di Lietta Tornabuoni
Parlare di parità tra donne e uomini a proposito di pensioni è una menzogna sfacciata, e magari anche una gran porcheria. Eppure con aria virtuosa, convinti di dire qualcosa di equo, civile, moderno, tutti sembrano d’accordo: fissare l’età pensionabile a 65 anni per le lavoratrici pubbliche è un nuovo passo sulla via della parità; del resto corrisponde a un ordine europeo, non ci sono rimedi, bisogna farlo ed è giusto così.
Ma dovremmo sapere tutti che le indicazioni europee non sono mai state considerate ultimatum o diktat (altrimenti i conti pubblici, nostri e altrui, sarebbero in altre condizioni): sono appunto indicazioni, con le quali si può patteggiare, rinviare, limitare e arrangiarsi, almeno nel Paese delle pensioni baby. Dovremmo sapere tutti che le indicazioni europee diventano imperiose e impossibili da non rispettare soltanto quando convengono ai governi, quando rappresentano un buon pretesto per fare quanto serve ai governi e far sì che siano i cittadini a pagarne il prezzo. Quanto alla parità, è vergognoso usare una causa giusta per ottenere un risultato ingiusto. Nel lavoro, tra i due sessi non esiste parità. Semplicemente, gli uomini svolgono un compito, le donne ne svolgono due. Oltre le fatiche d’ufficio o di fabbrica, le donne debbono infatti affrontare contemporaneamente le fatiche domestiche (la spesa, cucinare, spazzare, fare i letti, spolverare, il bucato, stirare): oppure i nostri governanti credono che, come a casa loro, per lavori simili ci siano le domestiche, le cuoche, il personale di servizio? Insieme con le fatiche domestiche, alle donne sono riservate le fatiche della maternità: non soltanto mettere al mondo figli ma anche occuparsi di loro, comprenderli, aiutarli e curarli, dargli una mano con i compiti, educarli e istruirli: dato che in genere i padri li ignorano. Tutti dicono infine che a sessant’anni le donne sono in gamba, che le aspettative di vita si sono allungate, che le cifre della vecchiaia sono cambiate: questo sarebbe vero, ma due lavori svolti con relative responsabilità per venti anni e più stroncherebbero chiunque.
Quando si sente una notizia, alla televisione o altrove, specie se riguarda gli altri (se ci riguarda personalmente, lo sappiamo già) sarebbe meglio rifletterci con attenzione: e non farsi prendere in giro.
Ma dovremmo sapere tutti che le indicazioni europee non sono mai state considerate ultimatum o diktat (altrimenti i conti pubblici, nostri e altrui, sarebbero in altre condizioni): sono appunto indicazioni, con le quali si può patteggiare, rinviare, limitare e arrangiarsi, almeno nel Paese delle pensioni baby. Dovremmo sapere tutti che le indicazioni europee diventano imperiose e impossibili da non rispettare soltanto quando convengono ai governi, quando rappresentano un buon pretesto per fare quanto serve ai governi e far sì che siano i cittadini a pagarne il prezzo. Quanto alla parità, è vergognoso usare una causa giusta per ottenere un risultato ingiusto. Nel lavoro, tra i due sessi non esiste parità. Semplicemente, gli uomini svolgono un compito, le donne ne svolgono due. Oltre le fatiche d’ufficio o di fabbrica, le donne debbono infatti affrontare contemporaneamente le fatiche domestiche (la spesa, cucinare, spazzare, fare i letti, spolverare, il bucato, stirare): oppure i nostri governanti credono che, come a casa loro, per lavori simili ci siano le domestiche, le cuoche, il personale di servizio? Insieme con le fatiche domestiche, alle donne sono riservate le fatiche della maternità: non soltanto mettere al mondo figli ma anche occuparsi di loro, comprenderli, aiutarli e curarli, dargli una mano con i compiti, educarli e istruirli: dato che in genere i padri li ignorano. Tutti dicono infine che a sessant’anni le donne sono in gamba, che le aspettative di vita si sono allungate, che le cifre della vecchiaia sono cambiate: questo sarebbe vero, ma due lavori svolti con relative responsabilità per venti anni e più stroncherebbero chiunque.
Quando si sente una notizia, alla televisione o altrove, specie se riguarda gli altri (se ci riguarda personalmente, lo sappiamo già) sarebbe meglio rifletterci con attenzione: e non farsi prendere in giro.
«La Stampa» del 10 giugno 2010
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