Il blitz nella cattedrale belga
di Marina Corradi
Un blitz nella cripta di una cattedrale, come fosse il cuore di una organizzazione criminale. Forzare le tombe di due vescovi, violarne i sepolcri cercando segreti dossier – che però non ci sono. Ha il sapore di un film di Dan Brown quello che è successo a Mechelen, in Belgio. Nell’ambito di una inchiesta su casi di pedofilia nella Chiesa belga un giudice ha ordinato interrogatori di vescovi, e sequestri di dossier, e anche la perquisizione nella cattedrale, capolavoro duecentesco che da secoli è il simbolo della città vicina a Bruxelles.
Non è in discussione la liceità delle indagini, né l’esigenza di arrivare alla verità, se abusi ci sono stati: da mesi il Papa insiste sulla necessità di riparare al male fatto. Fatto anche in Belgio. Da singoli uomini. Ma in questo blitz in cattedrale, nella violazione delle tombe di due arcivescovi della diocesi di Bruxelles, si legge qualcosa che va oltre la legittima esigenza di giustizia. Era davvero necessario arrivare, come ha scritto la stampa belga, con i martelli pneumatici in una cripta mortuaria? E non assume invece, un simile assalto, un valore simbolico, il segno di una voglia di attaccare la Chiesa nella sua totalità?
'Operazione Chiesa', è il nome della inchiesta della magistratura belga, ed è un nome significativo. Un nome che indica il bersaglio. Non i singoli colpevoli, ma 'la' Chiesa. E non tanto per le colpe terribili e odiose di alcuni suoi ministri, quanto per ciò che la Chiesa stessa rappresenta, per ciò che 'è'. C’è l’eco, in quel blitz sulle tombe, di un redde rationem, di un rendimento di conti con la pretesa originaria della Chiesa: cioè di portare Cristo, e la sua verità. Che fastidiosamente, e più che mai in un Paese secolarizzato come il Belgio, cozza contro la cultura dominante e il suo idolo – l’Io vezzeggiato, libero da ogni legge che non sia la sua. Non si spiega altrimenti la brutalità e la voluta vistosità di questa incursione. Come se si volesse colpire proprio al cuore. Di chiese aggredite nella storia ce ne sono state tante, e con ben altra distruttività. In rivoluzioni e tragedie imparagonabili a questo piccolo blitz di un giudice, incursione legale, protetta dai timbri di un ordine di perquisizione. E tuttavia, violare tombe di cardinali in una cattedrale, pur con i crismi della legge, è un gesto che sa di violenza. Cogliendo la circostanza tragica degli abusi pedofili, colpire non i colpevoli, ma mirare al cuore. Al cuore, nelle viscere di una quelle splendenti cattedrali che costellano le nostre città d’Europa. A osservarle dall’alto, appaiono come il centro di una ragnatela di case, di storie, di uomini. Come radici, quei colossi di marmi, della città attorno; e madri, cui comunque anche da lontano, o col ricordo, si ritorna. Segni di pietra delle origini del nostro vivere in comunità.
Per questo il blitz di un giudice sconosciuto in una piccola città lontana addolora. Quella chiesa è un cuore. Alla gente è stato detto, in un metalinguaggio trasparente, che il cuore comune è depositario forse di vergognosi segreti. Lo si è forzato, violato, per cercarli. E anche se niente è stato trovato il senso di una profanazione rimane, insieme agli indimostrati ma angosciosi dubbi seminati; come se proprio la radice di quella città, di quel popolo si volesse incrinare.
Non è in discussione la liceità delle indagini, né l’esigenza di arrivare alla verità, se abusi ci sono stati: da mesi il Papa insiste sulla necessità di riparare al male fatto. Fatto anche in Belgio. Da singoli uomini. Ma in questo blitz in cattedrale, nella violazione delle tombe di due arcivescovi della diocesi di Bruxelles, si legge qualcosa che va oltre la legittima esigenza di giustizia. Era davvero necessario arrivare, come ha scritto la stampa belga, con i martelli pneumatici in una cripta mortuaria? E non assume invece, un simile assalto, un valore simbolico, il segno di una voglia di attaccare la Chiesa nella sua totalità?
'Operazione Chiesa', è il nome della inchiesta della magistratura belga, ed è un nome significativo. Un nome che indica il bersaglio. Non i singoli colpevoli, ma 'la' Chiesa. E non tanto per le colpe terribili e odiose di alcuni suoi ministri, quanto per ciò che la Chiesa stessa rappresenta, per ciò che 'è'. C’è l’eco, in quel blitz sulle tombe, di un redde rationem, di un rendimento di conti con la pretesa originaria della Chiesa: cioè di portare Cristo, e la sua verità. Che fastidiosamente, e più che mai in un Paese secolarizzato come il Belgio, cozza contro la cultura dominante e il suo idolo – l’Io vezzeggiato, libero da ogni legge che non sia la sua. Non si spiega altrimenti la brutalità e la voluta vistosità di questa incursione. Come se si volesse colpire proprio al cuore. Di chiese aggredite nella storia ce ne sono state tante, e con ben altra distruttività. In rivoluzioni e tragedie imparagonabili a questo piccolo blitz di un giudice, incursione legale, protetta dai timbri di un ordine di perquisizione. E tuttavia, violare tombe di cardinali in una cattedrale, pur con i crismi della legge, è un gesto che sa di violenza. Cogliendo la circostanza tragica degli abusi pedofili, colpire non i colpevoli, ma mirare al cuore. Al cuore, nelle viscere di una quelle splendenti cattedrali che costellano le nostre città d’Europa. A osservarle dall’alto, appaiono come il centro di una ragnatela di case, di storie, di uomini. Come radici, quei colossi di marmi, della città attorno; e madri, cui comunque anche da lontano, o col ricordo, si ritorna. Segni di pietra delle origini del nostro vivere in comunità.
Per questo il blitz di un giudice sconosciuto in una piccola città lontana addolora. Quella chiesa è un cuore. Alla gente è stato detto, in un metalinguaggio trasparente, che il cuore comune è depositario forse di vergognosi segreti. Lo si è forzato, violato, per cercarli. E anche se niente è stato trovato il senso di una profanazione rimane, insieme agli indimostrati ma angosciosi dubbi seminati; come se proprio la radice di quella città, di quel popolo si volesse incrinare.
«Avvenire» del 26 giugno 2010
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