di Paolo Del Debbio
L’economia sociale di mercato, negli ultimi due anni, è tornata di gran moda, usiamo questa espressione perché, purtroppo, l’impressione è che i vari richiami ad essa siano tanto numerosi quanto superficiali e inesatti nella maggior parte dei casi. La discussione odierna sulle responsabilità e i limiti del mercato, seguita alla crisi finanziaria, cerca un orizzonte entro il quale collocare la riflessione. In molti hanno pensato, anche in Italia, di richiamarsi al concetto di economia sociale di mercato perché - probabilmente - l’inserimento del termine «sociale» provoca immediatamente il richiamo ad una certa regolazione del mercato nel senso di un suo limite sociale, cioè ad un superamento della figura (spesso solo retorica) del mercato selvaggio. In realtà in questa corrente di pensiero sviluppatasi dopo il secondo conflitto mondiale in Germania le cose non stanno così. È quindi tempestiva l’iniziativa dell’editore Rubbettino che ha da poco pubblicato il volume Il liberalismo delle regole. Genesi ed eredità dell’economia sociale di mercato a cura di Francesco Forte e di Flavio Felice (pagg. 235, euro 19). Il volume raccoglie una serie di scritti fondativi che riletti oggi mostrano la loro attualità. Ne seguirà un secondo contenente scritti più applicativi.
L’economia sociale di mercato è ricondotta - giustamente - da Forte e Felice alla tradizione della scuola friburghese di «Ordo», Ordnung der Wirtschaft, ossia le Regole dell’economia i cui rappresentanti fondamentali furono Walter Eucken, Franz Böhm e Hans Grossmann-Dörth con Vonstantin von Dietz e Adolf Lampe. Nel volume compare anche lo scritto di un economista umanistico, Wilhelm Röpke, forse il più noto al pubblico italiano per la pubblicazione, sia pure molti anni fa, di sue opere come, ad esempio, Civitas Humana.
Questa corrente ebbe un influsso significativo nella politica tedesca della rinascita post-bellica attraverso l’opera di Ludwig Erhard che guidò la rinascita economica della Germania prima a fianco del cancelliere Konrad Adenauer e, successivamente, da cancelliere in prima persona. Nel volume si trova uno scritto di Müller-Armack che fu capo dei consiglieri di Erhard e anche uno dei principali architetti - come ricorda Forte nell’Introduzione - delle regole del Trattato di Roma.
In estrema sintesi questi economisti, giuristi ed uomini politici lavorarono alla creazione di regole di rango costituzionale per assicurare il funzionamento dell’economia di mercato ispirata ai principi liberali e in particolare tese ad assicurare il rispetto della sua regola fondamentale, la concorrenza. Il modello teorizzato da Ordo, da Röpke e da Müller-Armack è basato sulla concorrenza e sui benefici sociali che da essa possono derivare. L’intervento sociale non è escluso, anzi caldeggiato, ma non prima di avere regolato un mercato concorrenziale che sia basato sul sistema dei prezzi e che tenda a evitare la formazione di monopoli e corporazioni. In questo senso questa corrente di pensiero nulla ha a che fare (errore interpretativo che viene spesso compiuto) con il grande compromesso socialdemocratico la cosiddetta cogestione, Mitbestimmung, nelle grandi imprese attraverso l’intreccio tra banca, industria, sindacato e Stato del benessere. Anche questa dai rappresentanti dell’economia sociale di mercato viene vista, infatti come una violazione della concorrenza.
Il mercato di concorrenza prima di tutto. Gli interventi dello Stato sono ammessi solo laddove non si può fare a meno di supplire (principio di sussidiarietà) alle inefficienze del mercato e, se deve essere fatto, lo deve essere solo con interventi «conformi al mercato» cioè in modo tale che non ne compromettano il funzionamento. Scrive Röpke che conformi all’economia di mercato e di concorrenza «sono quegli interventi che non sopprimono la meccanica dei prezzi e l’autogoverno del mercato così ottenuti» e che sono non conformi «quelli che distruggono la meccanica dei prezzi e debbono di conseguenza sostituirla con un ordine economico programmatico, cioè collettivistico». Ce ne sarebbe abbastanza per impostare correttamente tutta la discussione di oggi sulla natura e i limiti del mercato nonché del suo rapporto con lo Stato.
L’economia sociale di mercato è ricondotta - giustamente - da Forte e Felice alla tradizione della scuola friburghese di «Ordo», Ordnung der Wirtschaft, ossia le Regole dell’economia i cui rappresentanti fondamentali furono Walter Eucken, Franz Böhm e Hans Grossmann-Dörth con Vonstantin von Dietz e Adolf Lampe. Nel volume compare anche lo scritto di un economista umanistico, Wilhelm Röpke, forse il più noto al pubblico italiano per la pubblicazione, sia pure molti anni fa, di sue opere come, ad esempio, Civitas Humana.
Questa corrente ebbe un influsso significativo nella politica tedesca della rinascita post-bellica attraverso l’opera di Ludwig Erhard che guidò la rinascita economica della Germania prima a fianco del cancelliere Konrad Adenauer e, successivamente, da cancelliere in prima persona. Nel volume si trova uno scritto di Müller-Armack che fu capo dei consiglieri di Erhard e anche uno dei principali architetti - come ricorda Forte nell’Introduzione - delle regole del Trattato di Roma.
In estrema sintesi questi economisti, giuristi ed uomini politici lavorarono alla creazione di regole di rango costituzionale per assicurare il funzionamento dell’economia di mercato ispirata ai principi liberali e in particolare tese ad assicurare il rispetto della sua regola fondamentale, la concorrenza. Il modello teorizzato da Ordo, da Röpke e da Müller-Armack è basato sulla concorrenza e sui benefici sociali che da essa possono derivare. L’intervento sociale non è escluso, anzi caldeggiato, ma non prima di avere regolato un mercato concorrenziale che sia basato sul sistema dei prezzi e che tenda a evitare la formazione di monopoli e corporazioni. In questo senso questa corrente di pensiero nulla ha a che fare (errore interpretativo che viene spesso compiuto) con il grande compromesso socialdemocratico la cosiddetta cogestione, Mitbestimmung, nelle grandi imprese attraverso l’intreccio tra banca, industria, sindacato e Stato del benessere. Anche questa dai rappresentanti dell’economia sociale di mercato viene vista, infatti come una violazione della concorrenza.
Il mercato di concorrenza prima di tutto. Gli interventi dello Stato sono ammessi solo laddove non si può fare a meno di supplire (principio di sussidiarietà) alle inefficienze del mercato e, se deve essere fatto, lo deve essere solo con interventi «conformi al mercato» cioè in modo tale che non ne compromettano il funzionamento. Scrive Röpke che conformi all’economia di mercato e di concorrenza «sono quegli interventi che non sopprimono la meccanica dei prezzi e l’autogoverno del mercato così ottenuti» e che sono non conformi «quelli che distruggono la meccanica dei prezzi e debbono di conseguenza sostituirla con un ordine economico programmatico, cioè collettivistico». Ce ne sarebbe abbastanza per impostare correttamente tutta la discussione di oggi sulla natura e i limiti del mercato nonché del suo rapporto con lo Stato.
«Il Giornale» del 25 giugno 2010
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