di Claudia Conto
Non c’è pace nel Pd. Ultimo motivo del contendere una disputa lessicale: la parola “compagni”. Come se non ci fossero questioni più sostanziali da discutere, per esempio in che modo diventare un’alternativa alla maggioranza, o quantomeno fare un’opposizione credibile. Alcuni democratici hanno infatti preso malissimo le parole dell’attore Fabrizio Gifuni, il De Gasperi televisivo e l’ottimo interprete de “La meglio gioventù”, che sabato, in occasione della manifestazione del Pd anti-manovra, si è rivolto alla platea del Palalottomatica di Roma, con l’antico appellativo “Compagne e compagni…”.
Un richiamo “liberatorio”, ha spiegato lo stesso Gifuni, che molti militanti democratici hanno accolto con entusiasmo. Fuori dal coro, invece, un gruppo di giovanissimi che ha scritto a Bersani una lettera di fuoco. Per noi, “nativi del Pd”, cioè estranei alla tradizione comunista e a quella democristiana, “le parole compagni, festa dell’Unità, sono concetti che rispettiamo per la tradizione che hanno avuto ma che non rientrano nel nostro pensare politico e che facciamo fatica ad accettare…” Nella lettera i ragazzi si lamentano anche della segreteria Bersani che li fa sentire “fuoriposto”.
Un lamento raccolto subito dal veltroniano Stefano Ceccanti che ha addirittura lanciato su Facebook un dibattito sul tema puntando il dito proprio contro il suo segretario.
“E’ colpa di Bersani! E’ stato lui che qualche settimana fa, a Porto Torres in Sardegna, ha riabilitato la parola compagni”.
E lo fece, lo ricordiamo, in piena campagna elettorale per le amministrative, per rassicurare gli operai sardi in cassa integrazione che si chiedevano dove fossero finiti i compagni“.
Ed è così grave?
Il problema è questo: se uno usa come identità del tutto quella che è identità di una parte questo divide. Noi abbiamo fatto il Pd, un partito nuovo, ritendendo che le tradizioni precedenti avessero esaurito la loro spinta propulsiva. Un partito nuovo ha bisogno di simboli nuovi. E la parola “compagni” non centra niente perchè appartiene al passato
Quanta fatica, però, per trovarli questi “simboli nuovi” di cui parlate …
Faremo pure fatica, ma se si finisce per usare quelli vecchi significa che quelli nuovi non si vogliono nemmeno cercare.
In mancanza di idee nuove, non è meglio tenersi le vecchie che almeno un qualche appeal ce l’hanno e qualche voto in più ve lo garantiscono?
Se volevamo tenerci i vecchi simboli non dovevamo fare un partito nuovo. Lo abbiamo fatto proprio credendo che i vecchi simboli non funzionassero più e che non bisognasse più basarsi sull’elettorato tradizionale della sinistra. Se uno dice di chiamarsi “compagni” fa una marcia indietro
Come Bersani?
Sì, la colpa è sua. L’attuale leadership sembra orientata su una posizione di tipo nostalgico-passiva
Ma quella di Bersani è una leadership o solo una segreteria?
“Se la segreteria non promuove qualcosa di innovativo, la leadership non c’è. E questo dei simboli era un campo in cui la leadership andava esercitata nel senso dell’innovazione. Insomma, delle due l’una: o noi restavamo separati, da una parte Pds dall’altra Pd, e allora ognuno si chiamava come voleva, ma se invece decidiamo di fare un partito insieme bisogna scegliere parole nuove e non camminare a ritroso
Un richiamo “liberatorio”, ha spiegato lo stesso Gifuni, che molti militanti democratici hanno accolto con entusiasmo. Fuori dal coro, invece, un gruppo di giovanissimi che ha scritto a Bersani una lettera di fuoco. Per noi, “nativi del Pd”, cioè estranei alla tradizione comunista e a quella democristiana, “le parole compagni, festa dell’Unità, sono concetti che rispettiamo per la tradizione che hanno avuto ma che non rientrano nel nostro pensare politico e che facciamo fatica ad accettare…” Nella lettera i ragazzi si lamentano anche della segreteria Bersani che li fa sentire “fuoriposto”.
Un lamento raccolto subito dal veltroniano Stefano Ceccanti che ha addirittura lanciato su Facebook un dibattito sul tema puntando il dito proprio contro il suo segretario.
“E’ colpa di Bersani! E’ stato lui che qualche settimana fa, a Porto Torres in Sardegna, ha riabilitato la parola compagni”.
E lo fece, lo ricordiamo, in piena campagna elettorale per le amministrative, per rassicurare gli operai sardi in cassa integrazione che si chiedevano dove fossero finiti i compagni“.
Ed è così grave?
Il problema è questo: se uno usa come identità del tutto quella che è identità di una parte questo divide. Noi abbiamo fatto il Pd, un partito nuovo, ritendendo che le tradizioni precedenti avessero esaurito la loro spinta propulsiva. Un partito nuovo ha bisogno di simboli nuovi. E la parola “compagni” non centra niente perchè appartiene al passato
Quanta fatica, però, per trovarli questi “simboli nuovi” di cui parlate …
Faremo pure fatica, ma se si finisce per usare quelli vecchi significa che quelli nuovi non si vogliono nemmeno cercare.
In mancanza di idee nuove, non è meglio tenersi le vecchie che almeno un qualche appeal ce l’hanno e qualche voto in più ve lo garantiscono?
Se volevamo tenerci i vecchi simboli non dovevamo fare un partito nuovo. Lo abbiamo fatto proprio credendo che i vecchi simboli non funzionassero più e che non bisognasse più basarsi sull’elettorato tradizionale della sinistra. Se uno dice di chiamarsi “compagni” fa una marcia indietro
Come Bersani?
Sì, la colpa è sua. L’attuale leadership sembra orientata su una posizione di tipo nostalgico-passiva
Ma quella di Bersani è una leadership o solo una segreteria?
“Se la segreteria non promuove qualcosa di innovativo, la leadership non c’è. E questo dei simboli era un campo in cui la leadership andava esercitata nel senso dell’innovazione. Insomma, delle due l’una: o noi restavamo separati, da una parte Pds dall’altra Pd, e allora ognuno si chiamava come voleva, ma se invece decidiamo di fare un partito insieme bisogna scegliere parole nuove e non camminare a ritroso
«Panorama» del 21 giugno 2010
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