I ripensamenti del movimento femminista (ma non in Italia)
di Gianfranco Amato
L’insospettabile quotidiano comunista Liberation ha aperto un vivace dibattito sulla crescente 'allergia' delle francesi tra i 25 e i 35 verso la pillola anticoncezionale – «rimettendo in discussione il suo aspetto dogmatico» – a favore di metodi più naturali. Catherine El Mghazli, membro del movimento francese per la pianificazione familiare, afferma che il ricorso a questi metodi (pur in una chiave contraccettiva) sarebbe dettato dalla «moda ecologica del momento». Il sorprendente confronto avviene in un periodo nel quale si ricordano i 50 anni della pillola anticoncezionale, un anniversario che ha rappresentato per molte ex femministe l’occasione di un ripensamento. Un’interessante rivisitazione della rivoluzione sessuale, che alcune protagoniste di allora guardano ormai con disincanto, e talora con sincero pentimento. Comincia a farsi strada l’idea che la pillola abbia creato l’illusione effimera di una libertà sessuale senza conseguenze e di un’affettività senza impegni, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
Persino un’eroina della rivoluzione sessuale come Shere Hite – autrice del celebre The Hite Report on Female Sexuality (1976), best seller in 29 Paesi – si è pubblicamente ricreduta in una recente intervista al Times : «Ricordo quando cominciai a prendere la pillola – afferma – ricordo di quanto fossi eccitata per il fatto di poter controllare la mia sessualità; ricordo l’incontenibile entusiasmo delle donne attorno a me che si sentivano finalmente libere di poter esprimere la propria sessualità senza lo spettro dell’aborto ». E continua: «Anche se c’erano voci femministe fuori dal coro, come quella di Barbara Seaman, che mettevano in guardia circa gli effetti collaterali della pillola, parlando di infarto, ictus, cancro, trombosi, nessuno sembrava ascoltarle. Tanto appariva allettante l’idea del sesso libero». «Oggi – confessa l’ex pasionaria – mi pento profondamente di quei giorni. È stato meraviglioso ma orribile». Prima di lei anche l’attrice ribelle Jane Fonda, tra le icone del femminismo militante, ha personalmente sperimentato come sia crollato il mito della «liberazione delle donne», arrivando poi alla riscoperta della fede. «Ho incontrato la grandezza dell’universo cristiano abbastanza recentemente – ha dichiarato l’attrice – e sono rimasta colpita da quanta ignoranza ci sia a riguardo, ignoranza che fino a qualche anno fa era patrimonio anche della sottoscritta. Nessuno come Cristo ha saputo celebrare la grandezza delle donne».
Ma non basta. Lorraine Murray, giornalista e autrice di Confessions of an Ex-Feminist, proprio negli anni ’70 incontra a scuola il movimento di liberazione femminile, cui aderisce al grido di «free love», amore libero. Dopo essere caduta in quella che lei ha definito la «prima grande bugia» – ovvero la banalizzazione del sesso vissuto senza alcuna responsabilità – incappa anche nella «seconda grande bugia», diretta conseguenza della prima: la «soluzione alternativa» alla pillola. E così conosce la tragica esperienza dell’aborto, che la segnerà per sempre. Ma proprio attraverso quel «punto di sutura eternamente mal cucito», come direbbe Charles Péguy, passerà per Lorraine la vera liberazione dall’inganno ideologico, e l’incontro con la fede: «Guardando in un’immagine sacra lo sguardo amorevole della Vergine Maria verso il Figlio che teneva tra le braccia – spiega – sono riuscita improvvisamente a scorgere tutta l’ingannevole mistificazione dell’ideologia femminista: strappare un figlio a una madre genera sempre conseguenze devastanti per entrambi».
Dell’esperienza di queste tre donne colpisce l’intelligenza di una ragione umana che non si lascia intrappolare dal preconcetto, ma che si apre alla realtà fino al coraggio di riconoscere l’errore.
È davvero deprimente, di converso, dover constatare che mentre altrove è vivace e aperto il confronto sulla mitologia della rivoluzione sessuale e dei suoi derivati – pillola, aborto, instabilità dei legami – in Italia tutto ciò resti ancora un inviolabile tabù, un granitico totem ideologico che incombe sul panorama culturale. Le intellettuali nostrane che si ergono come epigoni di un femminismo d’antan talora col loro tetro dogmatismo appaiono come figure patetiche. Un connubio malinconico di amarcord e settarismo, che non concede il minimo spazio concettuale al dubbio o all’autocritica.
Persino un’eroina della rivoluzione sessuale come Shere Hite – autrice del celebre The Hite Report on Female Sexuality (1976), best seller in 29 Paesi – si è pubblicamente ricreduta in una recente intervista al Times : «Ricordo quando cominciai a prendere la pillola – afferma – ricordo di quanto fossi eccitata per il fatto di poter controllare la mia sessualità; ricordo l’incontenibile entusiasmo delle donne attorno a me che si sentivano finalmente libere di poter esprimere la propria sessualità senza lo spettro dell’aborto ». E continua: «Anche se c’erano voci femministe fuori dal coro, come quella di Barbara Seaman, che mettevano in guardia circa gli effetti collaterali della pillola, parlando di infarto, ictus, cancro, trombosi, nessuno sembrava ascoltarle. Tanto appariva allettante l’idea del sesso libero». «Oggi – confessa l’ex pasionaria – mi pento profondamente di quei giorni. È stato meraviglioso ma orribile». Prima di lei anche l’attrice ribelle Jane Fonda, tra le icone del femminismo militante, ha personalmente sperimentato come sia crollato il mito della «liberazione delle donne», arrivando poi alla riscoperta della fede. «Ho incontrato la grandezza dell’universo cristiano abbastanza recentemente – ha dichiarato l’attrice – e sono rimasta colpita da quanta ignoranza ci sia a riguardo, ignoranza che fino a qualche anno fa era patrimonio anche della sottoscritta. Nessuno come Cristo ha saputo celebrare la grandezza delle donne».
Ma non basta. Lorraine Murray, giornalista e autrice di Confessions of an Ex-Feminist, proprio negli anni ’70 incontra a scuola il movimento di liberazione femminile, cui aderisce al grido di «free love», amore libero. Dopo essere caduta in quella che lei ha definito la «prima grande bugia» – ovvero la banalizzazione del sesso vissuto senza alcuna responsabilità – incappa anche nella «seconda grande bugia», diretta conseguenza della prima: la «soluzione alternativa» alla pillola. E così conosce la tragica esperienza dell’aborto, che la segnerà per sempre. Ma proprio attraverso quel «punto di sutura eternamente mal cucito», come direbbe Charles Péguy, passerà per Lorraine la vera liberazione dall’inganno ideologico, e l’incontro con la fede: «Guardando in un’immagine sacra lo sguardo amorevole della Vergine Maria verso il Figlio che teneva tra le braccia – spiega – sono riuscita improvvisamente a scorgere tutta l’ingannevole mistificazione dell’ideologia femminista: strappare un figlio a una madre genera sempre conseguenze devastanti per entrambi».
Dell’esperienza di queste tre donne colpisce l’intelligenza di una ragione umana che non si lascia intrappolare dal preconcetto, ma che si apre alla realtà fino al coraggio di riconoscere l’errore.
È davvero deprimente, di converso, dover constatare che mentre altrove è vivace e aperto il confronto sulla mitologia della rivoluzione sessuale e dei suoi derivati – pillola, aborto, instabilità dei legami – in Italia tutto ciò resti ancora un inviolabile tabù, un granitico totem ideologico che incombe sul panorama culturale. Le intellettuali nostrane che si ergono come epigoni di un femminismo d’antan talora col loro tetro dogmatismo appaiono come figure patetiche. Un connubio malinconico di amarcord e settarismo, che non concede il minimo spazio concettuale al dubbio o all’autocritica.
«Avvenire» del 24 giugno 2010
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