di Roberto Timossi
Si può ancora criticare Darwin? È una domanda che viene spontaneo porsi dopo aver visto e letto le reazioni internazionali al libro di Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor esplicitamente intitolato 'Gli errori di Darwin' (edito in Italia da Feltrinelli). Il modo stizzito con cui gli esponenti del neodarwinismo hanno reagito alla pubblicazione di questo saggio lascia pensare che la critica alla teoria dell’evoluzione per selezione naturale non sia consentita, se non a rischio e pericolo della propria reputazione. Questo almeno devono aver pensato i due autori di fronte alla marea di critiche che si sono visti piovere addosso ancor prima che il loro lavoro trovasse posto sui banchi delle librerie. Per converso, chiunque pubblichi un libro che abbia nel titolo o nel sottotitolo un’aperta esaltazione del darwinismo trova immediata positiva accoglienza, anche se magari sostiene tesi più ideologiche che scientifiche, come è ad esempio il caso dell’ultimo libro dell’ateo scientista Richard Dawkins («Il più grande spettacolo della Terra. Perché Darwin aveva ragione»). Va detto subito che per Piattelli Palmarini e Fodor in discussione non è l’evoluzione in quanto tale e neppure il problema della presenza o meno di un disegno intelligente, perché la loro intenzione non è mai stata quella di fare un libro sul creazionismo o su Dio, ma di rendere pubbliche le loro riflessioni critiche sull’evoluzionismo darwiniano, soprattutto nella sua versione più recente: quella della cosiddetta 'nuova sintesi' o 'teoria sintetica dell’evoluzione, che concilia la selezione naturale con le moderne conquiste della genetica. Non a caso, infatti, tra i contestatori più numerosi di questo saggio si contano proprio i genetisti, i quali hanno cercato con acribia tutti i possibili errori scientifici commessi dai due autori. A onor del vero, non si può negare che qualche 'svista' sia realmente presente nel testo de Gli errori di Darwin, tuttavia non pare tale da inficiare il valore della tesi di fondo in esso sostenuta: non è stato ancora accertato quale sia l’effettivo principale motore dell’evoluzione e forse sussistono differenti percorsi casuali distinti che portano alla fissazione delle diverse specie conosciute. Qui però non ci interessa tanto discutere se l’impianto critico di Piattelli Palmarini e Fodor riesce a scardinare la teoria evoluzionistica di Darwin, quanto considerare i motivi veri delle reazioni negative contro le loro tesi. Se compariamo i diversi articoli usciti su quotidiani e riviste italiane e straniere, l’elemento che maggiormente spicca non è quello degli appunti scientifici, bensì quello dell’indignazione verso chi osa mettere in dubbio un pilastro della moderna concezione scientifica del mondo, di chi con il suo atteggiamento scettico verso il darwinismo potrebbe far traballare quella salda certezza secondo cui la dimensione biologica è dominata dal caso e non da un progetto intelligente. E quel che dà più fastidio è il fatto che a muovere delle critiche alla neosintesi darwiniana non sono i soliti creazionisti o comunque dei sostenitori di un Intelligent Design, ma due uomini di scienza che premettono di non volersi occupare di aspetti teologici, limitandosi semplicemente a far notare come il principio della selezione naturale e dell’adattamento all’ambiente non sia secondo loro sufficientemente verificato. Insomma, in gioco non sembrano esserci serie questioni scientifiche, bensì la difesa di un nuovo dogma: una visione della natura che escluda pregiudizialmente Dio.
«Avvenire» del 23 giugno 2010
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