Intervista esclusiva a Jack Kevorkian, appena scarcerato, che si prepara ad una nuova crociata
di Alessandra Farkas
«Morire è un diritto, le leggi migliori sono quelle europee»
«Continuerò a predicare la legalizzazione del suicidio assistito finché campo. La mia crociata fallirà, ma mi resta un motivo per vivere». Pallido ed emaciato a causa dei gravi problemi di salute che l’affliggono da anni - tra cui diabete, epatite C, pressione alta, vertigini e arteriosclerosi - il «Dottor Morte» Jack Kevorkian sembra impermeabile alla pioggia di critiche, alcune violentissime, che hanno accompagnato la sua scarcerazione dalla prigione di Lakeland, in Michigan. Il controverso patologo americano, attivista per il diritto all’eutanasia, era stato condannato nel 1999 per omicidio di secondo grado, dopo aver aiutato almeno 130 malati terminali a morire. Avrebbe dovuto scontare una pena da 10 a 25 anni di carcere - per aver somministrato una iniezione letale, ripresa dalla tv, ad un 52enne affetto dal morbo di Lou Gehrig, detta anche Sclerosi laterale amiotrofica - ma le autorità hanno acconsentito al rilascio anticipato, per «buona condotta». Oggi Kevorkian non fa un passo senza il suo avvocato ed è corteggiato dai produttori di Hollywood, che vorrebbero girare un film sulla sua vicenda. Il «New York Times» la definisce «uno showman arrogante e drogato di pubblicità», i gruppi per la difesa dei diritti civili degli handicappati l’accusano di voler sterminare i disabili; persino le associazioni pro-eutanasia sostengono che ha danneggiato la loro causa. «Sono vittima dei media, che si alleano sempre con i tiranni, mai con la gente della strada, qui in America al 92 per cento pro-eutanasia. I padri fondatori della Patria, Thomas Jefferson, James Madison e Benjamin Franklin, lo sapevano già». Alcuni hanno ironizzato sul fatto che, nonostante le abbiano dato un anno di vita, d’eutanasia lei non vuol proprio saperne. «L’ho detto tante volte: io non ho paura di morire. E non l’ho mai avuta». Continuerà ad aiutare altri a morire? «Soltanto ed esclusivamente con mezzi legali. Le autorità mi hanno concesso due anni di libertà vigilata. Ma ad una condizione: non violare più la legge aiutando i malati terminali a morire. Ho intenzione di rispettare i patti anche dopo i due anni». Perché ha deciso di farlo? «Che vantaggio ne trarrei, se non rischiare di tornare dietro le sbarre? Non ne vale la pena. Adesso tocca alla gente lottare per i propri diritti. Sanciti dalla costituzione». Di quale costituzione parla? «Quella americana. In prigione ho avuto modo di studiarla a fondo, scoprendo così la mia nuova missione, più universale della prima: la lotta per i nostri diritti naturali, consacrati dai padri fondatori ma calpestati da decenni di dispotismo bipartisan e abrogati da leggi inique. Anche l’eutanasia è contemplata dal 9° emendamento della nostra costituzione». Non tutti la pensano come lei. «Già. Per questo girerò l’America, predicando e istruendo i giovani. Esortandoli a lottare per i diritti che già hanno e che gli spettano». Ha intenzione di portare la sua crociata altrove? «Vorrei tanto andare in Germania, dove vive mia sorella, ma ho bisogno di un visto speciale persino per uscire dal mio stato. In fatto d’eutanasia l’Europa è molto più avanti dell’America». Che cosa pensa del movimento pro-eutanasia italiano? «Penso che sia fortissimo, ma la chiesa cattolica è sempre stata contro tutte le libertà e non gli permetterà mai di sfondare. L’Italia dovrebbe adottare il modello olandese, dove il medico accompagna il paziente fino all’ultimo, non quello dell’Oregon, che è disastroso». In che senso? «La legge dell’Oregon, che la California adesso vorrebbe stupidamente imitare, abbandona a se stesso chi vuole morire. Chi non può deglutire o muovere la mano è fregato perché tocca al paziente somministrarsi la dose. L’America è il Paese più religioso e perfido del pianeta». Di chi è la colpa? «Dell’etica religiosa che qui detta legge all’etica medica e politica. La questione non può e non deve essere regolata dallo stato, ma dalla classe medica». Intende dall’American Medical Association? «Macché. Quella è un’organizzazione gestita da politici e religiosi, tutti contrari all’eutanasia. Bisognerebbe fondare un gruppo d’esperti, dalle idee aperte e innovatrici. Purtroppo non sarò io a farlo. La legge me lo vieta».
Il «profeta» Ha «aiutato» 130 malati: libero tra le polemiche Scarcerato pochi giorni fa dalla prigione di Lakeland in Michigan, Jack Kevorkian, 79 anni, americano di origini armene, è il noto «Dottor Morte». Ovvero un medico che si è dedicato con pervicacia ossessiva alla «causa» dell’eutanasia, aiutando a morire almeno 130 persone. Personaggio estremamente discusso e messo sotto inchiesta più volte (nel 1991 lo Stato del Michigan gli revocò l’autorizzazione ad esercitare la professione medica), finì sotto processo nel 1999 per aver somministrato l’ennesima iniezione letale ad un malato di Sclerosi laterale amiotrofica (le immagini furono trasmesse in televisione). Doveva scontare almeno 10 anni di carcere. Ora Kevorkian, sofferente di una epatite C contratta nella guerra del Vietnam, è in cattive condizioni di salute.
Il «profeta» Ha «aiutato» 130 malati: libero tra le polemiche Scarcerato pochi giorni fa dalla prigione di Lakeland in Michigan, Jack Kevorkian, 79 anni, americano di origini armene, è il noto «Dottor Morte». Ovvero un medico che si è dedicato con pervicacia ossessiva alla «causa» dell’eutanasia, aiutando a morire almeno 130 persone. Personaggio estremamente discusso e messo sotto inchiesta più volte (nel 1991 lo Stato del Michigan gli revocò l’autorizzazione ad esercitare la professione medica), finì sotto processo nel 1999 per aver somministrato l’ennesima iniezione letale ad un malato di Sclerosi laterale amiotrofica (le immagini furono trasmesse in televisione). Doveva scontare almeno 10 anni di carcere. Ora Kevorkian, sofferente di una epatite C contratta nella guerra del Vietnam, è in cattive condizioni di salute.
«Corriere della sera» del 10 giugno 2007
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