di Nicola Piovani
Osceno è una parola di origine teatrale. Così almeno ci dicono alcuni etimologi: Ob scena, fuori dalla scena. Osceno quindi sarebbe ciò che sulla scena non deve essere mostrato, che non va esibito al pubblico. Edipo si acceca, sfondandosi gli occhi con le fibbie d’oro delle vesti di Giocasta. Ma Sofocle non ci mostra il fatto, ce lo fa raccontare dal nunzio, perché ritenuto disgustoso da mostrarsi; così dettava il senso del pudore nell’Atene di Pericle: non erano tempi di splatter. Nei vecchi film hollywoodiani spesso un uomo e una donna finivano in camera da letto, si scambiavano un lungo bacio appassionato e poi arrivava il fondù a nero, con crescendo musicale a coprire; indi stacco e passaggio di tempo. Tutti sapevano bene che su quel letto i due amanti avrebbero messo in campo i genitali. Ma l’amplesso era considerato osceno, quindi avveniva fuori scena, fuori pellicola diciamo, al riparo dagli sguardi del pubblico. Sento dire ogni tanto: «Chi non ha nulla da nascondere non deve temere di essere intercettato».
Mi sembra una frase a effetto, ma anche una sciocchezza. Tutti compiono ogni giorno tante azioni di carattere intimo, privato, azioni che non sono né reato né misfatto, ma che vanno protette nella loro sacra privatezza, perché la loro pubblicazione risulterebbe oscena: fare la doccia, espletare funzioni corporali, scambiarsi smancerie al telefono, cazzeggiare con linguaggi regressivi, fornicare, pregare in solitudine e così via. Sono gesti che abbiamo sia il diritto di compiere, sia il diritto e il buon gusto di nascondere. E secondo me anche l’attore che ripassa ad alta voce la parte, la ballerina che si esamina allo specchio, il cantante che si tinge i capelli, il padre che piange con pudore: tutti devono poterlo fare al riparo dagli occhi e dalle telecamere di una collettività che sembra sempre più avida di immagini «rubate». George Brassens cantava:«I miei genitali li mostro solo ai miei amori e ai miei dottori». In fondo la pornografia altro non è che la messa in scena di gesti che la maggior parte delle coppie felici compie normalmente in privato. Chi pensa veramente di non aver nulla da tenere nascosto o è un esibizionista o, come si dice, ci marcia.
Tuttavia sappiamo bene che un giudice, per indagare su un’ipotesi di reato, ha il dovere di intercettare i sospetti, non c’è dubbio. Così facendo purtroppo violerà l’intimità del cittadino inquisito, innocente fino a prova contraria, e anche quella dei suoi malcapitati interlocutori. Ma deve dolorosamente e necessariamente farlo per scoprire crimini e criminali. Anche un medico che ci pratica una colonscopia non può fare altro che metterci in posizioni poco eleganti: se poi quel medico pubblica le immagini dell’operazione su You Tube commette un vile misfatto di oscenità. Detto questo però non bisogna equivocare: se si pubblica la telefonata di un faccendiere che ride felice alla faccia dei terremotati, facendoci capire che per lui sarà un lucroso affare di soldi, non si pubblica un fatto osceno: si pubblica la prova di un atteggiamento delinquenziale, che è tutt’ altra cosa, e che i cittadini hanno il diritto di sapere. Speriamo che la legge in discussione in questi giorni alle camere non ci privi di questo diritto.
Mi sembra una frase a effetto, ma anche una sciocchezza. Tutti compiono ogni giorno tante azioni di carattere intimo, privato, azioni che non sono né reato né misfatto, ma che vanno protette nella loro sacra privatezza, perché la loro pubblicazione risulterebbe oscena: fare la doccia, espletare funzioni corporali, scambiarsi smancerie al telefono, cazzeggiare con linguaggi regressivi, fornicare, pregare in solitudine e così via. Sono gesti che abbiamo sia il diritto di compiere, sia il diritto e il buon gusto di nascondere. E secondo me anche l’attore che ripassa ad alta voce la parte, la ballerina che si esamina allo specchio, il cantante che si tinge i capelli, il padre che piange con pudore: tutti devono poterlo fare al riparo dagli occhi e dalle telecamere di una collettività che sembra sempre più avida di immagini «rubate». George Brassens cantava:«I miei genitali li mostro solo ai miei amori e ai miei dottori». In fondo la pornografia altro non è che la messa in scena di gesti che la maggior parte delle coppie felici compie normalmente in privato. Chi pensa veramente di non aver nulla da tenere nascosto o è un esibizionista o, come si dice, ci marcia.
Tuttavia sappiamo bene che un giudice, per indagare su un’ipotesi di reato, ha il dovere di intercettare i sospetti, non c’è dubbio. Così facendo purtroppo violerà l’intimità del cittadino inquisito, innocente fino a prova contraria, e anche quella dei suoi malcapitati interlocutori. Ma deve dolorosamente e necessariamente farlo per scoprire crimini e criminali. Anche un medico che ci pratica una colonscopia non può fare altro che metterci in posizioni poco eleganti: se poi quel medico pubblica le immagini dell’operazione su You Tube commette un vile misfatto di oscenità. Detto questo però non bisogna equivocare: se si pubblica la telefonata di un faccendiere che ride felice alla faccia dei terremotati, facendoci capire che per lui sarà un lucroso affare di soldi, non si pubblica un fatto osceno: si pubblica la prova di un atteggiamento delinquenziale, che è tutt’ altra cosa, e che i cittadini hanno il diritto di sapere. Speriamo che la legge in discussione in questi giorni alle camere non ci privi di questo diritto.
«L'Unità» del 25 giugno 2010
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