di Fulvio Panzeri
La riscoperta, negli ultimi vent’anni, dell’opera letteraria della grande scrittrice americana Flannery O’Connor, ha posto anche la necessità di strumenti critici ed interpretativi per entrare più a fondo nella complessità dell’esperienza artistica di una donna che ha avuto in dono dalla vita un tempo breve per delineare il suo 'gloria', attraverso una radicata capacità di trovare il senso della grazia nel mistero della realtà. La malattia, ereditata dal padre, che le causava una grave insufficienza al sistema immunitario, se l’era portata via nel 1964 a soli trentanove anni, lasciandoci un’opera non vastissima, ma di livello eccellente: due romanzi, una straordinaria raccolta di racconti, un epistolario che vale di più un romanzo e una raccolta di saggi, ancora oggi incandescente per le questioni semantiche e tematiche che pone. Arriva ora, finalmente, un saggio che è anche un viaggio tra i grandi temi che ricorrono nell’opera della scrittrice americana, firmato da Elena Buia Rutt, già autrice negli anni novanta di una rilettura di Tondelli, un’opera che si segnala per la qualità di sintesi e la lucidità analitica che caratterizza la scrittura saggistica della Buia, lucidità che la porta ad un ampio spettro interpretativo, ricondotto intorno al tema centrale del 'mistero', che la scrittrice rilegge in un’ottica redentiva, tanto che parla di «un mistero che secondo la O’Connor, è il riconoscimento intuitivo di un Dio che trascende e salva l’uomo, sanando la sua incompiutezza e fragilità, sinonimo di umanità».
Con una necessità di scrittura che non si situa solo nell’ambito della critica letteraria, ma va a cogliere il nodo sostanziale dell’apporto che l’opera della O’Connor può dare al lettore in termini di formazione della persona, ma anche di 'vocazione', tanto che la Buia indica quanto questo suo libro voglia essere «una ricognizione su quelli che sono i temi principali di una narrativa che richiede al lettore un coinvolgimento radicale e una netta presa di posizione. Insomma Flannery O’Connor non lascia scampo; la sua scrittura è una sfida che rilancia sempre il prendere o lasciare».
È la stessa linea che viene indicata nell’introduzione di Antonio Spadaro, uno dei critici che si è occupato maggiormente della O’Connor in Italia, un saggio, quello che introduce questo volume, che rimanda stilisticamente a certi ampi scritti saggistici di Tondelli, come quello su Carlo Coccioli, in cui esperienza personale e nutrimento letterario, mettono a fuoco un ritratto critico della scrittrice condotto anche attraverso i frammenti di un viaggio americano nei luoghi in cui la scrittrice ha vissuto, segnati da una terra che è «argilla rossa e che sembra misteriosamente viva e conferisce al paesaggio pianeggiante un senso di mistero». Il critico di 'Civiltà Cattolica', in base alla sua esperienza, racconta di come le parole della O’Connor possano essere lette nell’ottica di un esercizio di conversione, in quanto sono «in grado di 'resettare' una vita umana, farle ricostruire le gerarchie dei valori, ricombinare i pezzi, rivedere i giudizi e i punti di vista». In sintesi l’analisi interpretativa della Buia spiega come un’opera letteraria abbia «davvero la capacità di cambiare la vita».
Elena Buia Rutt ci aiuta a disvelare la presenza religiosa in queste storie del profondo Sud americano, dove a volte il male è indicibile, dove si può avere la sensazione di attraversare «i territori del diavolo». Nei romanzi ritrova centrale il tema del sangue come possibilità di redenzione e il problema della libertà così come viene posto nel Cielo dei violenti.
Particolarmente interessante è l’esplorazione dei racconti, caratterizzati dalla 'violenza della grazia', ma anche, in alcuni casi dall’Incarnazione come paradosso: qui troviamo anime ermeticamente chiuse, promesse di compimento, possibilità di intuire l’effigie del volto di Cristo, come avviene in La schiena di Parker : «Parker con il suo tatuaggio, incarna Cristo, litteralizzando su di sé le stimmate dell’immagine del Dio fatto uomo. Parker si fa Dio: l’immagine del volto di Gesù, la Veronica sulla sua schiena, ben rappresenta questo desiderio di somiglianza».
E il tatuaggio per la Buia ha un valore simbolico fondamentale per una scrittrice la cui visione del mondo non passa attraverso l’atteggiamento del mistico, ma si pone in «una visione sacramentale in cui lo spirituale è vissuto e conosciuto attraverso il corpo e la materia». Diventa per la Buia «una sorta di scrittura pittografica, un alfabeto come disegno; la metafora più vicina per l’incarnazione di una scrittura di Cristo».
Con una necessità di scrittura che non si situa solo nell’ambito della critica letteraria, ma va a cogliere il nodo sostanziale dell’apporto che l’opera della O’Connor può dare al lettore in termini di formazione della persona, ma anche di 'vocazione', tanto che la Buia indica quanto questo suo libro voglia essere «una ricognizione su quelli che sono i temi principali di una narrativa che richiede al lettore un coinvolgimento radicale e una netta presa di posizione. Insomma Flannery O’Connor non lascia scampo; la sua scrittura è una sfida che rilancia sempre il prendere o lasciare».
È la stessa linea che viene indicata nell’introduzione di Antonio Spadaro, uno dei critici che si è occupato maggiormente della O’Connor in Italia, un saggio, quello che introduce questo volume, che rimanda stilisticamente a certi ampi scritti saggistici di Tondelli, come quello su Carlo Coccioli, in cui esperienza personale e nutrimento letterario, mettono a fuoco un ritratto critico della scrittrice condotto anche attraverso i frammenti di un viaggio americano nei luoghi in cui la scrittrice ha vissuto, segnati da una terra che è «argilla rossa e che sembra misteriosamente viva e conferisce al paesaggio pianeggiante un senso di mistero». Il critico di 'Civiltà Cattolica', in base alla sua esperienza, racconta di come le parole della O’Connor possano essere lette nell’ottica di un esercizio di conversione, in quanto sono «in grado di 'resettare' una vita umana, farle ricostruire le gerarchie dei valori, ricombinare i pezzi, rivedere i giudizi e i punti di vista». In sintesi l’analisi interpretativa della Buia spiega come un’opera letteraria abbia «davvero la capacità di cambiare la vita».
Elena Buia Rutt ci aiuta a disvelare la presenza religiosa in queste storie del profondo Sud americano, dove a volte il male è indicibile, dove si può avere la sensazione di attraversare «i territori del diavolo». Nei romanzi ritrova centrale il tema del sangue come possibilità di redenzione e il problema della libertà così come viene posto nel Cielo dei violenti.
Particolarmente interessante è l’esplorazione dei racconti, caratterizzati dalla 'violenza della grazia', ma anche, in alcuni casi dall’Incarnazione come paradosso: qui troviamo anime ermeticamente chiuse, promesse di compimento, possibilità di intuire l’effigie del volto di Cristo, come avviene in La schiena di Parker : «Parker con il suo tatuaggio, incarna Cristo, litteralizzando su di sé le stimmate dell’immagine del Dio fatto uomo. Parker si fa Dio: l’immagine del volto di Gesù, la Veronica sulla sua schiena, ben rappresenta questo desiderio di somiglianza».
E il tatuaggio per la Buia ha un valore simbolico fondamentale per una scrittrice la cui visione del mondo non passa attraverso l’atteggiamento del mistico, ma si pone in «una visione sacramentale in cui lo spirituale è vissuto e conosciuto attraverso il corpo e la materia». Diventa per la Buia «una sorta di scrittura pittografica, un alfabeto come disegno; la metafora più vicina per l’incarnazione di una scrittura di Cristo».
Elena Buia Rutt, FLANNERY O’CONNOR, IL MISTERO E LA SCRITTURA, Ancora, pp. 112, € 12,50
«Avvenire» del 26 giugno 2010
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