: le religioni e l’ombra del Male

Il premio Nobel per la pace, domani alla Milanesiana, contro le ideologie totalitarie di ieri e oggi
di Elie Wiesel
«Cristiani, ebrei, musulmani: ormai nel nome di tutti i credo i fanatici guadagnano terreno»
Cercare di descrivere l’Assoluto significa sminuirlo o tradirlo. Come l’amore, si può essere pro o contro, ma non parlarne dall’esterno. Il linguaggio dell’amore può essere ingannevole proprio come quello dell’Assoluto (...). In linea di principio, l’Assoluto offre visioni ai mistici e terrorizza i pensatori, che raramente sanno come affrontarlo: come si fa a parlare dell’Assoluto in termini assoluti? Per il credente, Dio è assoluto. Malgrado il suo comportamento apparentemente paradossale, che sembra essere al tempo stesso misericordioso e giusto, inflessibile e caritatevole? Sì, malgrado questo, malgrado tutto. Dio si può permettere di essere assoluto nella sua essenza e relativo nei suoi atteggiamenti. Di conseguenza, per dirla con Kafka, è possibile parlare con Dio ma non di Dio. Il rabbino Eliézer Hakalir, un grande poeta liturgico dell’antichità, dice da qualche parte: Hou yedatif, heyitif - Se conoscessi Dio, sarei Dio. In altre parole: la conoscenza, in questo caso, non significa solo possesso ma anche identificazione. Ambizione forse troppo grande? (...). Nel romanzo La peste, Camus solleva una domanda interessante: si può essere santi senza Dio? Possiamo forse spostare il suo interrogativo nella direzione che ci interessa in questo momento: la ricerca dell’Assoluto è concepibile senza Dio? (...) Un tentativo del genere è stato fatto nel secolo scorso, segnato e ferito da due ideologie, due movimenti totalitari: il nazismo da una parte, il comunismo dall’altra, entrambi guidati da personaggi che l’avidità di potere assoluto aveva privato della capacità di raziocinio, Hitler e Stalin. Avendo conquistato la totalità del potere decisionale, essendo arrivati a invadere tutti gli ambiti della vita pubblica e privata dei loro rispettivi Paesi, l’obiettivo dei due dittatori era quello di cambiare non solo il mondo ma anche la condizione umana in sé. Per entrambi, qualsiasi decisione doveva essere, e in effetti lo era, definitiva, irrevocabile. Sottoposto alla medesima autorità, l’Assoluto diventava allo stesso tempo fine e mezzo, governando senza pietà a Berlino e a Mosca e non solo, in ogni Stato, provincia, città, villaggio. Il minimo gesto di opposizione o malcontento, la più semplice esitazione volevano dire il carcere, la tortura, la morte. Era forse, il loro, un Assoluto privo di Dio? Era un Assoluto concepito e messo in pratica da uomini che pensavano di essere Dio e che, dunque, tutto fosse loro permesso. Ciascuno, a suo modo, poteva contare sul sostegno entusiastico di milioni di sudditi appartenenti a tutte le sfere del Paese. Come ci spieghiamo questo, oggi? Con il loro attaccamento a un ideale? A un ideale qualsiasi, necessario se non indispensabile per il singolo, anche se quell’ideale - per la sua natura violenta e criminale, totalmente violenta, sanguinosa e criminale - è destinato a provocare una catastrofe giudicata irreparabile dai milioni di persone che ne furono vittime? Perché non ammetterlo? All’epoca, l’umanità si è dimostrata capace di raggiungere il male assoluto, mentre il bene assoluto restava inafferrabile. Erano i giorni e le lunghe notti in cui l’impossibile diventava possibile, l’impensabile diventava la norma. Fu fondato un universo parallelo al nostro, una creazione simile, o forse opposta, alla nostra, con le sue classi sociali, i suoi principi e i suoi mendicanti, profeti e schiavi, invenzioni e costumi, filosofia e linguaggio. In quei Paesi venivano violate, corrotte, le leggi stesse della natura: il cieco potere del più giovane e umile soldato delle SS era più grande di quello delle centinaia e centinaia di poeti e scienziati che aveva di fronte. A costoro era proibito guardarlo negli occhi: non si guarda negli occhi Dio, o la Morte, impunemente. Vestito con la sua uniforme nera, il soldato era la personificazione di un indiscusso diritto di vita o di morte. E l’uccisore di innocenti e dei figli di innocenti non si sentiva nemmeno colpevole. Oh sì, in quei tempi bui abbiamo imparato che c’erano migliaia di modi per morire, ma pochissimi per vivere mantenendo la fede nell’Assoluto. Oh sì, l’Assoluto stesso aveva perso il suo significato umano e la sua vocazione divina. Perché, quando l’Assoluto si trasformava in potere assoluto, diventava la negazione della libertà e il nemico di chi, la libertà, voleva difenderla. Era inevitabile. L’Assoluto finisce per chiudersi a chiave dall’interno. Non può respirare, accanto a chi mette in dubbio la sua legge. Soffoca i sogni e diventa efferato, dunque pericoloso. Questo valeva allora. E adesso? Stiamo forse assistendo a un ritorno della inesorabile ricerca dell’Assoluto? Sì, in tutte le religioni di oggi in cui gli estremisti guadagnano terreno in numero e forza. Lo so: dentro di voi, il pensiero va all’Islam, ma l’Islam non è il solo a sedurre fanatici. Il cattolicesimo ha i suoi, così come il protestantesimo e l’ebraismo. Fu un giovane fanatico ebreo ad assassinare il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Per quanto riguarda l’Islam, lungi da me l’intenzione di condannare un’intera religione - non ho mai creduto nelle colpe collettive - ma mi sento in dovere di denunciare la nuova ondata di nemici dell’umanità, i terroristi kamikaze, che rappresentano una minaccia per la civiltà (...). Sostengono di agire in nome della loro religione e si considerano martiri. Ma tanto la tradizione giudaica quanto quella cristiana ci insegnano che un vero martire non è qualcuno che uccide per Dio, ma qualcuno che muore per Dio. Chiunque pretenda di commettere omicidi in nome di Dio lo trasforma nel complice di un omicidio. L’Inquisizione non ha certo dato lustro alla Chiesa. Ricordate le parole rivolte da Giordano Bruno ai propri giudici in Campo de’Fiori a Roma: forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla (...). La ricerca dell’Assoluto può essere proficua anche se rimane vana? A questa domanda io risponderei di sì: sì, a patto che rimanga vana. L’Assoluto è plausibile come sfida, nel senso platonico del termine. È quando raggiunge il proprio obiettivo che la ricerca si trasforma in una minaccia (...). Io credo nella validità e nella forza delle domande, mentre diffido di coloro che sostengono di aver trovato le risposte. Sono fanatici. Rifiutando il fanatismo in tutte le sue forme, chiedo che mi venga riconosciuto un piccolo diritto, già celebrato da Erasmo e Montaigne: il diritto del dubbio. E un altro, che lo precede di secoli e secoli, plasmato e illustrato dai grandi maestri del Talmud di Gerusalemme e di Babilonia: il diritto di entrare in dialogo. È solo quando fallisce il linguaggio che emerge la violenza. E allora ce ne vergogniamo, e proviamo rimorso. Come si combatte l’Assoluto? Il suo opposto non è né il nichilismo né un altro assoluto. È il prepotente bisogno dell’uomo di restare umano persino in circostanze disumane. E il riconoscere nell’«altro» non un essere inferiore o un nemico, ma un proprio simile e un alleato. Solo una persona come me può gettarmi nella disperazione; e solo una persona come me può trasformare la mia disperazione in speranza.
(Traduzione di Carlo Prosperi © Elie Wiesel, per gentile concessione di Luigi Bernabò Associates)
Questo articolo è tratto dall’inedito che Elie Wiesel leggerà domani al Teatro dal Verme, all’incontro su «L’assoluto di Israele» cui parteciperà anche Bernard-Henri Lévy, nell’ambito della Milanesiana. Ieri la manifestazione ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi e promossa dalla Provincia di Milano ha avuto due momenti importanti. La mattina, a cura della Fondazione Corriere della Sera, nella Sala Buzzati, dopo un saluto del presidente della Rcs Piergaetano Marchetti, dibattito sulla libertà dell’arte con Michael Cunningham, Andres Serrano e Ivan Cotroneo. La sera al dal Verme discorso del Nobel V. S. Naipaul e concerto di Michele Campanella. Oggi alle 12 in Sala Buzzati protagonista dell’aperitivo con l’autore V. S. Naipaul. Questa sera al Dal Verme, introdotto dal direttore del «Sole 24 ore», Ferruccio de Bortoli, il premio Nobel Orhan Pamuk.
«Corriere della sera» del 26 giugno 2007

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