Gli ultimi esperimenti sulla massa del neutrino confermano le teorie del grande fisico: per questo meriterebbe il premio. Lo sostiene l'autore di una nuova biografia
di Piero Bianucci
Ettore Majorana oggi avrebbe 104 anni. Svanì nel nulla quando ne aveva 31. La sua teoria del «neutrino senza tempo» sta trovando conferme in esperimenti che soltanto ora sono diventati possibili al Cern e nel Laboratorio del Gran Sasso. João Magueijo, portoghese, classe 1967, professore di teoria della relatività all'Imperial College di Londra, propone che per questa teoria gli venga assegnato il Nobel. «E' vero - osserva Magueijo - il punto 4 del regolamento esclude che il premio possa essere assegnato postumo. Ma Ettore è morto? Non lo sappiamo. E nulla impedisce di attribuire l'insigne riconoscimento in absentia. Dopotutto Einstein ricevette il suo per procura».
La notte del 26 marzo 1938 Majorana si imbarcò a Palermo sul traghetto della Tirrenia. Era un sabato. Nessuno sa se alle 5,45 della domenica mattina sia sceso dalla nave che attraccò a Napoli. In poche ore aveva inviato tre messaggi contraddittori. Antonio Carrelli, amico e collega all'Università di Napoli, il 26 mattina ricevette un telegramma: «Non allarmarti. Segue lettera». Poche ore dopo gli arrivò una missiva datata 25 marzo nella quale Majorana manifestava ambigui propositi suicidi: «di tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle 11 di questa sera, e possibilmente anche dopo». Seguì, spedita da Palermo, la lettera annunciata nel telegramma: «Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunciare all'insegnamento». All'albergo Bologna non si troverà traccia di Ettore ma un suo biglietto indirizzato alla famiglia: «Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero (...) ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi»
Come Sciascia, Camilleri e tanti altri, Magueijo è rimasto affascinato da questo mistero. Nel libro La particella mancante (Rizzoli, 430 pagine, 20 euro) racconta con la cultura del fisico e la tecnica del romanziere le sue investigazioni sul caso Majorana: l'incontro con la cognata di Ettore nella casa di famiglia a Catania in via Etnea 251, i colloqui con il nipote Fabio, le rivelazioni di Gilda Senatore, allieva di Majorana all'Università di Napoli, una bellezza vamp da far impazzire qualsiasi uomo. Il timido Ettore, schiacciato da una madre-padrona, se ne innamorò senza speranza. A lei, prima di scomparire, consegnò una scatola piena di carte, fuggendo poi nel corridoio dell'Istituto di Fisica. «Forse voleva dirmi qualcosa d'altro, stendere una mano, farsi aiutare - ricordava Gilda novantaduenne - ma non me ne diede il tempo».
Magueijo non trascura nessuna pista: monasteri dove Ettore avrebbe trovato rifugio, i silenzi del Vaticano, vaghe testimonianze della sua presenza in Argentina già sondate da Erasmo Recami (altro fisico catanese), il supposto riconoscimento in un barbone matematico che viveva a Mazara del Vallo, la presunta relazione con certa signorina Tebalducci, la tesi di Sciascia che Ettore scomparendo abbia voluto portare con sé il segreto atomico.
Poi c'è l'altra faccia della storia, quella scientifica. Come Majorana, i neutrini sono elusivi. Ogni secondo queste particelle attraversano a miliardi il nostro corpo come se fosse trasparente. Aveva ipotizzato la loro esistenza Wolfgang Pauli nel 1930 ma soltanto nel 1956 Reines e Cowan riuscirono a osservarli con un esperimento che valse loro il premio Nobel. Poi i fisici calcolarono quanti neutrini dovrebbero arrivarci dal Sole e un esperimento fatto da Raymond Davis ne trovò appena un terzo del numero previsto. Dove finivano gli altri? Ancora una storia di desaparecidos. Intanto si scopre che esistono tre tipi di neutrino, corrispondenti all'elettrone, al muone e alla particella Tau, quest'ultimo osservato nel 2000. Ma prima era entrato in scena Bruno Pontecorvo, che con Majorana, Amaldi, Rasetti e Segré era stato uno dei «ragazzi di via Panisperna» guidati da Enrico Fermi a Roma negli Anni Trenta. Creduto a sua volta «scomparso» ma in realtà fuggito clandestinamente in Unione Sovietica, Pontecorvo avanza l'idea che i tre tipi di neutrino possano scambiarsi l'uno nell'altro. Così si giustificherebbero i neutrini solari mancanti all'appello. Perché ciò possa avvenire bisogna però che i neutrini possiedano una massa, per quanto piccola, e invece tutta la fisica degli Anni 60 e 70 supponeva una massa nulla.
Il neutrino dotato di massa (minima) oggi è una realtà sperimentale che nel 2002 ha dato il Nobel a Davis e Koshiba. La trasformazione di un neutrino del muone in un neutrino Tau è stata osservata qualche settimana fa nel Laboratorio del Gran Sasso con l'esperimento «Opera» in particelle sparate sotto le Alpi dal Cern di Ginevra.
Che la massa non fosse nulla però l'aveva già intuito Majorana nel 1932. In contrasto con Paul Dirac, il fisico siciliano aveva immaginato il neutrino come una particella che non distingue tra passato e futuro poiché contiene in sé entrambe le direzioni del tempo, il che equivale a dire che - caso unico nel microcosmo delle particelle subnucleari - il «neutrino di Majorana» coincide con l'antineutrino, è un miscuglio di materia e antimateria. Cosa dimostrabile osservando un rarissimo fenomeno chiamato «doppio decadimento beta». Questo è l'obiettivo dell'esperimento «Cuore» appena iniziato nel Laboratorio del Gran Sasso. Impresa ardua, che forse riuscirà grazie a una schermatura fatta con piombo recuperato da una nave romana naufragata duemila anni fa. Da qualche parte, Majorana sta sorridendo.
La notte del 26 marzo 1938 Majorana si imbarcò a Palermo sul traghetto della Tirrenia. Era un sabato. Nessuno sa se alle 5,45 della domenica mattina sia sceso dalla nave che attraccò a Napoli. In poche ore aveva inviato tre messaggi contraddittori. Antonio Carrelli, amico e collega all'Università di Napoli, il 26 mattina ricevette un telegramma: «Non allarmarti. Segue lettera». Poche ore dopo gli arrivò una missiva datata 25 marzo nella quale Majorana manifestava ambigui propositi suicidi: «di tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle 11 di questa sera, e possibilmente anche dopo». Seguì, spedita da Palermo, la lettera annunciata nel telegramma: «Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all'albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunciare all'insegnamento». All'albergo Bologna non si troverà traccia di Ettore ma un suo biglietto indirizzato alla famiglia: «Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero (...) ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi»
Come Sciascia, Camilleri e tanti altri, Magueijo è rimasto affascinato da questo mistero. Nel libro La particella mancante (Rizzoli, 430 pagine, 20 euro) racconta con la cultura del fisico e la tecnica del romanziere le sue investigazioni sul caso Majorana: l'incontro con la cognata di Ettore nella casa di famiglia a Catania in via Etnea 251, i colloqui con il nipote Fabio, le rivelazioni di Gilda Senatore, allieva di Majorana all'Università di Napoli, una bellezza vamp da far impazzire qualsiasi uomo. Il timido Ettore, schiacciato da una madre-padrona, se ne innamorò senza speranza. A lei, prima di scomparire, consegnò una scatola piena di carte, fuggendo poi nel corridoio dell'Istituto di Fisica. «Forse voleva dirmi qualcosa d'altro, stendere una mano, farsi aiutare - ricordava Gilda novantaduenne - ma non me ne diede il tempo».
Magueijo non trascura nessuna pista: monasteri dove Ettore avrebbe trovato rifugio, i silenzi del Vaticano, vaghe testimonianze della sua presenza in Argentina già sondate da Erasmo Recami (altro fisico catanese), il supposto riconoscimento in un barbone matematico che viveva a Mazara del Vallo, la presunta relazione con certa signorina Tebalducci, la tesi di Sciascia che Ettore scomparendo abbia voluto portare con sé il segreto atomico.
Poi c'è l'altra faccia della storia, quella scientifica. Come Majorana, i neutrini sono elusivi. Ogni secondo queste particelle attraversano a miliardi il nostro corpo come se fosse trasparente. Aveva ipotizzato la loro esistenza Wolfgang Pauli nel 1930 ma soltanto nel 1956 Reines e Cowan riuscirono a osservarli con un esperimento che valse loro il premio Nobel. Poi i fisici calcolarono quanti neutrini dovrebbero arrivarci dal Sole e un esperimento fatto da Raymond Davis ne trovò appena un terzo del numero previsto. Dove finivano gli altri? Ancora una storia di desaparecidos. Intanto si scopre che esistono tre tipi di neutrino, corrispondenti all'elettrone, al muone e alla particella Tau, quest'ultimo osservato nel 2000. Ma prima era entrato in scena Bruno Pontecorvo, che con Majorana, Amaldi, Rasetti e Segré era stato uno dei «ragazzi di via Panisperna» guidati da Enrico Fermi a Roma negli Anni Trenta. Creduto a sua volta «scomparso» ma in realtà fuggito clandestinamente in Unione Sovietica, Pontecorvo avanza l'idea che i tre tipi di neutrino possano scambiarsi l'uno nell'altro. Così si giustificherebbero i neutrini solari mancanti all'appello. Perché ciò possa avvenire bisogna però che i neutrini possiedano una massa, per quanto piccola, e invece tutta la fisica degli Anni 60 e 70 supponeva una massa nulla.
Il neutrino dotato di massa (minima) oggi è una realtà sperimentale che nel 2002 ha dato il Nobel a Davis e Koshiba. La trasformazione di un neutrino del muone in un neutrino Tau è stata osservata qualche settimana fa nel Laboratorio del Gran Sasso con l'esperimento «Opera» in particelle sparate sotto le Alpi dal Cern di Ginevra.
Che la massa non fosse nulla però l'aveva già intuito Majorana nel 1932. In contrasto con Paul Dirac, il fisico siciliano aveva immaginato il neutrino come una particella che non distingue tra passato e futuro poiché contiene in sé entrambe le direzioni del tempo, il che equivale a dire che - caso unico nel microcosmo delle particelle subnucleari - il «neutrino di Majorana» coincide con l'antineutrino, è un miscuglio di materia e antimateria. Cosa dimostrabile osservando un rarissimo fenomeno chiamato «doppio decadimento beta». Questo è l'obiettivo dell'esperimento «Cuore» appena iniziato nel Laboratorio del Gran Sasso. Impresa ardua, che forse riuscirà grazie a una schermatura fatta con piombo recuperato da una nave romana naufragata duemila anni fa. Da qualche parte, Majorana sta sorridendo.
«La Stampa» del 22 giugno 2010
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