di Massimo Gramellini
L’ultima inchiesta Doxa certifica che 45 adolescenti su cento non leggono neppure un libro al di fuori di quelli scolastici. Ecco il classico modo di iniziare la giornata con una notizia deprimente. Quando invece basterebbe girarla così: 55 ragazzi su cento leggono almeno un libro l’anno e 26 addirittura più di tre. Vi pare poco? Significa che oltre un quarto della popolazione giovanile italiana intrattiene un rapporto costante con la parola scritta su carta rilegata. Un’abitudine che di per sé non basta a preservare dall'ignoranza, ma di certo aiuta a combattere la superficialità, della quale rimangono vittime coloro che affidano il proprio sapere esclusivamente alla parola elettronica e alle immagini.
Il 26 per cento non sarebbe un numero da buttare via. Il problema è che dei tanti ragazzi che ne fanno parte non si trova mai traccia in televisione, cioè nel luogo che continua a fornire i modelli di riferimento. Nelle gabbie dei «reality» o sui tronetti dei teledibattiti pomeridiani sguazza un campionario adolescenziale che predilige la disinvoltura all'intelligenza, la battuta volgare ma urlata all'osservazione folgorante ma farfugliata. La tv riproduce i meccanismi delle compagnie giovanili, dove l’arroganza disinibita del «simpatico» mette in ombra la sensibilità dei più riflessivi. Perché i «format» televisivi, proprio come certi doposcuola, sono incompatibili con la timidezza, che produce silenzi, imbarazzi, tempi morti. Chissà cosa sarebbe un’edizione del Grande Fratello piena di ragazzi che leggono romanzi e poi se li raccontano a vicenda. Una noia, forse. O una meraviglia.
Il 26 per cento non sarebbe un numero da buttare via. Il problema è che dei tanti ragazzi che ne fanno parte non si trova mai traccia in televisione, cioè nel luogo che continua a fornire i modelli di riferimento. Nelle gabbie dei «reality» o sui tronetti dei teledibattiti pomeridiani sguazza un campionario adolescenziale che predilige la disinvoltura all'intelligenza, la battuta volgare ma urlata all'osservazione folgorante ma farfugliata. La tv riproduce i meccanismi delle compagnie giovanili, dove l’arroganza disinibita del «simpatico» mette in ombra la sensibilità dei più riflessivi. Perché i «format» televisivi, proprio come certi doposcuola, sono incompatibili con la timidezza, che produce silenzi, imbarazzi, tempi morti. Chissà cosa sarebbe un’edizione del Grande Fratello piena di ragazzi che leggono romanzi e poi se li raccontano a vicenda. Una noia, forse. O una meraviglia.
«La Stampa» del 14 giugno 2007
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