di Franco Venturini
Riuniti a Bruxelles per misurare le loro ambizioni future, gli europei si scoprono prigionieri di una Storia che non passa. La Polonia chiama Angela Merkel a pagare i conti arretrati di Hitler, la Gran Bretagna rivendica una sovranità che nessuno sul Continente ha mai intaccato, e l’Unione di oggi, così, rischia di finire stritolata in una tenaglia figlia dei secoli. I gemelli Kaczynski non vogliono che le nuove procedure decisionali riducano il «potere di blocco» della Polonia. Pretesa questa assolutamente comprensibile. Ma quali argomentazioni vengono utilizzate da Varsavia a sostegno della propria tesi? Se la Germania nazista non avesse provocato la seconda guerra mondiale i polacchi sarebbero oggi sessantasei milioni invece di trentotto, dunque non è giusto applicare un sistema di voto legato alla popolazione degli Stati e premiare le stragi causate dai tedeschi. Non basta. Le partizioni della Polonia nell’Ottocento e nel Novecento legittimano un «credito» di Varsavia verso i suoi vicini. Orbene, come dovrebbero sentirsi i polacchi quando Berlino e Mosca costruiscono insieme un gasdotto che passa sotto il Baltico e taglia fuori il territorio nazionale? Non c’è l’ombra di Ribbentrop e di Molotov, dietro quel gasdotto che anche la signora Merkel ha approvato? Non stupisce, partendo da simili premesse, che alla vigilia del vertice Jaroslaw Kaczynski abbia evocato la necessità di vincere o morire. A Bruxelles le sue armi sono assai più efficaci di quelle usate nel ‘39 dalla cavalleria polacca contro i carri armati del Reich, e gli altri partecipanti al vertice, che ne sono ben consapevoli, si sono dati come primo traguardo quello di evitare il veto di Varsavia sull’intero pacchetto di riforme istituzionali. Non sarà facile. I Kaczynski incarnano quel nazionalismo polacco anti-russo e anti-tedesco che nella storia recente si è affidato a Giovanni Paolo II e a Ronald Reagan ben più che all’Europa. I gemelli venerano la memoria del padre che partecipò all’insurrezione di Varsavia nelle file dell’anticomunista Armia Krajowa, per loro come per moltissimi polacchi i decenni della dominazione sovietica si saldano alle colpe occidentali attraverso gli accordi di Yalta, e nessuno può dimenticare che la spartizione della patria tra Hitler e Stalin è avvenuta meno di settant’anni fa. È il caso, allora, di mostrarsi flessibili sugli interessi nazionali e di regalare alla tedesca Merkel un trionfo diplomatico? Con garbo, Berlino ha ricordato che la Polonia deve molto a Brandt, a Kohl e anche a Schroeder. A voce un po’più alta è stato fatto presente che silurare le riforme europee potrebbe avere per Varsavia un costo non indifferente quando si discuterà del prossimo bilancio della Ue. Ma i polacchi adorano sentirsi soli contro il mondo, e spetterà soltanto a loro la scelta da compiere. Con una triste constatazione che riguarda la cultura politica del più grande tra i nuovi soci dell’Unione: l’Europa è nata per superare le guerre, non per resuscitarle. Cosa accadrebbe se francesi e tedeschi ragionassero come i polacchi? E se a Varsavia venisse rinfacciata l’invasione di Praga del ‘68 cui i polacchi parteciparono? A occidente l’Europa è insidiata da un’altra Storia. La perdita dell’impero ma non dell’orgoglio imperiale, il declino delle nazioni europee dopo la prima guerra mondiale, l’ascesa dell’anglofona e anglofila superpotenza americana, hanno esaltato l’insularità britannica e la sua ambizione (mai realizzata) di diventare il «ponte» tra le due rive dell’Atlantico. Quando lo ha ritenuto opportuno Londra ha deciso di mettere un piede in Europa e per questo ha dovuto vedersela con de Gaulle, ma l’Europa degli inglesi non è mai stata simile a quella franco-tedesca o a quella italiana o a quella spagnola. Oggi Tony Blair, al suo ultimo vertice e secondo Sarkozy paradossale candidato alla futura presidenza dell’Unione, si oppone al valore vincolante della Carta dei diritti, si oppone alle competenze di un ministro degli Esteri europeo degno di questo nome, si oppone a regole comuni in materia di giustizia e di polizia, e soprattutto si oppone all’estensione del voto a maggioranza con conseguente riduzione delle materie che vanno decise all’unanimità. Questo è Blair, ma tutti sanno che dopo il 27 Brown non sarà meglio disposto. E il motivo c’è: la Gran Bretagna difende un modello di Unione che non prevede l’Europa-potenza (o più semplicemente l’Europa politica) nemmeno come futuribile eventualità. Certo per non dar fastidio agli Usa, ma ancor più per non pregiudicare le proprie legittime e antiche ambizioni geostrategiche. Storie diverse, quelle di Polonia e Gran Bretagna, ma entrambe capaci di bloccare la storia dell’Europa. Almeno dell’Europa a ventisette.
«Corriere della sera» del 22 giugno 2007
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