di Guido Caldiron
«Un tempo ero umano. Almeno così dicono. Io non ricordo, ma la gente che mi ha conosciuto da piccolo racconta che camminavo su due piedi come un essere umano». Animal è un bambino di pochi giorni quando viene trovato per strada, la notte in cui la fabbrica chimica americana che sorge nel piccolo vilaggio indiano in cui è nato sparge i suoi veleni nell’aria. Nessuno pensava che sarebbe sopravvissuto, ma lui ce l’ha fatta anche se completamente deformato. Quando la spina dorsale ha smesso di fondersi per effetto dei gas diffusi nell’atmosfera, le ossa erano piegate come una forcina e la parte più alta di lui era il sedere: un essere umano che avrebbe camminato per sempre “a quattro zampe”, come un animale.
Nel suo romanzo Animal - pubblicato nel 2007 in Gran Bretagna e proposto al pubblico italiano lo scorso anno da Neri Pozza (pp. 432, euro 17,50) -, lo scrittore Indra Sinha dà voce alle vittime della tragedia di Bhopal, la città indiana dove nella notte fra il 2 e 3 dicembre 1984 i gas fuoriusciti dalla fabbrica chimica della Union Carbide of India Limited uccisero migliaia di persone e avvelenarono per sempre terra, aria e acqua. Nato a Bombay, figlio di un ufficiale di marina indiano e di una scrittrice inglese, Sinha ha così costruito un omaggio alla memoria di quelle vittime e una sorta di monito per il futuro. Animal è così diventato un “romanzo-evento” della recente stagione letteraria britannica, finalista al Booker Prize, vincitore del Commonwealth Writers’ Prize, Animal: una di quelle rare opere in cui un tragico evento reale consente alla letteratura di celebrare la vita descrivendo lucidamente la crudeltà del male.
All’indomani della sentenza che ieri, a più di 25 anni dai fatti, non ha condannato che pochi dirigenti indiani della multinazionale americana, ripercorriamo con Indra Sinha la genesi del suo romanzo e il suo impegno a favore della popolazione di Bhopal.
Il suo romanzo si apre con un escamotage, vale a dire spiegando come si tratti in realtà della trascrizione di nastri registrati da un ragazzo indiano di diciannove anni. Perché questa scelta?
Prima di tutto perché volevo spiegare come Animal non arrivi da un altro pianeta, ma sia un essere umano esattamente come me, come lei, come qualunque altra persona. Ha registrato la sua storia su dei nastri perché un giornalista che indaga su quanto accaduto possa alla fine raccontarla al mondo intero. Così Animal si rivolge ai lettori del libro chiamandoli “eyes”, occhi, vuole che siano loro a vedere direttamente ciò che è successo a lui e a tanti altri come lui. C’era perciò bisogno che affermassi in modo molto netto che quella raccontata nel libro era una storia vera, a cui dare credito. Anche se in realtà tutto nel libro è solo ispirato alla tragedia di Bhopal che è, per così dire, ricostruita nella dimensione del romanzo...
Sono passati tanti anni da quella tragedia, che effetto ha avuto questo romanzo sull’opinione pubblica internazionale e come è stato recepito?
Come vi sentireste se tutto questo accadesse qui? Sono passati 25 anni dalla tragedia eppure le persone, poverissime, continuano a bere l’acqua avvelenata, la sola che hanno. Il tasso di deformazioni alla nascita è 10 volte superiore a quello del resto dell’India. Ma questo non importa a nessuno. Il governo è assente. Ciò che più colpisce è vedere una comunità che non reagisce all’ingiustizia con la violenza, ma con il riso, l’arte, lo humor e un’enorme esplosione di consapevolezza politica. Il protagonista del mio romanzo, Animal, così chiamato perché cammina a 4 zampe per colpa dei danni causati dai gas alla sua spina dorsale, fugge lo stereotipo della pietà. Trattare con iniquità i poveri è il modo migliore per formare degli estremisti. Mi risulta che il proprietario dell’industria chimica sia ancora attivo. Il governo indiano, per tutelare i propri interessi, continua a fare affari con chi non ha alcun riguardo per la vita. Molta critica ha voluto paragonare Animal a Quasimodo. Personalmente non condiviso questo punto di vista, perché in realtà in India la deformità fisica non è sinonimo di emarginazione. E’ piuttosto il disagio sociale a emarginare.
La stesura di “Animal” le ha preso cinque anni, durante i quali lei ha però partecipato anche alla campagna di solidarietà nei confronti della popolazione colpita dalle esalazioni dell’industria chimica. Come si sono mescolate queste due esperienze?
Ci ho messo cinque anni per scrivere questo libro. Questo perché quando comincio la stesura di un romanzo non so mai fino in fondo dove mi condurrà, non pianifico tutto in anticipo. Parto da una sensazione, dai “colori” che voglio dare alla storia, dai personaggi principali, ma certo non prevedo cosa potrà succedere nel corso della storia. In questo caso, però, le cose sono state anche più complicate, perché ero coinvolto direttamente, emotivamente, in quello che stavo scrivendo. Così per quasi tre anni ho lasciato da parte il romanzo è ho seguito l’attività dei comitati dei cittadini e ho sostenuto tre miei amici che hanno condotto un lungo sciopero della fame per chiedere al governo indiano di impegnarsi a favore della popolazione colpita dalla tragedia. Abbiamo creato un sito internet, organizzato conferenze stampa, offerto supporto materiale a molte persone colpite dai gas tossici e ai medici di tutto il mondo accorsi in India per soccorrerli: eravamo impegnati diciotto ore al giorno ma ne valeva la pena. E il mio libro è perciò anche il risultato di tutto questo.
La letteratura può, in questo senso, contribuire a che si mantenga la memoria storica degli eventi.? Può la figura di Animal assicurare una sorta di perennità alla tragedia che ha colpito la gente di Bhopal?
Talvolta i personaggi di un libro possono essere più “reali” di una persona in carne ed ossa che però non conosciamo abbastanza. Personalmente mi sono formato con la letteratura inglese e devo confessare che Elizabeth Bennet, l’eroina di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, era per me molto più reale della mia dirimpettaia di quando vivevo a Londra, che conoscevo a malapena. Comunque sì, credo che i personaggi dei romanzi possano aiutare a ricordare, o addirittura a rendere perenni certi eventi. Certo, i romanzi devono il loro successo soprattutto alle figure dei loro protagonisti, che sono in grado o meno di colpire e stregare la fantasia dei lettori, più che al contesto storico o sociale che hanno come sfondo. Ma proprio la memoria delle loro vicende può contribuire a ricordare questo o quell’avvenimento del passato. In questo senso voglio credere che Animal possa davvero continuare ad evocare per tutti quanto accaduto in India in quel terribile 1984.
Nel suo romanzo Animal - pubblicato nel 2007 in Gran Bretagna e proposto al pubblico italiano lo scorso anno da Neri Pozza (pp. 432, euro 17,50) -, lo scrittore Indra Sinha dà voce alle vittime della tragedia di Bhopal, la città indiana dove nella notte fra il 2 e 3 dicembre 1984 i gas fuoriusciti dalla fabbrica chimica della Union Carbide of India Limited uccisero migliaia di persone e avvelenarono per sempre terra, aria e acqua. Nato a Bombay, figlio di un ufficiale di marina indiano e di una scrittrice inglese, Sinha ha così costruito un omaggio alla memoria di quelle vittime e una sorta di monito per il futuro. Animal è così diventato un “romanzo-evento” della recente stagione letteraria britannica, finalista al Booker Prize, vincitore del Commonwealth Writers’ Prize, Animal: una di quelle rare opere in cui un tragico evento reale consente alla letteratura di celebrare la vita descrivendo lucidamente la crudeltà del male.
All’indomani della sentenza che ieri, a più di 25 anni dai fatti, non ha condannato che pochi dirigenti indiani della multinazionale americana, ripercorriamo con Indra Sinha la genesi del suo romanzo e il suo impegno a favore della popolazione di Bhopal.
Il suo romanzo si apre con un escamotage, vale a dire spiegando come si tratti in realtà della trascrizione di nastri registrati da un ragazzo indiano di diciannove anni. Perché questa scelta?
Prima di tutto perché volevo spiegare come Animal non arrivi da un altro pianeta, ma sia un essere umano esattamente come me, come lei, come qualunque altra persona. Ha registrato la sua storia su dei nastri perché un giornalista che indaga su quanto accaduto possa alla fine raccontarla al mondo intero. Così Animal si rivolge ai lettori del libro chiamandoli “eyes”, occhi, vuole che siano loro a vedere direttamente ciò che è successo a lui e a tanti altri come lui. C’era perciò bisogno che affermassi in modo molto netto che quella raccontata nel libro era una storia vera, a cui dare credito. Anche se in realtà tutto nel libro è solo ispirato alla tragedia di Bhopal che è, per così dire, ricostruita nella dimensione del romanzo...
Sono passati tanti anni da quella tragedia, che effetto ha avuto questo romanzo sull’opinione pubblica internazionale e come è stato recepito?
Come vi sentireste se tutto questo accadesse qui? Sono passati 25 anni dalla tragedia eppure le persone, poverissime, continuano a bere l’acqua avvelenata, la sola che hanno. Il tasso di deformazioni alla nascita è 10 volte superiore a quello del resto dell’India. Ma questo non importa a nessuno. Il governo è assente. Ciò che più colpisce è vedere una comunità che non reagisce all’ingiustizia con la violenza, ma con il riso, l’arte, lo humor e un’enorme esplosione di consapevolezza politica. Il protagonista del mio romanzo, Animal, così chiamato perché cammina a 4 zampe per colpa dei danni causati dai gas alla sua spina dorsale, fugge lo stereotipo della pietà. Trattare con iniquità i poveri è il modo migliore per formare degli estremisti. Mi risulta che il proprietario dell’industria chimica sia ancora attivo. Il governo indiano, per tutelare i propri interessi, continua a fare affari con chi non ha alcun riguardo per la vita. Molta critica ha voluto paragonare Animal a Quasimodo. Personalmente non condiviso questo punto di vista, perché in realtà in India la deformità fisica non è sinonimo di emarginazione. E’ piuttosto il disagio sociale a emarginare.
La stesura di “Animal” le ha preso cinque anni, durante i quali lei ha però partecipato anche alla campagna di solidarietà nei confronti della popolazione colpita dalle esalazioni dell’industria chimica. Come si sono mescolate queste due esperienze?
Ci ho messo cinque anni per scrivere questo libro. Questo perché quando comincio la stesura di un romanzo non so mai fino in fondo dove mi condurrà, non pianifico tutto in anticipo. Parto da una sensazione, dai “colori” che voglio dare alla storia, dai personaggi principali, ma certo non prevedo cosa potrà succedere nel corso della storia. In questo caso, però, le cose sono state anche più complicate, perché ero coinvolto direttamente, emotivamente, in quello che stavo scrivendo. Così per quasi tre anni ho lasciato da parte il romanzo è ho seguito l’attività dei comitati dei cittadini e ho sostenuto tre miei amici che hanno condotto un lungo sciopero della fame per chiedere al governo indiano di impegnarsi a favore della popolazione colpita dalla tragedia. Abbiamo creato un sito internet, organizzato conferenze stampa, offerto supporto materiale a molte persone colpite dai gas tossici e ai medici di tutto il mondo accorsi in India per soccorrerli: eravamo impegnati diciotto ore al giorno ma ne valeva la pena. E il mio libro è perciò anche il risultato di tutto questo.
La letteratura può, in questo senso, contribuire a che si mantenga la memoria storica degli eventi.? Può la figura di Animal assicurare una sorta di perennità alla tragedia che ha colpito la gente di Bhopal?
Talvolta i personaggi di un libro possono essere più “reali” di una persona in carne ed ossa che però non conosciamo abbastanza. Personalmente mi sono formato con la letteratura inglese e devo confessare che Elizabeth Bennet, l’eroina di Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, era per me molto più reale della mia dirimpettaia di quando vivevo a Londra, che conoscevo a malapena. Comunque sì, credo che i personaggi dei romanzi possano aiutare a ricordare, o addirittura a rendere perenni certi eventi. Certo, i romanzi devono il loro successo soprattutto alle figure dei loro protagonisti, che sono in grado o meno di colpire e stregare la fantasia dei lettori, più che al contesto storico o sociale che hanno come sfondo. Ma proprio la memoria delle loro vicende può contribuire a ricordare questo o quell’avvenimento del passato. In questo senso voglio credere che Animal possa davvero continuare ad evocare per tutti quanto accaduto in India in quel terribile 1984.
«Liberazione» del 9 giugno 2010
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