Un libro di Bosetti sullo «spin»
di Antonio Carioti
L’aumento dei canali tv via cavo non migliora la situazione
Decretata a più riprese nel Novecento, la morte delle ideologie pare ancora una volta rinviata a data da destinarsi. Anzi il XXI secolo si è aperto all’insegna di un nuovo prodotto per il condizionamento del pensiero, un oppiaceo ad alto contenuto ideologico che viene spacciato in quantità industriale dai media. A denunciarlo è Giancarlo Bosetti, direttore della rivista Reset e critico affilato delle comunicazioni di massa. Dopo Cattiva maestra televisione, in cui deprecava, assieme al filosofo liberale Karl Popper, gli effetti dannosi della videodipendenza, torna ora alla carica con il pamphlet Spin (Marsilio, pp. 219, 13), nel quale passa in rassegna le quotidiane manipolazioni mediatiche del potere politico. Un governo è in difficoltà? Subito mette in circolazione qualche falso allarme a forte impatto emotivo, in modo da far retrocedere la notizia dei suoi problemi nella titolazione dei telegiornali. Un leader non ha mantenuto le promesse fatte agli elettori? Eccolo scagliare sugli avversari attacchi personali di estrema virulenza, così che il frastuono delle invettive copra la sostanza delle questioni. Sono solo due casi di quello che gli anglosassoni chiamano appunto spin, cioè la tecnica per suggestionare gli elettori, spesso con l’aiuto di giornalisti compiacenti, allo scopo di conquistare e conservare il consenso. Un fenomeno che tocca in televisione il suo apice e che non è stato per nulla intaccato, in America, dalla rivoluzione digitale che ha moltiplicato i canali. Infatti la tv via cavo ha generato un «incanalamento politico dell’audience» per cui gli ascoltatori finiscono per guardare programmi di parte che consolidano i loro pregiudizi e contribuiscono a polarizzarne le opinioni, rendendo sempre più difficile un confronto serio e pacato sui temi d’interesse pubblico. Secondo Bosetti, la grande beneficiaria di tale processo, che senza dubbio indebolisce la qualità della vita democratica, è la destra, americana e italiana, molto più attrezzata, spregiudicata e aggressiva dei suoi antagonisti. Senza dosi massicce di spin, sostiene l’autore, George W. Bush non sarebbe stato rieletto nel 2004, quando già il disastro iracheno era evidente, né Silvio Berlusconi avrebbe sfiorato la vittoria nel 2006, dopo cinque anni di governo non proprio esaltanti. Nessuno dei due esempi, però, appare convincente fino in fondo. Se certamente alla rielezione di Bush hanno contribuito il suo fido assistente Karl Rove e il direttore di Fox News Roger Ailes, maghi della manipolazione informativa, bisogna tuttavia considerare che nel 2004 in Iraq la partita appariva assai più aperta di quanto non risulti oggi e che comunque la convinzione degli americani di essere in guerra, da cui deriva la loro disponibilità a tollerare gli insuccessi bellici, non è stata creata da un sapiente spin, ma dall’11 settembre. Senza contare che il rivale di Bush nel 2004, John Kerry, non brillava per carisma e affidabilità. Quanto all’Italia, nessuno può sottovalutare il potere catodico del Cavaliere e la sua capacità di usarlo, ma è anche vero che l’alternativa al centrodestra, una coalizione eterogenea dal programma alquanto fumoso, non era tale da ispirare fiducia a prima vista. Giusto condannare lo spin e avanzare proposte per attenuarne l’influenza, ma attribuire a quel fattore tutte le sconfitte della sinistra sarebbe una palese esagerazione.
«Corriere della sera» del 23 maggio 2007
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