Un tema all'apparenza semplice, in realtà generico e insidioso. Difficile tenere dritta la barra del discorso
di Daniele Manca
La ricerca della felicità. Chi non vorrebbe esprimersi su una traccia che permea la vita di ognuno di noi, minuto dietro minuto, secondo dietro secondo? Certo, con il rischio della genericità. Fortunatamente tra le citazioni allegate alla traccia ce n’è una di massima utilità. E’ quella di Mauro Maggioni e Michele Pellizzari, tratta dall’articolo pubblicato il 12 maggio dalla «Stampa» «Alti e bassi dell’economia della felicità». Massima utilità perché pone la domanda «Ma allora cosa ci rende felici?». Quesito quanto mai opportuno, soprattutto a evitare il rischio maggiore in questi casi: quello di andare fuori tema. Anche perché a giudicare dalle altre citazioni c’era da rimanere a dir poco smarriti.
Il retropensiero che deve aver spinto a inserire questa traccia in ambito socio economico non può essere che relativo al fatto che da tempo sui media si discute quale debba essere la misura del benessere di un Paese e dei suoi cittadini. Se ad esempio il prodotto interno lordo, la misura della ricchezza di una nazione, sia sufficiente. O se invece vadano tenuti in conto altri indicatori non solo quantitativi ma anche qualitativi. E quindi comporre un cosiddetto indice della felicità che prendesse in considerazione non solo gli aspetti numerici della crescita di un Paese. Se non fosse così, sarebbe di difficile comprensione la giustapposizione degli articoli della Costituzione italiana e della dichiarazione di indipendenza dei Tredici Stati Uniti d’America. Nel primo caso, si mescolano aspetti personali, sociali, finalizzati a una partecipazione dei «lavoratori» alla vita economica e politica del Paese; nel secondo, si affermano diritti come la Vita la Libertà e il perseguimento della felicità. Si tralasciano, in quest’ultima frase, completamente, aspetti che attengono al sociale, all’economia e ci si riferisce solo ed esclusivamente, par di capire, all’individuo.
Tutto ciò per dire che combinare e tessere le diverse citazioni deve essere stato un esercizio non facile, a meno di non rifugiarsi nell’aspirazione alla felicità che non si raggiunge comunque mai, suggerita dal sociologo Zygmunt Bauman, o in quella ottenuta attraverso il dono agli altri, ispirata dall’economista Stefano Zamagni. Complimenti quindi agli studenti che, a partire da un tema apparentemente semplice, in realtà generico e insidioso, sono riusciti a tenere dritta la barra del discorso.
Il retropensiero che deve aver spinto a inserire questa traccia in ambito socio economico non può essere che relativo al fatto che da tempo sui media si discute quale debba essere la misura del benessere di un Paese e dei suoi cittadini. Se ad esempio il prodotto interno lordo, la misura della ricchezza di una nazione, sia sufficiente. O se invece vadano tenuti in conto altri indicatori non solo quantitativi ma anche qualitativi. E quindi comporre un cosiddetto indice della felicità che prendesse in considerazione non solo gli aspetti numerici della crescita di un Paese. Se non fosse così, sarebbe di difficile comprensione la giustapposizione degli articoli della Costituzione italiana e della dichiarazione di indipendenza dei Tredici Stati Uniti d’America. Nel primo caso, si mescolano aspetti personali, sociali, finalizzati a una partecipazione dei «lavoratori» alla vita economica e politica del Paese; nel secondo, si affermano diritti come la Vita la Libertà e il perseguimento della felicità. Si tralasciano, in quest’ultima frase, completamente, aspetti che attengono al sociale, all’economia e ci si riferisce solo ed esclusivamente, par di capire, all’individuo.
Tutto ciò per dire che combinare e tessere le diverse citazioni deve essere stato un esercizio non facile, a meno di non rifugiarsi nell’aspirazione alla felicità che non si raggiunge comunque mai, suggerita dal sociologo Zygmunt Bauman, o in quella ottenuta attraverso il dono agli altri, ispirata dall’economista Stefano Zamagni. Complimenti quindi agli studenti che, a partire da un tema apparentemente semplice, in realtà generico e insidioso, sono riusciti a tenere dritta la barra del discorso.
«Corriere della Sera» del 22 giugno 2010
Nessun commento:
Posta un commento