Un libro di Pietro Redondi
di Edoardo Boncinelli
Un tema approfondito da Aristotele Kant, Bergson e Einstein
Tutto avviene nel tempo, puntualmente e inesorabilmente. E il tempo non si può fermare. Quello passato, o perso, non si può recuperare. Quello che deve venire, verrà solo una volta, frettolosamente. Non avremo mai due volte la stessa età. Eppure noi non sappiamo dire che cosa è il tempo. Quello del tempo è uno dei concetti più sfuggenti e problematici che possano esistere, anche se, paradosso nel paradosso, abbiamo imparato a misurarlo con una precisione impressionante. In questi casi non resta che tracciare una storia del concetto in discussione, per mostrarne le diverse sfaccettature, i diversi volti nelle diverse epoche, e lasciare magari che ognuno se ne faccia una sua idea. Questo è proprio quello che fa Pietro Redondi nel suo Storie del tempo appena uscito da Laterza (pagine 391, 20). Un po’sussidiario - sontuosamente illustrato - un po’libro di lettura, per usare il linguaggio delle scuole elementari di una volta, il libro di Redondi ci offre una concreta possibilità di familiarizzarci con il concetto di tempo o almeno con le sue diverse visioni nella storia, in particolare nella nostra storia. Il volume è infatti diviso in due parti: nella prima si fa una succinta ma sapida sintesi della storia del concetto di tempo dalla Bibbia e Platone ad Albert Einstein e Jean Piaget, nella seconda sono raccolti una ventina di testi originali di autori vari, tra i quali spiccano Aristotele, Sant’Agostino, David Hume, Immanuel Kant, Ernst Mach, Henri Bergson, lo stesso Einstein, Marcel Proust e il sociologo Norbert Elias. Il tempo ha una natura lineare e unidirezionale o circolare e quindi ciclica? In altre parole, gli intervalli di tempo sono consustanziali con il suo generico fluire? E ancora: è un contenitore vuoto o si identifica con la successione degli eventi che lo scandiscono? Trascorre continuamente o esiste immutabile? Gode di una realtà oggettiva o nasce almeno in parte dalla nostra percezione degli eventi e dalla nostra soggettività? Tutti i processi ritmici del mondo, dalla «ruota del vasaio» di Sant’Agostino ai nostri orologi, misurano la stessa cosa? E che cosa misurano? Queste sono solo alcune delle domande che si associano all’idea di tempo e alla sua problematica. E sono tutte domande prese in considerazione nel libro, tanto nella sua parte introduttiva, quanto nella parte antologica. La narrazione dell’evoluzione storica del concetto di tempo offre moltissimi spunti interessanti. Una delle considerazioni che mi piacciono di più riguarda l’ingegnosità di Galileo nel cercare di oggettivare gli intervalli di tempo, «pesandoli». Nel suo studio sul moto di caduta dei gravi, di trucchi ingegnosi Galileo ne dovette mettere a punto diversi, a cominciare da quello, veramente geniale e innovativo, di farli scendere lungo un piano inclinato. Poiché la precisione nella misura del tempo era a quell’epoca piuttosto bassa, egli pensò di «rallentare» la caduta dei corpi, facendoli appunto scendere più adagio lungo piani inclinati aventi una diversa angolazione. Il fenomeno era però ancora troppo veloce per poter essere misurato con gli «orologi» del tempo e dovette ricorrere al trucco di pesare il tempo. Usò un recipiente contenente acqua con un piccolo foro sul fondo; raccolse in un bicchiere l’acqua che usciva durante un determinato lasso tempo e la pesò. A pesi uguali, tempi uguali, pensò. E il fatto di poter pesare il tempo, lo autorizzò e ci autorizza a far uso di qualsiasi altro metodo di misura più o meno spiccatamente artificiale. Naturalmente il suo «orologio» funziona se si assume che l’acqua scorra sempre con lo stesso ritmo. E questa è una cosa da verificare, se si vuole essere più precisi. Ma ecco spuntare un altro paradosso della misura del tempo: ogni sistema di misura del tempo deve fare riferimento ad almeno un altro sistema di misura del tempo. E non esistono intervalli di tempo contemporanei, ma solo successivi; e così via, per l’eternità. Ma se non sappiamo dire che cosa è, come siamo giunti a misurarlo con tanta precisione e a fare della misura del tempo che passa un elemento fondamentale e onnipresente della nostra vita quotidiana? In un processo lento ma inesorabile durato qualche secolo, la misurazione del tempo è divenuta, almeno qui in Occidente, una scienza esatta e ha dato vita a una tecnologia sempre più sofisticata e affidabile. Ma perché proprio qui e proprio allora? Se lo chiede il nostro autore. È una domanda che ha avuto molte risposte, ma nessuna decisiva. Vale la pena di rifletterci.
«Corriere della Sera» del 29 aprile 2007
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