Il nuovo saggio dello studioso israeliano Zeev Sternhell sulle conseguenze storiche dell’antilluminismo
di Dino Messina
Da Croce a Furet, da Berlin a Bauman gli avversari inattesi del razionalismo
È passato un quarto di secolo dalla prima edizione di Né destra né sinistra, il libro rivoluzionario in cui Zeev Sternhell, uno dei maggiori storici israeliani, individuava le radici del fascismo non semplicemente nella crisi derivante dalla prima guerra mondiale, ma nel pensiero e nei movimenti irrazionalisti che si diffusero in Europa alla fine dell’Ottocento. Oggi questo studioso ci offre un’opera monumentale, Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla Guerra fredda, edita in Italia come quasi tutti i suoi libri da Baldini Castoldi Dalai. Docente di Scienze politiche all’Università di Gerusalemme, in questi giorni a Parigi, Sternhell ci spiega che l’oggetto delle sue ricerche non è semplicemente cambiato, ma si è enormemente allargato, sino a comprendere quasi tre secoli. «Nei miei saggi come Né destra né sinistra o Nascita dell’ideologia fascista riflettevo sul fascismo, centro del lungo movimento antilluminista che nasce contestualmente alla filosofia dei Lumi e si estende attraverso varie tappe e forme sino ai nostri giorni». La catastrofe europea del Novecento, è questo uno dei contributi originali del nuovo saggio di Sternhell, «non è solo il prodotto della Grande Guerra nè della crisi di fine secolo, ma è parte di un’onda lunga che da Giambattista Vico, Johann Gottfried Herder ed Edmund Burke arriva sino ai neoconservatori americani». Intendiamoci, Sternhell non criminalizza alcuna forma di pensiero, ma individua quelle correnti che contro i Lumi e la Rivoluzione francese predicano «l’antirazionalismo, l’antiuniversalismo, l’idea che la comunità sia più importante dell’individuo». Nato come reazione al pensiero di Hume, Kant, Rousseau, Montesquieu, «l’antilluminismo - spiega Sternhell - diventa presto corrente autonoma. Per far capire di che cosa parliamo, consideriamo il concetto di nazione: ai due estremi abbiamo da un lato la definizione dell’Enciclopedia di Diderot e D’Alembert secondo cui la nazione è una collezione di individui che vivono nello stesso territorio sotto lo stesso governo. Una definizione asettica, nessun accenno alla storia, alla cultura, al linguaggio, alla religione. All’estremo opposto abbiamo Herder, che definiva la nazione come un corpo vivente in cui gli arti sono gli individui». Dal punto di vista politico, Sternhell non esita a individuare nel nazionalismo polacco il più estremo interprete europeo dell’antilluminismo. Mentre non ci sono dubbi che dal punto di vista intellettuale «il più caratteristico movimento antilluminista sia rappresentato dai neoconservatori americani». Lo storico israeliano dedica alcune pagine nella parte finale del suo saggio a Gertrude Himmelfarb, definita «gran badessa del neoconservatorismo americano» che prosegue una «linea di pensiero inaugurata da Burke», il quale dissocia la Gloriosa rivoluzione inglese del 1689 dalla Rivoluzione francese di un secolo dopo. I neoconservatori statunitensi si inscrivono dunque, secondo Sternhell, nella grande corrente di pensiero che tende a isolare «la diabolica specificità della Rivoluzione francese», negando quindi la portata dei valori universali a vantaggio della comunità e della tradizione. In oltre seicento pagine di un saggio dotto e appassionato incontriamo protagonisti del pensiero anche a noi vicini, ai quali Sternhell non risparmia critiche severe. È il caso di Benedetto Croce. «L’inizio di una storia - ci dice lo storico - è importante quanto la sua fine. Così il Croce che alla fine dell’Ottocento si scagliava contro Rousseau, i Lumi e la democrazia è importante quanto il Croce autore del manifesto antifascista. Il leader liberale del secondo dopoguerra non può cancellare il predicatore antilluminista che appoggiò il Mussolini degli inizi. La parabola di questo filosofo italiano ci dice quanto importanti siano le idee, destinante spesso a diventare realtà nel futuro». Non v’è dubbio che Sternhell sia un convinto assertore della filosofia dei Lumi e dei principi universali affermati con la Rivoluzione francese. Una scelta di campo che non lo fa esitare nemmeno davanti a personaggi come Hannah Arendt, Isaiah Berlin, François Furet o Zygmunt Bauman. Alla Arendt Sternhell imputa «uno di quegli errori di prospettiva che contribuiscono ancora oggi a rendere oscuro l’orizzonte». Al centro della querelle lo sterminio degli ebrei. L’autrice di Le origini del totalitarismo mette in discussione «la stessa modernità, fino ad attaccare la Rivoluzione francese e i diritti dell’uomo». La Arendt scrive, ispirandosi a Burke, che «la perdita dei diritti nazionali ha portato con sè in tutti i casi la perdita dei diritti umani... Gli internati nei campi di concentramento hanno potuto rendersi conto... che l’astratta nudità dell’essere-nient’altro-che-uomo era il loro massimo pericolo». Per Sternhell invece «gli ebrei non furono sterminati perché, decaduti dalla cittadinanza, restava loro la sola qualità di essere umani, ma proprio perché questa qualità era loro negata, perché l’idea di una natura umana comune a tutti gli uomini, l’idea di un diritto naturale valido per tutti e per sempre era scomparsa nel corso della lunga lotta contro i Lumi». Si vede qui quanto vitali Sternhell consideri i principi illuministici. Da difendere sempre anche a costo di attaccare un pensatore liberale come Isaiah Berlin, il quale considerava, sulla scorta di Friedrich Meinecke, il razionalismo come «radice del male», perché «conduce all’utopia, all’idea, di tutte la più nefasta, secondo la quale l’uomo è in grado di cambiare il mondo; uccide gli istinti e le forze vitali; distrugge i legami quasi carnali che uniscono i membri di una comunità etnica; ci fa vivere in un mondo chimerico». Convinto che l’utopia portasse al disastro un altro grande storico e amico di Sternhell, François Furet, lo studioso della Rivoluzione francese che negli ultimi anni di vita «si era avvicinato non solo al pensiero neoconservatore ma anche alle analisi di Ernst Nolte che considera il nazismo come una reazione naturale e legittima alla rivoluzione russa». Con Octavio Paz, ci dice Sternhell, «sono convinto che le utopie siano i sogni della ragione: possono avere effetti disastrosi ma nello stesso tempo ci aprono orizzonti per il futuro. Non per questo dobbiamo rassegnarci al fatto che il mondo non possa essere cambiato. La rivoluzione sovietica non è il solo modo di introdurre cambiamenti. Pensiamo alla democrazia che un secolo e mezzo fa nella maggior parte del mondo era considerata un’utopia, o al suffragio per le donne che cento anni fa in Europa era un sogno o ancora alla legislazione sociale, uno dei fattori che ha reso il vecchio continente il luogo dove si vive meglio nel mondo». Sternhell considera Jürgen Habermas il maggiore rappresentante del pensiero illuminista oggi in Europa e Jacques Derrida, il filosofo francese morto nell’ottobre 2004, come il suo più valido antagonista, anche se arrivava a sostenere il paradosso che «ci sarebbe solo un passo tra l’umanesimo, quale che sia, e il razzismo, il colonialismo e l’eurocentrismo». Ancora più paradossale il sociologo britannico di origini ebraico-polacche Zygmunt Bauman: «Ma ho difficoltà a prenderlo sul serio. Non posso pensare che l’Olocausto, come sostiene Bauman, abbia radici nell’Illuminismo. L’Olocausto non può avere radici nei diritti umani, nel razionalismo. È un’aberrazione».
L’autore: un anticonformista, Zeev Sternhell, 72 anni, docente di Scienze politiche all’università di Gerusalemme, è l’autore di «Contro l’Illuminismo - dal XVIII secolo alla Guerra fredda», editore Baldini Castoldi Dalai, traduzione di Massimo Giuffredi e Ilaria La Fata (pagine 655, 20). Tra i suoi saggi, «Né sinistra né destra» e «Nascita dell’ideologia fascista».
«Corriere della sera» del 15 maggio 2007
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