04 luglio 2007

La rete nella Chiesa

Dal sì al compromesso storico al «gelo» sul Pd I fogli diocesani: calato dall’alto, meglio la sinistra
di Paolo Conti
Luglio 1976. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, scrive la famosa «lettera aperta» a Enrico Berlinguer sui rapporti Pci-cattolici. La risposta del segretario comunista arriva nell’ottobre 1977. Sui settimanali diocesani si apre un lungo confronto: sullo sfondo c’è il vero tema politico, il compromesso storico. È l’anno in cui il gesuita Francesco Cultrera, teologo a Messina, sostiene che la cultura marxista in Italia obbliga «a un confronto per una riflessione teologica incarnata nella storia». Scrive la «Voce Isontina»: «Il dialogo deve sostanziarsi tra comunisti e comunità cristiane, tra militante e credente...». Per «L’azione» di Fabriano l’evoluzione del Pci è «indubbia». Da Udine «La voce cattolica» chiosa: «La lettera può rivelarsi strumento di dialogo per scoprire con lucidità l’urgenza di nuove forme di rapporto che tutti si auguravano avvenissero tra comunismo e cattolicesimo in Italia ma che venivano rimandate nelle pause di un silenzio che non giovava a nessuno». Trent’anni dopo, ex comunisti dei Ds ed ex democristiani della Margherita stanno per confluire nel Partito democratico. Ma sulla rete dei settimanali cattolici (una realtà da 165 testate e complessive 952 mila copie) i commenti sono rari, e i pochi distratti. Dice don Walter Fiocchi, editorialista de «La voce alessandrina», vicario per la pastorale della diocesi: «Fenomeno prevedibile, anche se noi ne abbiamo parlato ... Oggi il Partito democratico sembra solo un’operazione di vertice, di spartizione di posti, una lite tra Fassino, Rutelli e Parisi. Nessun coinvolgimento della base, delle associazioni, del volontariato. Perché discuterne?». Possibile che qualcuno della base cattolica trovi più fascino nella sinistra radicale? «Possibile. Si può vedere in loro più schiettezza, maggiore sensibilità per temi forti come pace e giustizia sociale. E se la sinistra radicale non fosse ancora afflitta da quella malattia adolescenziale che è il massimalismo, la sintonia sarebbe ancora maggiore...». C’è pure l’atteggiamento ostentatamente liquidatorio di un Alberto Migone, direttore di «Toscana oggi» (25 mila copie): «Non ne scriviamo perché le persone ne sanno poco, bisogna vedere come vanno a finire queste operazioni, io stesso sono sprovveduto sul tema, arrivederci...». Ma molti altri, i più autorevoli, sono disposti all’analisi. Don Giorgio Zucchelli, direttore de «Il nuovo Torrazzo» di Crema, dal gennaio 2005 presidente nazionale della Federazione italiana settimanali cattolici: «Il Partito democratico? Perché non se ne scrive? Siamo di fronte a un puro futuribile che non crea ancora interesse, loro stessi appaiono divisi e ogni analisi diventa prematura». E l’incontro tra ex comunisti ed ex dc? «Presenta aspetti di grande interesse ma anche preoccupanti. E qui arriviamo forse al nodo, quello dei valori. Sarà l’orizzonte che ci interesserà nei prossimi decenni. Progettando il Partito democratico non ci può non essere immediata chiarezza su quel punto. Non si può lasciar covare sotto la cenere e affrontarlo solo a partito fondato... lo dico nell’interesse stesso del futuro raggruppamento. Ma comunque, vedrete, ben presto ce ne occuperemo». Aggiunge don Beppe Scapino, che dirige «Il giornale della comunità» a Fossano, provincia di Cuneo: «In molte testate cattoliche tira aria di normalizzazione. E poi lo strumento partito non viene più avvertito come essenziale. C’è forte disaffezione verso la politica e lo stesso incontro tra pezzi di ex Pci ed ex Dc non è più visto come qualcosa di innovativo». Torna il tema dell’attrazione verso la sinistra radicale: «Può dimostrarsi più lanciata nella difesa di valori come la pace, meno attenta alle mediazioni della politica. Forse l’adesione dei cattolici è meno numericamente rilevante ma diventa più visibile, evidente perché esplicita». Andrà davvero a finire così, tra la freddezza dei tanti e l’approdo dei pochi alla sinistra non riformista? Avverte Giovanni Franzoni, ex abate di San Paolo e da decenni esponente del cattolicesimo del dissenso: «Se il Partito democratico nasce come un’operazione per buttar fuori una fetta della sinistra, mi riconoscerò con altri sicuramente nei verdi, nei Comunisti italiani, nella sinistra di Rifondazione, in quella ds dei Salvi e dei Mussi. Comunque i cattolici del dissenso sono destinati a non essere riconosciuti come interlocutori, anche Berlinguer si rivolse alla Dc e ai cattolici già iscritti al Pci. Non a noi. Figuriamoci il Partito democratico...». Conclude Giovanni Avena, direttore editoriale di «Adista», 10 mila abbonati, agenzia di informazione religiosa dichiaratamente «extraistituzionale»: «Il silenzio delle riviste diocesane si spiega con l’attesa di un pronunciamento dei vertici della Conferenza episcopale sul Partito democratico. Poi gli stessi cattolici democratici sono divisi sull’opportunità di aderire alla formazione. E nella Margherita si annidano, secondo alcuni, troppi cattolici dissidenti. Che non vanno certo legittimati dall’alto... Ecco perché nessuno scrive del Partito democratico».
«Corriere della sera» del 16 aprile 2007

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