16 luglio 2007

Ma Benigni sa leggere Dante?

Una stoccata di Albertazzi: “Quando lo spiega è sublime, ma quando lo dice...”
di Mario Baudino
Dante? Benigni quando lo spiega è sublime; ma quando lo dice... eh sì, un po’ meno». La stoccata di Giorgio Albertazzi arriva da Vercelli, dove l’attore ha messo in scena uno spettacolare «a solo» di bravura, titolo Intorno a Dante, su un palco all’aperto di fronte alla Basilica di Sant’Andrea. Ha recitato l’altra sera i canti dedicati a Pia de’ Tolomei, a Paolo e Francesca, al Conte Ugolino, concludendo con una celebre passo di The Waste Land di Thomas Stearns Eliot, poeta dall’Alighieri assai influenzato. Ha parlato del suo rapporto con il Medioevo, ha immaginato d’aver incontrato il poeta passeggiando per Firenze, chiarendo a ogni buon conto che «Gassman e Carmelo Bene sono arrivati dopo di me». E tutto vestito di bianco nella notte, ha colpito il rivale con una battuta al vetriolo. Tutti hanno capito benissimo che quel «un po’ meno» voleva dire «molto, molto meno».
Benigni è un’icona nazionalpopolare. Non la si affronta con la sciabola, ma col fioretto. Però la bulimia dantesca dell’ex «piccolo diavolo» ora ha trovato l’opposizione. Se Albertazzi dice e non dice, l’altro «concorrente» storico, Vittorio Sermonti, che aveva aperto molti anni fa la stagione delle letture dantesche in pubblico, dice eccome. Benigni «è un comico: tra l’altro, di quelli che lusingano il pubblico. Io prediligo quelli come Plauto, Molière, Petrolini, che il pubblico lo aggrediscono». Ragion per cui «non mi dispiace come legge. Ma credo che il pubblico di Benigni esca dallo spettacolo uguale a quando ci è entrato, e pensando che Dante sia attualissimo e anche un po’ fessacchiotto», ha spiegato poche settimane fa, in un’intervista al Magazine del Corriere.
Fronte compatto, dunque: secondo i suoi principali rivali Benigni non sa leggere Dante. O almeno, non lo fa nel modo migliore. L’accusa arriva proprio nel momento in cui si annuncia un trionfo dantesco nella programmazione Rai a partire dall’autunno, quando l’attore, dopo aver esordito con uno speciale in prima serata di 90 minuti e senza interruzioni pubblicitarie, proseguirà poi con dodici seconde serate ispirate al suo spettacolo TuttoDante. Salterà ogni settimana anche un Porta a porta, dicono, per la gioia di Bruno Vespa. È il punto culminante di una marcia senza ostacoli, fra lauree honoris causa e accoglienze trionfali dovunque. Ma il presidente della Società dantesca, Guglielmo Gorni, lascia affiorare qualche dubbio.
Lui, che ha sempre difeso la buona divulgazione, e invitato a Firenze molti attori perché leggessero Dante, ci fa notare come Benigni sia un perfetto «lettore naturale», grazie al suo temperamento. «E’ un buon modo di dare voce al poeta», dice. Ma preferisce Sermonti: «che porta di suo un’interpretazione del testo, insomma lo fa capire di più». Franco Cardini, medievista, scrittore, e soprattutto fiorentino, rincara bonariamente la dose: «Albertazzi non ha tutti i torti. Benigni in realtà recita Benigni che recita Dante, non si preoccupa certo di problemi filologici, né di nascondere il suo accento pratese. Detto questo, ha suscitato un vero movimento di massa, il che mi sembra positivo». Si potrebbe sottilizzare, e chiedersi quanto conti l’interesse «di massa» per Benigni rispetto a quello per Dante, aggiunge. Però «anche se lo legge male, lo legge. Fossero tutti qui, i problemi. Anzi, questa non è mica una cattiva notizia». Non lo è, professore. Leggere Dante, in fondo, fa bene alla salute. Lo hanno fatto in tanti, ci si sono misurati (nel 2000) persino Morgan e Asia Argento.
C’è solo un’attrice, una grande attrice, che ha detto basta. Ottavia Piccolo: «Non lo farò mai più. Mi fa perdere 10 anni di vita, non ne sono capace, non riesco a renderlo, funziona solo nel chiuso della mia cameretta, quando sono da sola». Ragion per cui, nella disfida dei toscani, non prende partito: «Mi entusiasma la generosità di Benigni, Albertazzi è bravissimo. Li ho ascoltati entrambi, e anche Sermonti: in tutti colgo qualcosa. Però di un poeta ognuno riesce a far passare qualcosa, mai tutto, perché tutto è impossibile. Questo è il motivo per cui è sempre meglio, alla fine, leggerselo da sola, magari ad alta voce». I vicini di casa saranno contenti, ma certo è una scelta non facile. Con buona pace della «divulgazione».
«La Stampa» del 2 luglio 2007

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