di Marco Roncalli
Cancellato dal totalitarismo sovietico insieme ai suoi scritti, segnati da una costante ricerca dell’Assoluto, rimosso dalla coscienza pubblica del suo Paese, e tuttavia sopravvissuto grazie alla memoria di discepoli, familiari e amici, dopo essersene andato – per usare le parole di Sergej Bulgakov – «cinto dall’aureola di martire e confessore del nome di Cristo», Pavel Aleksandrovic Florenskij continua ad essere al centro di una felice riscoperta. Essa ne restituisce i tratti di straordinario e poliedrico pensatore, alimentando il nostro stupore davanti alle sue intuizioni, alle sue parole, alla sua vita, che, nella loro tragica apparente incompiutezza, restano saldate in una unità indissolubile. È un dato confortante: per noi è l’eredità del presbitero ortodosso, padre di cinque figli, letterato, matematico, filosofo, teologo, fisico, studioso di estetica, simbologia, semiotica…, fucilato a 55 anni l’8 dicembre 1937, nei pressi di Leningrado, dopo aver trascorso lunghi periodi di gulag nelle isole Solovski, dov’ era stato recluso non appena la sua presenza di scienziato in talare era diventata intollerabile per il regime. Una morte, la sua, atto d’amore, concrocefisssione al Cristo, dopo aver rifiutato durante la detenzione la possibilità di essere liberato e inviato all’estero con la famiglia. Se anche solo venti anni fa Sergej Averincev non nascondeva il suo sconcerto per il fatto che l’opera di Florenskij venisse ancor «somministrata in dosi omeopatiche», oggi la situazione è mutata. Anche solo a giudicare l’attenzione dell’editoria e della nuova stagione ermeneutica, capace di mostrarci come il pensiero florenskijano abbia incarnato il messaggio evangelico nelle generalità culturali del suo tempo e in un approccio alla cultura «germinazione del culto». Certo, si stenta ancora a valutare la cifra complessiva della sua Weltanschauung: sfuggente alle consuete classificazioni e più facilmente frammentabile in questo o quel comparto disciplinare, essa richiede tuttavia un abbraccio vasto, profondo, concentrato sulla sua inviolabile unità, non su ritagli talvolta arbitrari. Ce lo ricorda uno dei massimi studiosi di colui che è stato definito il Leonardo da Vinci o il Pascal russo, e cioè Natalino Valentini , che ha appena mandato in libreria –per Mondadori – «Bellezza e liturgia», una raccolta di scritti florenskijani su cristianesimo e cultura, e – per le Edizioni San Paolo – il capolavoro del pensatore russo: «La colonna e il fondamento della verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere». Apparsa in Italia nel 1974 a cura di Elemire Zolla per i tipi di Rusconi, da tempo introvabile, è l’opera più rappresentativa del nostro, ma anche una summa del pensiero ortodosso, un trattato spirituale e ascetico, un confronto fecondo tra ragione e fede, un percorso alla ricerca della verità colta nel suo valore ontologico e salvifico. Da qui si può ripartire. A detta di Evgenij Trubeckoj che pure – come Nikolaj Berdjaev e altri – non condivideva diverse teorie di Florenskij : «Forse, in tutta la letteratura mondiale, se si fa eccezione per le Confessioni di sant’Agostino, non c’è analisi più illuminante e tormentata dell’animo umano..., e nessuna opera ha saputo manifestare con tanta chiarezza la necessità di un aiuto dall’Alto per soccorrere il dubbio umano».
«Avvenire» del 19 giugno 2010
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