08 luglio 2007

«Laïcité», si cambia

Il modello francese di rapporti fra lo Stato e le religioni va rivisto: parla padre Verdin, coautore di un volume con Sarkozy
di Carlo Baroni
Dice il teologo e scrittore: «La dimensione religiosa è fondamentale per la democrazia. Chirac è rimasto fermo alla legge del 1905, il nuovo presidente è più libero»
Dal convento dei domenicani, in rue Fauborg St.Honorè, si può arrivare all'Eliseo anche a piedi. Una strada tutta dritta come quella che aveva fatto incontrare padre Philippe Verdin e Nicolas Sarkozy. Un incontro da cui era scaturita una conversazione e poi un libro: La Repubblica, le religioni, la speranza, insieme al filosofo Thibaud Collin. Un sasso nello stagno della laicità alla francese. Il tentativo, riuscito, di rompere un tabù vecchio ormai di due secoli. Era il 2004. Tre anni dopo Sarkozy è diventato presidente della Francia. E padre Verdin uno scrittore di successo, oltre che editorialista di «Le Figaro».
Hanno definito la Francia "frutto dell'incontro fra morale laica e morale spirituale": significa ci sono radici comuni tra Voltaire e Pascal?
«È una definizione che ci può stare. Le radici comuni sono quelle cristiane dalle quali neanche il pensiero laico può prescindere. Penso a Voltaire e a Diderot e a quanto devono a chi li ha preceduti».
Tocqueville diceva che «il dispotismo può fare a meno della religione, non la libertà». È giusto, allora, dire che la République è stata (è?), sotto un certo profilo, un regime dispotico?
«La citazione di Tocqueville invita a tener conto della dimensione religiosa. Fondamentale in una società democratica. Qualcosa che la aiuta a crescere, un collante che la tiene unita. Un punto di riferimento per le giovani generazioni. Che va al di là dell'aspetto confessionale».
«La laicità non è una vacca sacra ma una statua di sale che cadrà per l'immobilismo del Paese»: sono parole di Sarkozy. È maturo il tempo per modificare la legge sulla separazione tra Stato e Chiesa?
«La legge è del 1905, emanata in un contesto molto diverso da quello di oggi. Col passare degli anni è diventata una sorta di "vitello d'oro" da idolatrare. Qualcosa che non si può nemmeno toccare o mettere in discussione. Un tabù a cui si assoggettano anche i politici cattolici. Penso all'ex presidente Chirac. Per ev itare di essere accusato di scarsa laicità si è sempre ben guardato dal prendere posizione su questioni religiose per non dare l'impressione che prendesse le parti della Chiesa. Una "preoccupazione" che Sarkozy non ha assolutamente. Lui pensa che la società francese si sia evoluta dal 1905 ad oggi ed occorre intessere nuove relazioni tra Stato e confessioni religiose. In altri Paesi, penso all'Austria, nessuno si scandalizza se uomini della Chiesa vengono chiamati a far parte di commissioni che trattano problemi etici».
La definizione e la difesa dell'identità nazionale è stato uno dei temi caldi di questa campagna elettorale. Quelli che sembravano solo simboli della destra, la «Marsigliese», la bandiera, sono diventati patrimonio comune. Che ne pensa?
«Viviamo un periodo di transizione. La Francia cerca un suo posto nel mondo. Vuole capire qual è il nuovo ruolo che le toccherà interpretare. C'è una sorta di crisi d'identità. Ci chiediamo chi siamo? Tutto questo porta a rifugiarsi nei simboli nazionali. Che, di per se, potrebbe anche avere risvolti positivi. Se non ci fosse il rischio di chiudersi. Lo abbiamo notato anche nella campagna elettorale durante la quale i temi di politica estera sono finiti in secondo piano. Eppure la Francia ha una vocazione internazionale. Pensiamo ai legami con l'Africa».
Lei ha avuto modo di conoscere e dialogare a lungo con Sarkozy e di scrivere con lui un libro importante. Che idea si è fatto del neo presidente sotto il profilo spirituale?
«Sarkozy ritiene che la religione, le religioni, abbiano un ruolo imprescindibile nel tessuto sociale. In questo è perfettamente in linea con il pensiero di Tocqueville. Il suo rapporto con la spiritualità non è superficiale, certo. Lui si definisce un cattolico. So che frequenta la Messa domenicale con la famiglia e che è stato in pellegrinaggio a Lourdes. Dice che qualche volta le omelie lo annoiano ma nel complesso ha grande rispetto per le autorità ecclesiastiche e vede con favore la possibilità di confrontarsi con i vescovi».
Si può parlare di risveglio della spiritualità in Francia?
«Credo che anche su questo si dia troppo retta ad un'immagine stereotipata del mio Paese: una Francia secolarizzata e aliena dalle religioni. Poi c'è la Gmg e Parigi si riempie di giovani. Con giornali e tv ad interrogarsi su qualcosa che non avevano messo in preventivo».
Lei è autore anche di romanzi gialli. Ce ne vuole parlare?
«Ho pubblicato una storia noir che sta riscuotendo un buon successo, L'assassin de Tassin. I miei riferimenti letterari? Simenon e Fajardi. Ho anche scritto un romanzo d'amore, La grande tribu».
«Avvenire» del 25 maggio 2007

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