di Davide Gianluca Bianchi
Il tempo è quantitativo e qualitativo, oggettivo e soggettivo, esteriore e interiore, filosofico e psicologico, pubblico e privato, e proprio «la sensazione di mancanza di tempo rispecchia effettivamente, oggi, un’invasione senza precedenti del tempo personale da parte di quello collettivo». Partono da questa considerazione le Storie del tempo di Pietro Redondi, ordinario di Storia della Scienza all’Università Milano-Bicocca. Una ricca antologia di scritti classici, dal Timeo di Platone al Saggio sul tempo di Norbert Elias, a cui Redondi fa precedere una corposa introduzione che è un libro nel libro.
Dal passaggio del Millennio non si vedeva un testo così bello e godibile sull’argomento più ozioso che si possa immaginare; perché (diciamolo!) il tempo non esiste, è una nostra illusione. La riprova? Intorno alla fine del XVI secolo gli astronomi realizzarono che il calendario adottato sotto Giulio Cesare, con il trascorrere dei secoli aveva sedimentato errori notevoli che, fra l’altro, non permettevano di datare correttamente la Pasqua. Oltre alla necessità di passare a un nuovo, più preciso computo del tempo - che avvenne con l’introduzione del calendario gregoriano - restava il problema di 10 giorni in eccesso, eredità del calendario giuliano. Papa Gregorio XIII nominò una commissione di esperti che non trovò soluzione migliore del far slittare il calendario di 10 giorni, passando direttamente dal 4 al 15 ottobre 1582.
Del resto nella coscienza occidentale il tempo è legato a filo doppio alla spiritualità. Per esempio non è privo di significato il fatto che i moderni orologi meccanici, o almeno i loro progenitori, siano nati nell’età di mezzo. Jacques Le Goff, in Tempo della Chiesa e tempo del mercante, afferma che mentre per la Chiesa l’uomo non poteva disporre del tempo, attributo di Dio (per cui, a esempio, non poteva che essere condannato il prestito a interesse), il mercante del basso Medioevo era già pervaso da una mentalità intramondana e secolare che lo portava ad avere con il tempo un rapporto utilitaristico.
Critico nei confronti di questa visione, lo storico americano Lynn White, lavorando sui materiali iconografici, ha sostenuto in modo ben più convincente che l’orologio rispecchiasse simbolicamente la razionalità che la filosofia medievale attribuiva al progetto divino e, ancora di più, i valori cardine della morale dell’epoca: temperanza, moderazione, equilibrio, sobrietà, continenza, morigeratezza. In realtà, collocare il tempo in una dimensione elevata, oltre-umana, non è un’invenzione cristiana, in quanto già lo attestavano i greci e i romani con alcune loro divinità (in particolare Kronos e Saturno). Di matrice laica è invece non solo l’immagine di Dio orologiaio dell’universo, adottata da diverse generazioni di scienziati della prima età moderna (Boyle, Copernico, Kepler, Galileo, Cartesio e Newton), ma soprattutto l’iconografia del tempo più diffusa ai nostri giorni, tributaria della distinzione tra sfera terrestre e sfera celeste nota almeno da Aristotele: il lato negativo, con l’immagine del fluire inarrestabile che tutto distrugge; il versante positivo, dato dall’idea dell’equilibrio delle compensazioni, del pareggio dei torti, dell’emergere della verità, del primato della giustizia e della persuasione che più vecchi saremo anche più saggi.
Dal passaggio del Millennio non si vedeva un testo così bello e godibile sull’argomento più ozioso che si possa immaginare; perché (diciamolo!) il tempo non esiste, è una nostra illusione. La riprova? Intorno alla fine del XVI secolo gli astronomi realizzarono che il calendario adottato sotto Giulio Cesare, con il trascorrere dei secoli aveva sedimentato errori notevoli che, fra l’altro, non permettevano di datare correttamente la Pasqua. Oltre alla necessità di passare a un nuovo, più preciso computo del tempo - che avvenne con l’introduzione del calendario gregoriano - restava il problema di 10 giorni in eccesso, eredità del calendario giuliano. Papa Gregorio XIII nominò una commissione di esperti che non trovò soluzione migliore del far slittare il calendario di 10 giorni, passando direttamente dal 4 al 15 ottobre 1582.
Del resto nella coscienza occidentale il tempo è legato a filo doppio alla spiritualità. Per esempio non è privo di significato il fatto che i moderni orologi meccanici, o almeno i loro progenitori, siano nati nell’età di mezzo. Jacques Le Goff, in Tempo della Chiesa e tempo del mercante, afferma che mentre per la Chiesa l’uomo non poteva disporre del tempo, attributo di Dio (per cui, a esempio, non poteva che essere condannato il prestito a interesse), il mercante del basso Medioevo era già pervaso da una mentalità intramondana e secolare che lo portava ad avere con il tempo un rapporto utilitaristico.
Critico nei confronti di questa visione, lo storico americano Lynn White, lavorando sui materiali iconografici, ha sostenuto in modo ben più convincente che l’orologio rispecchiasse simbolicamente la razionalità che la filosofia medievale attribuiva al progetto divino e, ancora di più, i valori cardine della morale dell’epoca: temperanza, moderazione, equilibrio, sobrietà, continenza, morigeratezza. In realtà, collocare il tempo in una dimensione elevata, oltre-umana, non è un’invenzione cristiana, in quanto già lo attestavano i greci e i romani con alcune loro divinità (in particolare Kronos e Saturno). Di matrice laica è invece non solo l’immagine di Dio orologiaio dell’universo, adottata da diverse generazioni di scienziati della prima età moderna (Boyle, Copernico, Kepler, Galileo, Cartesio e Newton), ma soprattutto l’iconografia del tempo più diffusa ai nostri giorni, tributaria della distinzione tra sfera terrestre e sfera celeste nota almeno da Aristotele: il lato negativo, con l’immagine del fluire inarrestabile che tutto distrugge; il versante positivo, dato dall’idea dell’equilibrio delle compensazioni, del pareggio dei torti, dell’emergere della verità, del primato della giustizia e della persuasione che più vecchi saremo anche più saggi.
Pietro Redondi (a cura di), Storie del tempo (Laterza, pagg. 391, euro 20).
«Il Giornale» del 10 giugno 2007
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