di Giuliano Landolfi
Nell’intervento «Intellettuali senza cuore» di martedì 22 giugno su Agorà Davide Rondoni criticava la posizione di Alfonso Berardinelli secondo il quale la lotta degli intellettuali contro la menzogna non è «politica, ma piuttosto impolitica». In primo luogo, occorre chiarire l’ambito della parola 'politica': la si può limitare alla scalata al successo mediante la tessera di un partito, di un’associazione, di un potere editoriale, oppure, come Seneca, estenderla all’intera umanità in un’azione di testimonianza della verità. Senza questa distinzione ogni discussione si risolverà in un duello in una stanza oscura, anche perché il dibattito con questo tema appare datato in un mondo dominato dall’economia. Il problema dell’intellettuale, quindi, non sta né nella politica né nel 'cuore', come vuole Rondoni, va individuato nel confronto con la cultura 'emporiocentrica' che sta distruggendo la più preziosa eredità lasciata dai nostri antenati: l’Umanesimo. Se il mercato riduce la persona a consumatore, ai letterati, agli artisti, ai filosofi è delegato innanzi tutto il compito di levare un 'credibile' grido d’allarme. Ogni 'cultura di opposizione', però, che non sia testimoniata da proposte 'vissute', o si limita a rivendicare privilegi o diventa funzionale al sistema come parvenza di dibattito democratico. Il nocciolo della questione si pone proprio qui: nessun cittadino, e tanto meno l’intellettuale, può sottrarsi al confronto con questa realtà, che esige una scelta tra integrazione nel sistema e testimonianza con la conseguente 'libertà e solitudine' (Wilhelm von Humbold). Il 'testimone' cerca di diffondere le proprie idee non per occupare posizioni di altri, ma per attestare valori umani. Una vera azione 'intellettuale' va, quindi, attuata spostando le finalità dal sistema alla persona, al dialogo, alla condivisione di un’azione che ponga gli ideali al centro di ogni proposta culturale, al di là di ogni desiderio di successo, di potere, di benefici economici, di privilegi universitari, nella ricerca di indipendenza di giudizio, di coerenza, di autentica libertà da ogni ingerenza politica, economica ed intellettuale. E la posizione di 'testimonianza' è tanto più feconda quanto più intimamente opera in epoca di relativismo, di assolutizzazione della retorica (tutto può essere smontato e rimontato), di 'pessimismo totale'. Alla convinzione che non ci può essere persona che incarni un ideale, perché non ci sono più ideali (il disincanto dei valori), che non ci può essere una persona che proponga spazi di pensiero, perché sono soggettivi, che non ci può essere una persona di riferimento, perché ogni riferimento è individuale, gli operatori culturali 'testimoni' certificano che è possibile agire in modo assolutamente differente. Quale l’esito? Quali i tempi? Non è possibile neppure ipotizzare una risposta. Il mercato, riuscirà ad 'ingoiare' anche la testimonianza? Dipende dalla responsabilità di ciascuno di noi.
«Avvenire» del 26 giugno 2010
Nessun commento:
Posta un commento