Quella genetica è solo una delle chiavi dell'evoluzione: c'è una quarta dimensione, quella simbolica. Parla Eva Jablonka
di Mario Gargantini
La scienziata polacca contro il «politically correct» del neo-darwinismo, ma anche contro il fondamentalismo dei creazionisti americani
L'aspetto è quello di una persona semplice e mite ma determinata e animata da convinzioni ben precise: è Eva Jablonka, una studiosa di origine polacca che vive e insegna all'Università di Tel Aviv e si propone nientemeno che di «mettere in discussione quella versione genocentrica del neo-darwinismo che negli ultimi cinquant'anni ha dominato il pensiero biologico». Ritiene infatti del tutto insoddisfacenti le teorie evolutive che vanno per la maggiore, che mettono l'enfasi unicamente sul Dna, sulla casualità delle sue mutazioni e sulla sua capacità di trasmettere le informazioni ereditarie lungo la catena dei viventi. Certo, schierarsi contro le posizioni dominanti è sempre un po' scomodo e, in questo caso anche rischioso sul piano della comunicazione: nel clima polemico creatosi attorno a questo tema, è facile che una posizione critica nei confronti del darwinismo venga subito etichettata, e squalificata, come creazionista e "quindi" antiscientifica. Lei non accetta questa sottile forma di ricatto e rivendica l'esigenza, intrinseca ad ogni seria impresa culturale, di «mettere al primo posto il rispetto della verità e la fedeltà a quanto i dati raccolti possono documentare».
È comunque molto ferma nel dissipare ogni ombra di creazionismo dalla sua posizione. Incontrandola a Milano, in occasione della presentazione del libro L'evoluzione in quattro dimensioni (Utet) scritto con Marion Lamb, abbiamo avuto conferma di quanto si poteva leggere tra le righe di un testo che si muove rigorosamente su un piano puramente scientifico: quanto più la nostra capacità di descrivere la natura si fa raffinata, tanto più emerge la bellezza e la ricchezza della creazione; e chi, come molti sostenitori dell'Intelligent Design, ricorre agli interventi diretti di Dio per compensare i "buchi" della scienza, non solo fa un'operazione metodologicamente scorretta, ma riduce la possibilità di cogliere ovunque i segni di quella ricchezza.
Ed è proprio dalla varietà della natura che hanno preso le mosse Jablonka e Lamb per costruire quella che, secondo alcuni, potrebbe rappresentare una "nuova sintesi" delle teorie evolutive. Interrogandosi su cosa determini l'ereditarietà, cioè la trasmissione dei caratteri da una generazione all'altra, le due scienziate hanno raccolto una enorme messe di dati sufficiente a mettere in crisi il dogma centrale della biologia molecolare: non tutta la variazione genetica, sostengono, avviene per puro caso ed esistono meccanismi che rendono possibili cambiamenti del patrimonio genetico indotti da fattori esterni al Dna. Insomma, le mutazioni casuali non sono l'unico modo di trasmettere l'informazione ereditaria e quindi tale trasmissione non sarebbe il risultato di una grande roulette ma farebbe intravedere dei percorsi in qualche modo guidati. Quella genetica è solo una delle strade, una delle dimensioni, come le chiama Jablonka; ad essa vanno aggiunte quella cosiddetta epigenetica, quella comportamentale e quella simbolica.
Spiegare la dimensione epigenetica è piuttosto difficile e Jablonka si aiuta con un'efficace analogia: quella della trasmissione di un brano musicale. «Lo spartito, che è l'analogo dell'informazione genetica, si trasmette nel tempo insieme alle sue eventuali modifiche e ai casuali errori di trascrizione; l'esecuzione, corrispondente ai caratteri acquisiti, non viene tramandata ai posteri. Ciò però avveniva in passato; ma da quasi un secolo non è più così: i moderni strumenti di registrazione musicale consentono di trasmettere le esecuzioni e talvolta accade che una particolare performance introduca variazioni sulla stessa partitura che vengono poi trasferite ai posteri. Ecco quindi che un carattere acquisito diventa ereditario». L'affermazione ha il sapore dell'eresia, e fa sussultare chi è abbarbicato al darwinismo ideologico; ricorda il modello lamarkiano, un tabù della biologia moderna, che ogni studente liceale ha imparato a considerare con ironia, come ingenuo tentativo di interpretazione de lla natura reso inutile dopo il trionfo delle tesi darwiniane. Il fatto è che da una trentina d'anni gli esempi di sistemi ereditari epigenetici, che cioè trasmettono informazioni non genetiche alla progenie, sono ben noti e documentati e Jablonka si dichiara «più interessata a considerare i fatti che ad obbedire al politically correct che vieta ogni riferimento al lamarckismo».
Questa posizione diventa ancor più impegnativa in riferimento alle altre due dimensioni dell'evoluzione. Jablonka cita numerosi esempi di «comportamenti sviluppati come risposta all'ambiente o assimilati attraverso un processo di apprendimento, che vengono scelti dalla selezione e diventano comportamenti innati. Nel caso degli animali, si tratta di abitudini alimentari, riproduttive, abitative, acquisite tramite le interazioni sociali con altri individui della stessa specie; ciò può avvenire in diverse forme: tramite il trasferimento di sostanze che influiscono sui comportamenti, tramite l'imprinting o per imitazione dei genitori».
Nel caso dell'uomo tutte le dinamiche precedenti si manifestano ma emerge un elemento di discontinuità che rende l'evoluzione umana totalmente diversa da quella di ogni altro vivente. «Con l'uomo si afferma la quarta dimensione dell'evoluzione, quella simbolica, già indicata dal filosofo Ernst Cassirer come distintiva degli esseri umani, da lui definiti come animali simbolici. È la dimensione che si esprime attraverso la razionalità, il linguaggio, l'espressione artistica e l'esperienza religiosa; e che assume un ruolo determinante nella nostra storia evolutiva». Nella sua visione pluridimensionale, Jablonka vede tutte le quattro modalità di trasmissione dell'informazione interagire tra loro e plasmare così il cammino evolutivo; che non procede più alla cieca, in balìa delle fortuite mutazioni genetiche. I cambiamenti nella storia dei viventi non devono più aspettare la casualità delle variazioni genetiche e la successiva selezione naturale.
Con la comparsa dell'uomo, «i simboli diventano i principali protagonisti dell'evoluzione» e l'emergere del nuovo non è solo conseguenza di incidenti nella duplicazione del Dna ma può essere l'esito positivo di fenomeni di apprendimento e di creatività. Così gli elementi non materiali dell'esistenza umana fanno il loro ingresso nel tempio della spiegazione scientifica: e vi entrano a pieno titolo, dalla porta principale.
È comunque molto ferma nel dissipare ogni ombra di creazionismo dalla sua posizione. Incontrandola a Milano, in occasione della presentazione del libro L'evoluzione in quattro dimensioni (Utet) scritto con Marion Lamb, abbiamo avuto conferma di quanto si poteva leggere tra le righe di un testo che si muove rigorosamente su un piano puramente scientifico: quanto più la nostra capacità di descrivere la natura si fa raffinata, tanto più emerge la bellezza e la ricchezza della creazione; e chi, come molti sostenitori dell'Intelligent Design, ricorre agli interventi diretti di Dio per compensare i "buchi" della scienza, non solo fa un'operazione metodologicamente scorretta, ma riduce la possibilità di cogliere ovunque i segni di quella ricchezza.
Ed è proprio dalla varietà della natura che hanno preso le mosse Jablonka e Lamb per costruire quella che, secondo alcuni, potrebbe rappresentare una "nuova sintesi" delle teorie evolutive. Interrogandosi su cosa determini l'ereditarietà, cioè la trasmissione dei caratteri da una generazione all'altra, le due scienziate hanno raccolto una enorme messe di dati sufficiente a mettere in crisi il dogma centrale della biologia molecolare: non tutta la variazione genetica, sostengono, avviene per puro caso ed esistono meccanismi che rendono possibili cambiamenti del patrimonio genetico indotti da fattori esterni al Dna. Insomma, le mutazioni casuali non sono l'unico modo di trasmettere l'informazione ereditaria e quindi tale trasmissione non sarebbe il risultato di una grande roulette ma farebbe intravedere dei percorsi in qualche modo guidati. Quella genetica è solo una delle strade, una delle dimensioni, come le chiama Jablonka; ad essa vanno aggiunte quella cosiddetta epigenetica, quella comportamentale e quella simbolica.
Spiegare la dimensione epigenetica è piuttosto difficile e Jablonka si aiuta con un'efficace analogia: quella della trasmissione di un brano musicale. «Lo spartito, che è l'analogo dell'informazione genetica, si trasmette nel tempo insieme alle sue eventuali modifiche e ai casuali errori di trascrizione; l'esecuzione, corrispondente ai caratteri acquisiti, non viene tramandata ai posteri. Ciò però avveniva in passato; ma da quasi un secolo non è più così: i moderni strumenti di registrazione musicale consentono di trasmettere le esecuzioni e talvolta accade che una particolare performance introduca variazioni sulla stessa partitura che vengono poi trasferite ai posteri. Ecco quindi che un carattere acquisito diventa ereditario». L'affermazione ha il sapore dell'eresia, e fa sussultare chi è abbarbicato al darwinismo ideologico; ricorda il modello lamarkiano, un tabù della biologia moderna, che ogni studente liceale ha imparato a considerare con ironia, come ingenuo tentativo di interpretazione de lla natura reso inutile dopo il trionfo delle tesi darwiniane. Il fatto è che da una trentina d'anni gli esempi di sistemi ereditari epigenetici, che cioè trasmettono informazioni non genetiche alla progenie, sono ben noti e documentati e Jablonka si dichiara «più interessata a considerare i fatti che ad obbedire al politically correct che vieta ogni riferimento al lamarckismo».
Questa posizione diventa ancor più impegnativa in riferimento alle altre due dimensioni dell'evoluzione. Jablonka cita numerosi esempi di «comportamenti sviluppati come risposta all'ambiente o assimilati attraverso un processo di apprendimento, che vengono scelti dalla selezione e diventano comportamenti innati. Nel caso degli animali, si tratta di abitudini alimentari, riproduttive, abitative, acquisite tramite le interazioni sociali con altri individui della stessa specie; ciò può avvenire in diverse forme: tramite il trasferimento di sostanze che influiscono sui comportamenti, tramite l'imprinting o per imitazione dei genitori».
Nel caso dell'uomo tutte le dinamiche precedenti si manifestano ma emerge un elemento di discontinuità che rende l'evoluzione umana totalmente diversa da quella di ogni altro vivente. «Con l'uomo si afferma la quarta dimensione dell'evoluzione, quella simbolica, già indicata dal filosofo Ernst Cassirer come distintiva degli esseri umani, da lui definiti come animali simbolici. È la dimensione che si esprime attraverso la razionalità, il linguaggio, l'espressione artistica e l'esperienza religiosa; e che assume un ruolo determinante nella nostra storia evolutiva». Nella sua visione pluridimensionale, Jablonka vede tutte le quattro modalità di trasmissione dell'informazione interagire tra loro e plasmare così il cammino evolutivo; che non procede più alla cieca, in balìa delle fortuite mutazioni genetiche. I cambiamenti nella storia dei viventi non devono più aspettare la casualità delle variazioni genetiche e la successiva selezione naturale.
Con la comparsa dell'uomo, «i simboli diventano i principali protagonisti dell'evoluzione» e l'emergere del nuovo non è solo conseguenza di incidenti nella duplicazione del Dna ma può essere l'esito positivo di fenomeni di apprendimento e di creatività. Così gli elementi non materiali dell'esistenza umana fanno il loro ingresso nel tempio della spiegazione scientifica: e vi entrano a pieno titolo, dalla porta principale.
«Avvenire» d4ell’8 giugno 2007
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