Lo studioso angloamericano denuncia misfatti e sopraffazioni commessi dai seguaci di ogni credo
di Pierluigi Battista
Hitchens: la minaccia delle fedi intolleranti è l’arma più pericolosa in mano ai fanatici
Vi sentireste più tranquilli se sapeste che in una città sconosciuta, al calar delle tenebre, un folto gruppo di uomini che vi si avvicina ha in realtà appena lasciato un incontro di preghiera? Probabilmente la maggior parte dei lettori risponderebbe di sì: affronterebbe con più sollievo quegli uomini pii e miti che hanno appena onorato comunitariamente il Signore. Christopher Hitchens risponde invece che, limitandosi alle città che iniziano con la lettera «B», a Belfast, Beirut, Bombay, Belgrado, Betlemme e Bagdad, «mi sarei sentito immediatamente minacciato se avessi pensato che il gruppo che mi si avvicinava nel crepuscolo veniva da una cerimonia religiosa». Nel nome di Dio è storicamente e statisticamente più frequente che ci si ammazzi e ci si stermini reciprocamente anziché aiutarsi solidalmente a vicenda, scrive Hitchens. La credenza in un Dio solo di rado alimenta la pietas del credente che aiuta i malati, soccorre i bisognosi o affronta sorridente le gioie del creato. Leggete questo poderoso libro di Hitchens, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa (pubblicato da Einaudi), e avrete piuttosto il resoconto spaventoso delle sofferenze inflitte da tutte le religioni in millenni di storia: persecuzioni, massacri, ma anche devastanti sensi di colpa, frustrazioni immense, infanzie popolate da incubi, destini irrimediabilmente consegnati alla paura e all’ignoranza. Un libro che emana sentore di zolfo: facciano attenzione a questo pamphlet, che esce oggi in Italia, i difensori della fede, siano credenti oppure seguaci del motto crociano sull’impossibilità di non dirsi cristiani. Facciano attenzione perché il libro di Hitchens, essendo singolarmente intelligente, scritto con la maestria di un campione della polemica culturale, spiritoso, ferocemente sarcastico, è anche, per tutti questi motivi, straordinariamente insidioso per chi è impegnato nella guerra culturale contro il secolarismo. Non è uno dei soliti esercizi di «ateologia» che dilagano come una moda nell’editoria di tutto il mondo. È pervaso da una sincera ammirazione, e non dal disprezzo per le grandi opere della letteratura, della pittura e dell’architettura ispirate dalla religione. Non è l’incommestibile brodino lamentoso sulle «ingerenze» religiose nella vita civile recitato dal vittimismo laicista. Non è gravemente offensivo nei confronti dei credenti, come nei libri di Piergiorgio Odifreddi che stabiliscono fantasiose connessioni etimologiche tra il «cristiano» e il «cretino». Non è sbilanciato in un doppio standard di malafede, come capita a chi si scaglia con fervore contro il cristianesimo, ma viene paralizzato dal terrore autocensorio politicamente corretto ogni volta che deve affrontare (a proprio rischio e pericolo) le nefandezze dell’islamismo. Ma proprio perché immune da questi difetti appare ancor più persuasivo e sconvolgente l’assunto che ne regge l’argomentazione polemica: le religioni sono (tutte: dall’ebraismo al cristianesimo, dall’islamismo all’induismo, dal buddismo agli effluvi New Age) menzogne, menzogne che hanno fatto e continuano a fare molto male al mondo e alle singole persone. Il libro di Hitchens ha ricevuto molti attacchi. L’attacco più serio è quello di chi contesta all’autore l’incapacità di spiegare come mai, nel mondo giudaico-cristiano, la scienza abbia avuto una spinta sconosciuta presso altre religioni, e si sia stabilita una separazione tra politica e religione, grazie alla democrazia. Ma il baricentro intellettuale ed emotivo di Hitchens è un altro: la dimostrazione che la crudeltà è sì connaturata all’uomo, ma «coloro che brandiscono un’autorizzazione celeste alla crudeltà sono contaminati dal male e rappresentano assai più di un pericolo». Da qui il tono irridente delle sue domande. Come si fa a onorare una religione in cui si loda «Abramo perché si mostrò disposto ad ascoltare le voci e si fece accompagnare dal figlio in una lunga e piuttosto folle e fosca camminata e il capriccio che alla fine fermò la sua mano assassina è definito come misericordia divina»? E come non considerare il colmo della più spregevole istigazione all’ipocrisia fanatizzata le terrificanti proibizioni in fatto di sesso contenute nel Corano, ma nella «disonesta promessa di un’eterna gozzoviglia nella vita ultraterrena»? E quante approssimazioni, incongruenze, assurdità nelle sacre scritture dei tre monoteismi, che datano l’origine del creato in un mondo di provinciali che non hanno idea di qualcosa che non sia «deserto o greggi o mandrie o esistenza nomadica», mentre la storia del cosmo inizia almeno «dodici miliardi di anni fa». Oggi, scrive l’autore, «il meno istruito dei miei bambini sa molto di più sull’ordine naturale di qualsiasi fondatore di religione». Basta leggere la leggenda dell’arca di Noé per accorgersi che se l’autore fosse stato davvero Dio onnisciente, non si sarebbe dimenticato di inserire tra gli animali i dinosauri, di cui le genti della Bibbia ignoravano scientificamente l’esistenza, o i marsupiali perché l’Australia non compariva ancora in nessuna mappa. E invece come si spiega, scrive ancora Hitchens nella sua requisitoria antireligiosa, «l’incontestabile tendenza dell’Onnipotente a manifestarsi solo a individui illetterati, in aree desertiche del Medio Oriente che furono a lungo patria della venerazione di idoli e della superstizione»? E perché, vista la tabuizzazione tanto diffusa del maiale, «il cielo odia il prosciutto»? E se si immagina «un creatore infinitamente benigno e onnipotente che vi ha concepiti, vi ha poi fatti e modellati e introdotti in un mondo finalizzato a voi, e che ora vi sorveglia e si prende cura di voi anche quando dormite», allora perché i credenti sono mediamente tanto infelici? E perché nei dieci comandamenti di Mosé si vieta il semplice desiderio della casa del «vicino», «del suo servo, della sua serva, del suo bue, del suo asino, di sua moglie e di altri suoi beni» ma si avanzano capziose giustificazioni «per il traffico di esseri umani, per la pulizia etnica, per la schiavitù, per il prezzo della sposa, per il massacro indiscriminato» e si esalta la strage dei bimbi dell’Egitto o lo sterminio dei dissidenti nei quarant’anni di traversata nel deserto? Interrogativi, quelli di Hitchens, che esigono una risposta, non una scomunica. E non il silenzio imbarazzato, come accade troppo spesso.
«Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa» è il titolo del libro di Christopher Hitchens Questo saggio, che esce oggi in libreria, è edito da Einaudi Stile libero (pagine 275, 14,50)
Nato nel 1949 in Gran Bretagna, Christopher Hitchens è una delle voci più originali della cultura liberal Ha fatto scalpore la sua presa di posizione favorevole alla guerra contro Saddam Hussein
«Corriere della sera» del 12 giugno 2007
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