Il libro di Enzo Traverso discute le interpretazioni delle tragedie a catena che sconvolsero il Novecento
di Aurelio Lepre
Sul piano storiografico il tema della «guerra civile europea» combattuta nel XX secolo è certamente affascinante; su quello politico potrebbe essere ancora inquietante. La definizione nacque in uno dei momenti più drammatici della storia d’Europa, nella Grande guerra che devastò il continente dal 1914 al 1918: come ricorda Enzo Traverso nell’opera densa e complessa che ha dedicato all’argomento (A ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, Il Mulino), fu adoperata probabilmente per la prima volta dal pittore tedesco Franz Marc in una lettera scritta dal fronte. I grandi intellettuali di Francia, d’Inghilterra e di Germania, tranne, forse, Romain Rolland e pochi altri, in quegli anni non l’avrebbero accettata. Interpretavano il conflitto in corso come scontro tra civiltà e barbarie - e la civiltà era rappresentata dal proprio Paese e dai suoi alleati -, nel tentativo di dargli più nobili motivazioni. Thomas Mann, ricorda Traverso, lo considerò una lotta tra la Kultur, intesa come civiltà, e la Zivilisation, civilizzazione (nel senso che le avevano attribuito gli illuministi), vista da lui come sviluppo di una modernità senza anima. Da buon patriota attribuì la Kultur alla Germania e la Zivilisation alla Francia. Finita la guerra però, nel romanzo La montagna incantata, celebrò nel personaggio dell’illuminista Settembrini «l’intellettuale democratico, razionalista e progressivo», appartenente dunque più alla moderna Zivilisation che alla Kultur. Nel 1931 Ernst Jünger sostenne che quella guerra era stata un’Apocalisse in cui l’Europa aveva mosso guerra all’Europa: guerra civile, dunque, come conflitto interno a una stessa civiltà, tra due modi del tutto opposti d’intenderla. In questo senso, quella europea potrebbe essere paragonata anche alla guerra civile americana del 1861-65. Con l’enorme differenza che l’Europa sarebbe arrivata alla pace soltanto dopo una seconda guerra mondiale che, come rilevò ancora Jünger nel 1942, avrebbe superato, almeno sul fronte orientale, gli orrori di tutti i conflitti del passato e sarebbe stata, insieme, guerra di religione (nel senso di ideologia) e tra Stati e popoli. Jünger coglieva qui il carattere del tutto particolare della «guerra civile europea», paragonabile per questo aspetto a quella dei Trent’anni, che devastò l’Europa dal 1618 al 1648 e vide combattere i cattolici contro i protestanti, ma in una situazione resa estremamente complessa dall’esistenza anche di conflitti interstatali. Qualcosa di simile avvenne anche con la rivoluzione francese. I paragoni storici potrebbero continuare, senza peraltro rendere più chiara la definizione di «guerra civile europea», sintetica e suggestiva ma anche vaga e incerta, come nota Traverso. Può essere intesa almeno in tre modi: lotta di classe tra borghesia e proletariato; scontro tra fascismo e antifascismo; contrapposizione, come scriveva Jünger, tra due modi opposti d’intendere la civiltà europea. Questa si rifaceva a due differenti tradizioni sette-ottocentesche: l’illuministica e la romantico-nazionale. Traverso colloca l’antifascismo nella prima, ritornando più volte sui richiami degli antifascisti all’illuminismo; ricorda anche che l’intenzione di Goebbels di cancellare dall’Europa le conseguenze della Rivoluzione francese allargò e consolidò il fronte antifascista degli intellettuali. In questa prospettiva è possibile anche spiegare l’alleanza che, nel corso della guerra mondiale, si verificò tra il liberalismo e il comunismo. Erano tutti e due, rileva Traverso, figli dell’illuminismo. È un’interpretazione fondata, ma bisogna evitare di collocarla all’interno di uno schema provvidenziale, proprio sia della storiografia liberale sia di quella comunista: Traverso evita questo rischio, per esempio quando nota che «la violenza nata dal regresso della civiltà si unisce, attraverso una singolare dialettica, con la violenza moderna e tecnologica della moderna società industriale». Si può anche osservare che non sappiamo se l’alleanza tra liberalismo e comunismo, decisiva per sconfiggere il nazionalsocialismo, si sarebbe ugualmente verificata se il dittatore tedesco non avesse rotto il patto di non aggressione con l’Unione Sovietica e non l’avesse invasa (e se gli Stati Uniti non fossero intervenuti, ma anch’essi dopo essere stati attaccati dal Giappone). È un dubbio angosciante, ma del tutto legittimo. La guerra civile spagnola che, in fatto di alleanze, prefigurò gli schieramenti del secondo conflitto mondiale, semplificando, rileva Traverso, il triangolo liberalismo-comunismo-fascismo nella contrapposizione tra fascismo e antifascismo, terminò con la vittoria del primo. Traverso dà ampio spazio alle posizioni degli intellettuali, in pagine che sono tra le più interessanti dell’opera. Se però teniamo conto dello svolgimento reale della «guerra civile europea», soprattutto nella sua fase conclusiva, dal 1939 al 1945, vediamo che a deciderla non fu la superiorità di una visione del mondo su un’altra, tanto più che, nonostante si fossero momentaneamente alleati, il liberalismo e il comunismo rimasero inconciliabili e l’antifascismo non riuscì a farne una sintesi. La «guerra civile europea», allargatasi a conflitto mondiale, fu decisa dalla potenza militare e industriale degli Stati, e in primo luogo degli Usa e dell’Urss. Si può concordare con Traverso quando scrive che alcune guerre civili devono essere combattute. Credo però che la sua affermazione sia valida soprattutto per quelle combattute all’interno di una stessa civiltà, per risolvere le sue contraddizioni, e nemmeno per tutte: non per la Grande guerra (Niall Ferguson e John Keegan ci hanno spiegato che poteva essere evitata), ma soltanto per quella del 1939-45, quando l’Occidente, di cui anche il fascismo era figlio, compì scelte definitive. Che dovrebbero consentire di affidare ormai alla storia anche la «guerra civile europea», impedendo che la politica, come pure continua spesso ad avvenire, alimenti per i propri scopi pericolose memorie contrapposte.
L’autore e il saggio. Esce in liberia giovedì 24 maggio il saggio di Enzo Traverso (nella foto) intitolato «A ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945» (pagine 273, 23), edito dal Mulino. Un volume in cui l’autore esplora l’universo di orrori e sofferenze, ma anche di culture, idee e speranze, generato dai conflitti a catena che sconvolsero l’Europa nella prima metà del Novecento, per concludere che ci sono state anche guerre civili che valeva la pena di combattere. Traverso, nato nel 1957 e residente in Francia dal 1985, insegna nella facoltà di Scienze politiche dell’Università «Jules Verne» di Amiens: i suoi studi si sono particolarmente focalizzati sulle ideologie del XX secolo. Tra le sue opere: «Gli ebrei e la Germania» (Il Mulino), «Il totalitarismo» (Bruno Mondadori), «La violenza nazista» (Il Mulino), «Auschwitz e gli intellettuali» (Il Mulino), «Il passato: istruzioni per l’uso» (Ombre corte).
« Corriere della Sera » del 19 maggio 2007
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