Stiglitz in particolare, nel suo saggio del 2002 dal titolo La globalizzazione e i suoi oppositori, stigmatizza la gestione delle crisi finanziarie degli anni Novanta da parte del Fmi: dalla Russia, al Sudest asiatico, all’Argentina – dice – la ricetta del Fondo è stata sempre la medesima, ovvero riduzione della spesa pubblica, politiche deflazionistiche, ingresso dei capitali esteri. In buona sostanza – è sempre Stiglitz a sostenerlo – un teatrale fallimento. E non bastano le critiche di tipo tecnico, ci sono anche quelle dai risvolti politici: come l’allarme lanciato dal presidente della Bce Jean-Claude Trichet all’indomani dell’accordo fra la Ue e il Fmi per sostenere la Grecia e i Paesi indebitati con un fondo di sostegno da 750 miliardi di euro: in questo modo, ha ammonito Trichet, l’Europa ha perso una quota di sovranità e l’euro molta della sua credibilità. Forse non ha tutti i torti.
Ma che cos’è il Fondo monetario internazionale, che cosa sappiamo di lui, chi ne fa parte, a che cosa serve realmente, oltre a somministrare agli Stati sovrani consigli che hanno tutta l’aria di ordini irrevocabili, a distribuire pagelle (le ultime fornite all’Italia peraltro sono incoraggianti), esortazioni, censure, dati, previsioni da brivido, neanche fosse un nemico spietato delle nostre sicurezze? Nato assieme alla Banca Mondiale nel 1946, all’indomani della conferenza di Bretton Woods, il Fmi ha tre compiti essenziali:
- monitorare e sorvegliare gli sviluppi economici e finanziari di ogni Paese e fornire consulenza politica volta in particolare a prevenire le crisi;
- finanziare a breve e medio termine i Paesi in difficoltà nella bilancia dei pagamenti e sostenere le politiche volte a correggere i problemi di fondo, offrendo crediti a Paesi a basso reddito destinati in primo luogo alla riduzione della povertà;
- offrire assistenza tecnica e formazione per ridurre le debolezze strutturali e le aree di vulnerabilità dei Paesi più arretrati.
La sua vocazione negli anni è mutata. Entrato in crisi negli anni Novanta, dato quasi per spacciato e costretto a ridurre la sua area di influenza, ha ripreso vigore con le crisi dell’ultimo decennio e nel 2009 – grazie a una decisione del G20 – ha quadruplicato le sue capacità di prestito. Oggi – nonostante il benigno soprannome di Mister Courtesy – è un censore severo delle malefatte degli Stati sovrani e un occhiuto scrutatore dei loro conti. Giusto pochi giorni fa il Fmi ha promosso l’Italia, ma con una striminzita sufficienza: i peggiori effetti della crisi per la nostra economia – recita il rapporto divulgato a Washington – sono passati, «ma l’Italia è un Paese che si porta dietro grandi problemi strutturali e la ripresa, seppure avviata, sarà comunque modesta. Per questo, anche se il governo ha reagito con misure appropriate all’emergenza, si trova a far fronte a un debito pubblico destinato a salire anche oltre il 125% ed è perciò costretto a mantenere una ferrea disciplina sul fronte dei conti pubblici». Insomma, anche se il peggio sembra passato, secondo il Fondo rimaniamo molto vulnerabili.
«Non voglio contestare il Fondo, ma...», esordisce l’ad di BancaIntesa Corrado Passera. Ed è una frase molto significativa: onnipotente e difficile da contraddire, il Fmi non è ritenuto un oracolo né un deposito di verità assolute. Sulla coscienza dei grandi strateghi del Fmi pesa infatti il caso argentino: considerata l’allievo modello del Fondo, scivolò nel 2001 nella più spaventosa delle sue crisi, con ipersvalutazione del peso, inflazione galoppante e una sanguinosa ristrutturazione del proprio debito. Il Fmi venne ripetutamente accusato di non aver compreso (o non aver voluto comprendere) a che cosa stava andando incontro il Paese. E se esaminassimo l’attività del Fondo nei Paesi ex comunisti, scopriremmo come i prestiti concessi hanno agevolato ben poco le economie emergenti degli ex satelliti sovietici, piuttosto sono serviti a ripagare i creditori occidentali, così come le privatizzazioni forzate imposte in nazioni dove tutto era da cinquant’anni proprietà dello Stato hanno sì incrementato la crescita economica ma hanno amplificato le disuguaglianze e redistribuito la ricchezza – com’è il caso russo – nelle mani di pochi oligarchi e di una ristretta élite di nuovo conio.
I detrattori del Fondo amano ricordare come Cina e Polonia, che hanno platealmente disatteso le indicazioni del Fondo monetario, hanno ottenuto risultati di gran lunga migliori degli 'allievi' più diligenti. E non è tutto: pur di sottrarsi all’abbraccio del Fmi, molti Paesi africani hanno preferito indebitarsi con la Cina piuttosto che avere a che fare con i burocrati di Washington.
Ma una cosa è chiara a tutti: il Fmi non può prevedere il futuro, solo correggere il presente rimediando gli errori del passato. Al futuro ci pensano gli economisti, ma sappiamo bene che non tutti si fidano di Mister Courtesy e delle sue ricette. Come diceva George Bernard Shaw, «insegnate a un pappagallo a ripetere le parole 'domanda' e 'offerta' e avrete un economista ...».
«Avvenire» del 26 giugno 2010
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