16 luglio 2007

Quell'amore senza misura

Il binomio di mistica e carnalità nei trattati cristiani del XII secolo in un volume della Fondazione Valla curato da Zambon
di Gianfranco Ravasi
Guglielmo di Saint-Thierry: «Che rapporto c'è fra la conoscenza razionale di Dio e l'esperienza della caritas?»
È come un respiro d'amore che sembra alitare su tutto il XII secolo. Abelardo ed Eloisa intrecciano mistica e carnalità; fiorisce il grande mito di amore-passione che ha in Tristano e Isotta la sua rappresentazione simbolica; i trovatori intonano i loro canti amorosi nel nome di Lancillotto; la misteriosa Maria di Francia lancia al cielo i versi dei suoi Lais e Chrétien di Troyes intesse in un romanzo amore e sacramento, mentre per le strade gorgheggiano non solo i cantori della lirica cortese ma anche le voci ben più corpose e sensuali dei goliardi. Ma a risuonare con una solennità e una potenza espressiva e ideale particolare è la parola della teologia che s'intride d'amore avendo come ovvio codice capitale di riferimento il Cantico dei cantici biblico, naturalmente passato attraverso il filtro dell'allegoria che alla coppia originaria del poemetto sacro assegna le fisionomie di Cristo, il mistico amante, e della Chiesa o dell'anima innamorata.
Bene ha fatto, perciò, Francesco Zambon, uno dei maggiori esperti di storia e dottrina dei Catari medievali, a costruire un dittico testuale (per ora è apparso solo il primo tomo) - nell'importante collana degli «Scrittori greci e latini» della Fondazione Valla - raccogliendo proprio i più significativi trattati teologici dedicati a questo amore che si consuma nell'intimità delle anime ma non disprezza la simbolica dell'eros, sempre però alla luce dell'asserto giovanneo del Deus caritas est. Nella prima tavola di questo dittico teologico, aperto da un esergo scandito da una folgorante citazione del grande mistico musulmano del IX-X sec. al-Hallaj, sono di scena due figure massime del Medioevo. Ecco campeggiare innanzitutto l'abate Guglielmo di Saint-Thierry, un monastero benedettino a una decina di chilometri da Reims: il suo nome sarà per sempre associato a quel monastero, anche se nell'ultima intensa parabola della sua vita egli si ritirerà come semplice monaco in un'abbazia cistercense sperduta tra le foreste delle Ard enne e frequenterà, nella stessa area, la prima fondazione certosina di Mont-Dieu. Di questo fremente teologo dall'intelligenza cristallina, morto nel 1148, vengono qui offerti due trattati, il De contemplando Deo, e il più ampio e articolato De natura et dignitate amoris. Solo per rendere la tonalità stilistica del nostro autore, basti leggere l'incipit del primo testo, segnato da un ammiccamento biblico a Genesi 22: «Venite, saliamo al monte del Signore… Attenzioni, intenti, volontà, pensieri, affezioni e tutto ciò che sta nel profondo di me: venite, saliamo sul monte, nel luogo in cui il Signore vede ed è veduto. Preoccupazioni, angosce, ansie, fatiche, pene della schiavitù, aspettatemi qui con l'asino, con questo corpo, finché io e il bambino, cioè la ragione e l'intelligenza, corriamo lassù e dopo aver adorato torniamo a voi…». Passione e riflessione si mescolano anche nell'altro grande che qui è convocato, un personaggio così alto da aver conquistato Dante che lo vorrà come guida finale nell'empireo celeste (Paradiso XXXI), Bernardo di Clairvaux, morto nel 1153. Della sua vasta e straordinaria produzione letteraria viene offerto quel De diligendo Deo "L'amore di Dio") che nacque proprio dalle lunghe conversazioni del santo con Guglielmo di Thierry. E anche in questo caso basti solo evocare le righe d'avvio per coglierne la temperie, rigorosa e appassionata al tempo stesso: «La causa per cui si deve amare Dio è Dio stesso; la misura è amarlo senza misura». Ma per procedere in questo itinerario, che è una festa dell'intelligenza e del cuore, è necessario ricorrere a un esercizio previo che aiuta a sciogliere il nodo teoretico centrale di queste e di altre riflessioni cristiane sull'amore. La domanda è formulata dal curatore Zambon nell'introduzione generale al dittico, un vero e proprio saggio di un centinaio di pagine: «Che rapporto c'è fra la conoscenza razionale di Dio e l'esperienza della caritas, dell'amore di Dio? La caritas comporta un qualche grado di c onoscenza?». Sarà Guglielmo di Saint-Thierry ad appuntare la sua analisi teorica sistematica proprio su questo interrogativo, coniando una formula sintetica divenuta celebre e che non necessita di versione: Amor ipse intellectus est. L'"intelletto d'amore" è, così, scavato in tutte le sue iridescenze e nei suoi percorsi che rivelano orizzonti inattesi, finemente illustrati da Zambon che conduce il lettore per mano attraverso sentieri d'altura. Così, si delinea quel "progresso dell'amore" che, per Guglielmo, parte dalla purificazione per approdare alla piena rinascita di quell'"immagine" divina impressa in noi nella creazione. Un itinerario di liberazione e di esaltazione che anche san Bernardo a suo modo illustra attraverso i famosi quattro gradi dell'amore: «l'uomo ama se stesso per se stesso»; «l'uomo ama Dio per se stesso», «l'uomo ama Dio per Dio stesso», in modo del tutto libero e gratuito; infine, «l'uomo non ama più se stesso se non per Dio», con uno svuotamento totale di se stesso per raggiungere l'unitas spiritus, l'estasi mistica con Dio. Un'occasione straordinaria, dunque, per ritrovare non solo l'atmosfera ideale di un secolo ma un'esperienza umana e spirituale che soprattutto oggi ci è necessaria. Tant'è vero che, proprio in contemporanea, è apparso in versione italiana presso l'editore senese Cantagalli il suggestivo saggio di Jean-Luc Marion, Il fenomeno erotico, che ci ripropone alcune questioni decisive: l'uomo è solo l'essere cartesiano che pensa o piuttosto è innanzitutto un essere che ama? L'uomo prima conosce e poi ama o è amando che conosce? L'amore fiorisce dalla conoscenza o è l'amore che la fa fiorire?
TRATTATI D'AMORE CRISTIANI DEL XII SECOLO
A cura di Francesco Zambon
Fondazione Valla - Mondadori
Pagine 317. Euro 27,00
«Avvenire» del 23 giugno 2007

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