Ma oggi i giovani scelgono strade diverse per affermare la propria identità. E la politica rischia la gerontocrazia
di Pierluigi Battista
Pur appartenendo a generazioni diverse e forti di orientamenti culturali decisamente divergenti tra loro, Mussolini, Togliatti, Moro e Giovanni Paolo II consideravano tutti la gioventù «una linfa vitale», una fonte di rigenerazione e di rinnovamento dell’impegno politico, sociale e morale. Le parole di Mussolini fanno parte del drammatico discorso in Parlamento con cui il fascismo, dopo la crisi apertasi con l’assassino di Matteotti, si consolidava come «regime» e diventava compiutamente una dittatura: ma Mussolini non aveva alcun dubbio di interpretare gli ideali della «gioventù» in politica. Togliatti sembrava invece animato da una tentazione pedagogica, dalla necessità per il suo partito di trasmettere insegnamenti etici e politici ai giovani che si avvicinavano ad esso. Moro pronunciò quelle parole nel ’69, a ridosso della contestazione giovanile del Sessantotto, per segnalare i pericoli che la politica, chiusa ai fermenti giovanili, potesse avvizzirsi e non ricevere più l’ossigeno del rinnovamento: i giovani, diceva, rappresentano una «necessità vitale».
Giovanni Paolo II confidava invece sulla capacità di «discernimento» dei giovani, sulla possibilità di rinnovare la tradizione senza però distruggerne le basi e spezzare il valore di un’eredità da non rigettare in blocco. Dalla diversità delle parole dei quattro protagonisti menzionati nella traccia traspare la comune considerazione positiva del valore della gioventù (a differenza di Croce, che la ridimensionava a uno stato di minorità in preparazione dell’unica vita vera: quella adulta).
Ma alla «gioventù» nella politica vengono assegnati ruoli storici molto diversi. E del resto lo stesso concetto di «gioventù», concetto di conio relativamente recente nella storia del pensiero e della sensibilità occidentali, appare vago e impreciso. Anagraficamente, la gioventù comprende oggi molti più anni di ieri. Inoltre, sembra che i giovani abbiano scelto, per affermarsi e affermare la propria identità socio-culturale, altre strade rispetto alla politica. Con il risultato che la politica tende a invecchiare. E talvolta, come purtroppo in Italia, a trasformarsi in gerontocrazia. Perdendo, inesorabilmente, parte di una necessaria «linfa vitale».
Giovanni Paolo II confidava invece sulla capacità di «discernimento» dei giovani, sulla possibilità di rinnovare la tradizione senza però distruggerne le basi e spezzare il valore di un’eredità da non rigettare in blocco. Dalla diversità delle parole dei quattro protagonisti menzionati nella traccia traspare la comune considerazione positiva del valore della gioventù (a differenza di Croce, che la ridimensionava a uno stato di minorità in preparazione dell’unica vita vera: quella adulta).
Ma alla «gioventù» nella politica vengono assegnati ruoli storici molto diversi. E del resto lo stesso concetto di «gioventù», concetto di conio relativamente recente nella storia del pensiero e della sensibilità occidentali, appare vago e impreciso. Anagraficamente, la gioventù comprende oggi molti più anni di ieri. Inoltre, sembra che i giovani abbiano scelto, per affermarsi e affermare la propria identità socio-culturale, altre strade rispetto alla politica. Con il risultato che la politica tende a invecchiare. E talvolta, come purtroppo in Italia, a trasformarsi in gerontocrazia. Perdendo, inesorabilmente, parte di una necessaria «linfa vitale».
«Corriere della sera» del 22 giugno 2010
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