Muovendo da Pilo, la città di Nestore, l'ipotesi dello studioso Antonio Aloni è che il centro di elaborazione e l'uditorio per i cantori dell'«Iliade» e dell'«Odissea» sarebbero duplici: l'Atene dei tiranni e gli esuli di Sigeo
di Antonio Aloni
Anche Nestore, l'eroe di un tempo antico, personaggio già anziano nell'Iliade, ha avuto un passato da giovane glorioso. E attenzione ai suoi racconti di imprese e conflitti: sono ricordi di eventi reali, o meglio la loro rielaborazione poetica in funzione politica. È quel che illustra Antonio Aloni, docente di Letteratura Greca all'Università di Torino, facendoci entrare in un mondo di cui restano ben poche tracce, ma che ancora, per contro, è geograficamente rintracciabile. Così anche oggi un turista innamorato dei bei paesaggi greci potrebbe ritrovarsi senza saperlo sul percorso di Telemaco figlio di Ulisse, che in una sola notte da Itaca raggiunge la città di Pilo e la cui rotta è perfettamente ricostruibile. Proprio la città di Pilo è il fulcro dell'indagine storica, filologica e sociologica di Aloni: città «una e trina», perché i fondatori della Pilo originaria si sparsero per il Peloponneso e ne crearono altre due con lo stesso nome, diffondendo in ogni dove il seme di Poseidone, il cui figlio Neleo era il mitico fondatore di Pilo, e padre dell'eroe omerico Nestore. Un'origine perciò decisamente illustre per uno dei più potenti clan aristocratici della Grecia classica, a cui apparteneva lo stesso uomo politico ateniese Pisistrato, il «tiranno». Perché dunque Pilo è così citata nei poemi omerici, che poco dovrebbero avere a che fare con questa mitica città? Per una questione importante: la relazione politica fra i cantori, cioè coloro che raccontavano in poesia le storie degli eroi, e il loro pubblico. Aloni ci spiega come questi cantori, che trasmettevano i motivi di una vasta tradizione orale, dovevano essere necessariamente condizionati dal loro uditorio: quindi per assecondare gusti o competenze geografiche del pubblico cambiavano in un preciso punto il corpus della tradizione, aggiungendo una vicenda, un particolare che poteva colpire o essere apprezzato. Se il cambiamento aveva successo entrava a far parte del corpus, e anche gli altri cantori lo facevan o proprio. Dunque sembra che, tra un'esibizione pubblica e l'altra, l'insieme di episodi che hanno al centro Pilo e Nestore abbiano fatto il loro ingresso nell'Iliade e nell'Odissea, in cui il grande repertorio dei cantori è finalmente confluito. Fin qui, non ci stupiamo ancora. Ma poi Aloni va oltre, e formula quella che definisce una teoria «temeraria», che riguarda la relazione fra i due grandi poemi omerici, i loro tempi di composizione e la società «dei tiranni» che ne stava a fondamento. Se le vicende dei discendenti di Neleo sono così importanti, è perché i clan aristocratici dei Pisistratidi e degli Alcmeonidi, che costituivano l'uditorio dei temi confluiti nell'Iliade, li riteneva fondamentali per la propria consacrazione, attraverso l'appartenenza alla mitica ascendenza di Neleo. Un po' come avviene per l'origine divina di Roma garantita dal grande affresco mediterraneo dell'Eneide. L'ipotesi conclusiva dello studioso, ma in realtà punto di partenza per nuove indagini che saranno certo altrettanto affascinanti, è che l'uditorio di riferimento sia duplice, e perciò due i centri di elaborazione del materiale dei cantori, come due sono i poemi omerici. Il centro promotore dell'Iliade sarebbe l'Atene dei tiranni, la prima a intuire già nel sesto secolo la possibilità dell'uso della poesia scritta in funzione politica. Mentre l'Odissea, così diversa nel tono, risalirebbe a un'evoluzione dei materiali poetici voluta dagli esuli di Atene, costretti, una volta finito il dominio dei tiranni, a fuggire nel quinto secolo a Sigeo, feudo dei Pisistratidi nella Troade. Ippia e Onomacrito per primi, ma anche i loro amici e alleati, che molto probabilmente, immagina Aloni, avrebbero ascoltato con piacere dai cantori le vicende di un nòstos, un grande, epico viaggio di ritorno.
Aloni, Da Pilo a Sigeo, Poemi cantori e scrivani al tempo dei Tiranni, Edizioni dell'Orso, pp. 146, € 16,00
«Avvenire» del 12 maggio 2007
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