Le intelligenze extraterrestri, un banco di prova per la nostra mente. Ma parlare di UFO banalizza il discorso
di Giovanni Caprara
Finalmente anche il tema della maturità alza gli occhi al cielo scoprendo interrogativi che ci sollevano da un tradizionalismo culturale odoroso di vecchio e fuori tempo. Ma in realtà la domanda «Siamo soli?», alla quale per chiarezza e completezza io avrei aggiunto «nell’Universo», ce la portiamo nel cuore e nella mente da sempre, da quando i nostri antenati guardavano impauriti le stelle nelle notti buie, costruendo intorno ad esse mitiche storie per esorcizzare pensieri senza risposta. Anche oggi non è cambiato molto, nonostante la scienza tenti spiegazioni. I mezzi sono ancora troppo limitati. Ma al di là del trovare indizi è giusto occuparsene e ragionare su quegli aspetti che Kant oppure Hawking scandagliano bene. Il celebre astrofisico britannico fa emergere il significato dell’intelligenza che la nostra cultura spesso semplifica in modo rozzo, intollerante dell’idea che esistano tante diverse intelligenze. Oppure Davies che vede la ricerca di intelligenze extraterrestri come un banco di prova per la nostra mente e la nostra coscienza.
Ma come tutti gli autori dicono o lasciano intendere, porsi la domanda su altri esseri nel cosmo significa guardare di più in noi stessi, esercitare un confronto e considerare due aspetti importanti. Il primo è quello di accettare la nostra marginalità in un mondo popolato da miliardi di galassie, aiutandoci forse a conquistare un po’ di umiltà. Il secondo aspetto è che esalta il valore dell’uomo, della sua potenza attraverso l’intelligenza capace di indagare i grandi misteri dell’universo. La cultura scolastica è ancora carente davanti a queste prospettive, e simili discussioni aiutano ad aprire e a far crescere la nostra mente.
Non sono d’accordo, invece, sulla formulazione del secondo riferimento, non tanto nel contenuto quanto nella presentazione. Usare il termine UFO significa alterare i grandi significati proposti. E infatti i commenti radiofonici di oggi spesso giocano e traducono tutto nel «tema degli UFO», inteso più come omini verdi e marziani. In una cultura popolare così facile nel lasciarsi andare all’irrazionale e al superficiale, l’uso di questo termine diventa una chiave per orientare verso la banalizzazione del discorso. E’ solo una questione di termini, ripeto; ma le parole accendono pensieri, e possono essere cattivi.
Ma come tutti gli autori dicono o lasciano intendere, porsi la domanda su altri esseri nel cosmo significa guardare di più in noi stessi, esercitare un confronto e considerare due aspetti importanti. Il primo è quello di accettare la nostra marginalità in un mondo popolato da miliardi di galassie, aiutandoci forse a conquistare un po’ di umiltà. Il secondo aspetto è che esalta il valore dell’uomo, della sua potenza attraverso l’intelligenza capace di indagare i grandi misteri dell’universo. La cultura scolastica è ancora carente davanti a queste prospettive, e simili discussioni aiutano ad aprire e a far crescere la nostra mente.
Non sono d’accordo, invece, sulla formulazione del secondo riferimento, non tanto nel contenuto quanto nella presentazione. Usare il termine UFO significa alterare i grandi significati proposti. E infatti i commenti radiofonici di oggi spesso giocano e traducono tutto nel «tema degli UFO», inteso più come omini verdi e marziani. In una cultura popolare così facile nel lasciarsi andare all’irrazionale e al superficiale, l’uso di questo termine diventa una chiave per orientare verso la banalizzazione del discorso. E’ solo una questione di termini, ripeto; ma le parole accendono pensieri, e possono essere cattivi.
«Corriere della Sera» del 22 giugno 2010
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