Divieti e nuovi conformismi
di Piero Ostellino
Maggioranza e opposizione rischiano di perdere di vista i fondamentali della democrazia. A 65 anni dalla fine del fascismo, una parte cospicua di italiani, preoccupata dalla dilagante corruzione, scende in piazza al grido «intercettateci tutti», evocando i metodi dello Stato di polizia, dall’Ovra fascista alla Stasi comunista. L’invocazione ha poco a che vedere con la legittima opposizione alla proposta di legge del governo sulle intercettazioni in discussione in Parlamento. Essa rivela, piuttosto, la convinzione che la corruzione sia connaturata alla «nostra democrazia » e che il solo modo di combatterla stia nel sacrificare la democrazia stessa, incarnata, qui, nell’articolo 15 della Costituzione: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili ». Il centrosinistra, che sostiene tale comportamento intimamente pericoloso, invece di incoraggiarlo, farebbe bene a rifletterci.
La nostra Costituzione — a differenza di altre — non prevede la temporanea sospensione di certe garanzie. Così, il governo le ha sospese «di fatto» (ad esempio l’inversione dell’onere della prova a carico dell’accusato in materia fiscale). Se il governo dicesse perché le ha sospese, non accampando un generico «interesse pubblico», il cittadino saprebbe, almeno, quali sono queste garanzie. Il centrodestra, che non ne parla per convenienza, farebbe bene a rifletterci.
Ma anche l’Ue non è da meno delle nostre forze politiche. L’Europa brucia, ma il Parlamento europeo — et dum Europa deficit, Ue de Nutella loquitur — cerca di imporci «modelli nutrizionali » che, anche ammesso siano scientificamente corretti, fanno violenza alla nostra responsabile libertà di scelta come individui, prima ancora che come consumatori. L’Unione europea farebbe bene a porsi qualche domanda. Quanto l’omologazione di abitudini gastronomiche autoctone, estranee a quelle di Paesi culturalmente distanti, non finisca col rappresentare una negazione delle identità dei singoli Paesi membri. Se tale omologazione — che danneggia l’industria alimentare di alcuni a beneficio di altri — non rifletta interessi industriali altrui, cioè la presenza di lobby bene organizzate e potenti quanto occulte.
Per tutta la sua vita, Norberto Bobbio si è posto la domanda «quale democrazia? », mettendo in discussione convinzioni consolidate, ma pur sempre aperte al dubbio. Oggi, scomparso il vecchio maestro liberale, a porla sono rimasti solo pochi suoi allievi, guardati con sufficienza, a destra non meno che a sinistra, da un pragmatismo rozzo e incolto che liquida volentieri il liberalismo come una dottrina ottocentesca superata dai «tempi nuovi» e la democrazia come un impedimento a governare. Non ne parlano i politici semplicemente perché, in quanto non liberali, non ne sono interessati. Non ne parlano neppure i media perché, in quanto «politicamente corretti », riflettono in modo conformistico l’ondata anti politica popolare, che sconfina nella negazione delle libertà individuali e dei diritti democratici. Nasce e si diffonde, nel giornalismo, l’idea di libertà di Trilussa: «Passa un porco e je dico ciao maiale / passa un asino e je dico ciao somaro / Forse ste bestie nun me capiranno / ma armeno c’ho la soddisfazione / de dì le cose come stanno / senza paura d’annà a finì in prigione».
La nostra Costituzione — a differenza di altre — non prevede la temporanea sospensione di certe garanzie. Così, il governo le ha sospese «di fatto» (ad esempio l’inversione dell’onere della prova a carico dell’accusato in materia fiscale). Se il governo dicesse perché le ha sospese, non accampando un generico «interesse pubblico», il cittadino saprebbe, almeno, quali sono queste garanzie. Il centrodestra, che non ne parla per convenienza, farebbe bene a rifletterci.
Ma anche l’Ue non è da meno delle nostre forze politiche. L’Europa brucia, ma il Parlamento europeo — et dum Europa deficit, Ue de Nutella loquitur — cerca di imporci «modelli nutrizionali » che, anche ammesso siano scientificamente corretti, fanno violenza alla nostra responsabile libertà di scelta come individui, prima ancora che come consumatori. L’Unione europea farebbe bene a porsi qualche domanda. Quanto l’omologazione di abitudini gastronomiche autoctone, estranee a quelle di Paesi culturalmente distanti, non finisca col rappresentare una negazione delle identità dei singoli Paesi membri. Se tale omologazione — che danneggia l’industria alimentare di alcuni a beneficio di altri — non rifletta interessi industriali altrui, cioè la presenza di lobby bene organizzate e potenti quanto occulte.
Per tutta la sua vita, Norberto Bobbio si è posto la domanda «quale democrazia? », mettendo in discussione convinzioni consolidate, ma pur sempre aperte al dubbio. Oggi, scomparso il vecchio maestro liberale, a porla sono rimasti solo pochi suoi allievi, guardati con sufficienza, a destra non meno che a sinistra, da un pragmatismo rozzo e incolto che liquida volentieri il liberalismo come una dottrina ottocentesca superata dai «tempi nuovi» e la democrazia come un impedimento a governare. Non ne parlano i politici semplicemente perché, in quanto non liberali, non ne sono interessati. Non ne parlano neppure i media perché, in quanto «politicamente corretti », riflettono in modo conformistico l’ondata anti politica popolare, che sconfina nella negazione delle libertà individuali e dei diritti democratici. Nasce e si diffonde, nel giornalismo, l’idea di libertà di Trilussa: «Passa un porco e je dico ciao maiale / passa un asino e je dico ciao somaro / Forse ste bestie nun me capiranno / ma armeno c’ho la soddisfazione / de dì le cose come stanno / senza paura d’annà a finì in prigione».
«Corriere della Sera» del 29 giugno 2010
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