La musica — diceva Aristotele (filosofo greco del IV sec. a.C.) — non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo.
Il candidato si soffermi sulla funzione, sugli scopi e sugli usi della musica nella società contemporanea.
Se lo ritiene opportuno, può fare riferimento anche a sue personali esperienze di pratica e/o di ascolto musicale.
Il candidato si soffermi sulla funzione, sugli scopi e sugli usi della musica nella società contemporanea.
Se lo ritiene opportuno, può fare riferimento anche a sue personali esperienze di pratica e/o di ascolto musicale.
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La funzione della musica: regolare il nostro tempo e le nostre emozioni
Siamo immersi nelle note. Ma è importante che ognuno scelga le proprie, per poterne ricavare educazione, piacere e «catarsi»
di Armando Torno
Il nostro mondo è permeato di musica. Lo è infinitamente di più di quello in cui vivevano Aristotele o i grandi pensatori del mondo moderno. Il rapporto che abbiamo oggi con le note è continuo, incessante: un certo motivo aiuta la vendita di un prodotto pubblicitario, una particolare armonia ricorda una storia d’amore che ha trionfato sugli schermi, una canzone rimanda a un festival o a un tormentone estivo. Sovente sembra quasi che non sia la musica ma il rumore il sottofondo della nostra vita, come dimostrano i suoni delle «vuvzelas» che sono diventati, con sorpresa e fastidio dei più, la caratteristica dei mondiali di calcio del Sud Africa. Le riflessioni di Aristotele si basavano, dopo un’attenta analisi del mito di Orfeo, su una musica ascoltata direttamente, durante la recita di una tragedia o grazie alle esecuzioni dei suonatori a feste, convivi o cerimonie.
Sino alla riproduzione meccanica del suono, che avvenne poco più di un secolo fa, la musica si doveva cercare. Oggi accade il contrario: siamo raggiunti ovunque dalle note. Anzi, a volte non riusciamo a liberarcene, a evitarle. Chiedersi quali siano funzioni, scopi e usi della musica nella società contemporanea non è cosa semplice, perché essa è diventata la regolatrice del tempo che utilizziamo e una componente essenziale delle nostre emozioni. Per questo un buon motivo musicale aiuta la vendita dei prodotti e promuove l’immagine; per la medesima ragione la nostra giornata è cadenzata da alcune musiche, anche se non ce ne accorgiamo. A volte è la musichetta che ci saluta allo squillo del telefonino o nell’accensione del computer, altre volte precede le notizie di radio e Tv, altre volte ancora è il sottofondo che ascoltiamo inconsciamente al supermercato, in un’attesa di chiamata, al ristorante o al bar. Ormai è diventata immagine. Tutte cose che Aristotele sembra quasi aver previsto. Si era sbagliato soltanto sulla quantità.
Ma, per tornare al nostro mondo, occorre aggiungere che la musica, come tutte le componenti della vita, ha bisogno di riflessione per essere capita. Non c’entra il genere. In essa c’è sempre un messaggio che dobbiamo mettere in comunicazione con il nostro spirito, si tratti di un motivetto o di note dure del rock più aggressivo, di un’aria lirica di Verdi o di una cantata di Johann Sebastian Bach. La musica parla immediatamente al nostro cuore e quindi entra in noi attraverso vie privilegiate: per questo è importante sceglierla a seconda di ciò che desideriamo. Forse il problema dell’uomo contemporaneo è quello di ritrovare una sua armonia, quindi una sua musica, e non di essere un soggetto passivo.
Soltanto scegliendo le «nostre» note ne ricaveremo educazione, piacere, nonché quella catarsi di cui parlava Aristotele, e anche una difesa contro tutto quello che consideriamo rumore. Ho conosciuto un avvocato penalista che per trovare le parole adatte da utilizzare nelle cause più difficili passava ore con le sinfonie di Mozart. Shakespeare raccomanda di diffidare da coloro che non ascoltano le dolci armonie dei suoni, giacché sono pronti all’inganno e alla rapina. Nietzsche riteneva che senza la musica la vita sarebbe un errore. Aristotele, appunto, ne consigliava la pratica per più fini. Forse non bisogna dimenticarsi che Beethoven, in un’epoca nella quale si udivano ancora i suoni delle campane e i rumori naturali e non meccanici del mondo, ha scritto che «la musica è al di sopra di ogni filosofia».
Sino alla riproduzione meccanica del suono, che avvenne poco più di un secolo fa, la musica si doveva cercare. Oggi accade il contrario: siamo raggiunti ovunque dalle note. Anzi, a volte non riusciamo a liberarcene, a evitarle. Chiedersi quali siano funzioni, scopi e usi della musica nella società contemporanea non è cosa semplice, perché essa è diventata la regolatrice del tempo che utilizziamo e una componente essenziale delle nostre emozioni. Per questo un buon motivo musicale aiuta la vendita dei prodotti e promuove l’immagine; per la medesima ragione la nostra giornata è cadenzata da alcune musiche, anche se non ce ne accorgiamo. A volte è la musichetta che ci saluta allo squillo del telefonino o nell’accensione del computer, altre volte precede le notizie di radio e Tv, altre volte ancora è il sottofondo che ascoltiamo inconsciamente al supermercato, in un’attesa di chiamata, al ristorante o al bar. Ormai è diventata immagine. Tutte cose che Aristotele sembra quasi aver previsto. Si era sbagliato soltanto sulla quantità.
Ma, per tornare al nostro mondo, occorre aggiungere che la musica, come tutte le componenti della vita, ha bisogno di riflessione per essere capita. Non c’entra il genere. In essa c’è sempre un messaggio che dobbiamo mettere in comunicazione con il nostro spirito, si tratti di un motivetto o di note dure del rock più aggressivo, di un’aria lirica di Verdi o di una cantata di Johann Sebastian Bach. La musica parla immediatamente al nostro cuore e quindi entra in noi attraverso vie privilegiate: per questo è importante sceglierla a seconda di ciò che desideriamo. Forse il problema dell’uomo contemporaneo è quello di ritrovare una sua armonia, quindi una sua musica, e non di essere un soggetto passivo.
Soltanto scegliendo le «nostre» note ne ricaveremo educazione, piacere, nonché quella catarsi di cui parlava Aristotele, e anche una difesa contro tutto quello che consideriamo rumore. Ho conosciuto un avvocato penalista che per trovare le parole adatte da utilizzare nelle cause più difficili passava ore con le sinfonie di Mozart. Shakespeare raccomanda di diffidare da coloro che non ascoltano le dolci armonie dei suoni, giacché sono pronti all’inganno e alla rapina. Nietzsche riteneva che senza la musica la vita sarebbe un errore. Aristotele, appunto, ne consigliava la pratica per più fini. Forse non bisogna dimenticarsi che Beethoven, in un’epoca nella quale si udivano ancora i suoni delle campane e i rumori naturali e non meccanici del mondo, ha scritto che «la musica è al di sopra di ogni filosofia».
«Corriere della Sera» del 22 giugno 2010
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