Andrea Carandini replica a Giuseppe Galasso e Alfonso Berardinelli sulla mediocrità culturale dell’Italia
di Andrea Carandini
Ringrazio Giuseppe Galasso per le sue riflessioni che apprezzo. Sarebbe stato poco elegante se chi scrive, residuo della vecchia élite borghese, avesse disprezzato la civiltà di massa. Il problema non è l’egualitarismo, ma un’istruzione e una cultura largamente insufficienti, nonostante una informazione ipertrofica. La civiltà di massa esiste anche in Europa e negli Stati Uniti. La questione sta nel se e nel come i diversi Paesi hanno controbilanciato tale realtà con correttivi qualitativi. Nel mondo anglosassone, ma non solo, l’uguaglianza, tipica della democrazia, ha trovato un contrappeso liberale nella «meritocrazia», che si basa sulla distinzione. Da questo punto di vista, la nostra democrazia ha scordato di essere una democrazia «liberale». È molto più facile accedere a un ceto superiore nei Paesi anglosassoni di quanto lo sia in Italia, dove l’élite borghese è morta ma il privilegio dei ricchi attuali predomina, come ammette Galasso, continuando a creare dinastie. Se alle aristocrazie del censo non subentrano, grazie ad «ascensori sociali», élite qualitative, si ha fatalmente una mediocrità senza oro. In ciò il pensiero liberale ha trovato un proseguimento nelle riflessioni sulla meritocrazia, assente in Italia, come spiega Roger Abravanel. Senza un’eccellenza basata sul merito - curato come bene altrettanto prezioso dell’elevazione generale della società - la mediocrità di ferro non diventerà mai la mediocrità d’oro di Orazio, che Galasso giustamente auspica. Nelle università italiane, ad esempio, il voto che si dà all’asino è numericamente troppo propinquo a quello che si dà al sapiente, perché l’emergere sopra la massa per talento e studio è tutt’ora malvisto. Così i bravi vengono messi in ginocchio e lasciano l’Italia. Il mio discorso è, pertanto, l’opposto di una chiusura elitaria vecchio stile! È la denuncia che il disconoscimento della qualità, già grave in una società marcatamente di classe, è terribile in una società cosiddetta democratica, che ha distrutto la vecchia élite borghese senza averne allevato un’altra basata esclusivamente sull’originalità del pensiero, come si alleva invece a Harvard, a Cambridge e in tutte le prime università del mondo. Le nostre, al contrario, sono in coda, perché adottano solo la quantità. Di qui una crisi grave della ricerca e della cultura (fra l’altro sono stati quasi azzerati i finanziamenti statali per i beni culturali) e una crisi altrettanto grave nella formazione della classe dirigente, che dovrebbe uscire da alte scuole per essere all’altezza dei problemi che l’Italia deve fronteggiare. Ringrazio anche Alfonso Berardinelli, con cui mi sento all’unisono. Egli è ben consapevole che solo affrontare il tema della decadenza culturale comporta accuse di antiprogressismo, perché la mediocrità può sembrare un dono avvelenato dell’egualitarismo. Ma un giudizio severo sulla cultura come il mio non comporta automaticamente un atteggiamento antidemocratico. Presuppone al contrario l’edificazione di una democrazia finalmente compiuta, dedita non soltanto ai problemi sociali e corporali ma anche a quelli attinenti la cura delle menti. Se una democrazia scoraggia pensieri e scelte individuali e liberi è una democrazia zoppa e in pericolo, facile preda di demagoghi: favorisce infatti, più che il pensare con la propria testa, il venerare con la testa altrui. Basta quindi con la mediocrità ferrea e con lo snobismo contrapposti. Capiamo finalmente che le scelte basate su un merito scientificamente accertato - più che su ricchezza, parentela, avvenenza e ubbidienza, come oggi avviene - rendono liberale e aurea l’uguaglianza democratica dei cittadini, degni tutti di fabbricarsi al meglio la propria mente, grazie all’esempio di chi eccelle: non soltanto per sé ma per il bene comune. Una democrazia senza liberalismo non si dà, e neppure un liberalismo senza democrazia, come Giovanni Sartori insegna.
«Corriere della Sera» del 26 gennaio 2011
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