Le femministe accecate dall’odio aderiscono ai manifesti contro il "Sultano del bunga-bunga". Ma dimenticano che la libertà sessuale delle donne è uno dei cardini dell’emancipazione
di Vittorio Sgarbi
Dispiace dovere ricordare a donne colte e scrittrici alcuni testi memorabili e inequivoci che indicano, in modo chiaro, volontà e decisioni della donna non nel tempo della liberazione sessuale ma nella storia. La Moll Flanders di De Foe ha idee molto precise, e faticherebbe a credere a una dichiarazione di dignità delle donne palesemente ipocrita. Dice Moll Flanders: «Donna che sia dalla rovina stretta, sugli uomini può sempre far vendetta». Ripensando a personalità e atteggiamenti come questi, finalmente una donna si è svegliata e ha restituito libertà e dignità a numerose donne che, desiderose di avere successo o fortuna, sono state sbrigativamente considerate «prostitute». Troppo facile parlare, come fa Dacia Maraini della «quotidiana offesa alla dignità femminile», per scelte e comportamenti da alcune non condivisi, ma assolutamente liberi, come appunto ci insegna la storia di Moll Flanders. Guardiamo con soddisfazione, dunque, alla presa di posizione di Luisa Muraro che invita a «non far scadere la politica nel moralismo» e, immagino, a non confondere la sfera pubblica con quella privata. Dacia Maraini, invece, non resiste, e non si rende conto che la sua indignazione, negli stessi termini, si sarebbe potuta sicuramente indirizzare ad Alberto Moravia e a Carmen Llera, a Pier Paolo Pasolini e a Pino Pelosi. Glielo dice in modo semplice Chiara Gamberale: «Un movimento non può nascere contro qualcosa come il comportamento delle ragazze di Arcore… come donna non mi sono mai sentita messa in discussione da chi usa la propria testa, il proprio corpo e il proprio cuore in modo diverso da come ho scelto di fare io».
Ma se nella Maraini è sbiadito il ricordo delle battaglie per la liberazione sessuale, senza moralismi, non lo è quello della cattiva abitudine di aderire a manifesti e documenti, come quello osceno contro Luigi Calabresi. Ancora oggi c’è una irresistibile tentazione a firmare appelli, senza pudore.
Oggi è la volta di quello risibile, se non fosse seriosamente proposto, dell’Unità contro il «sultano del Bunga Bunga». Leggo anche la firma di Lucrezia Lante della Rovere, e l’ho sentita vibrante di sdegno ad Annozero. Mi è venuto naturale pensare a Moll Flanders e al moralismo che avrebbe condannato anche lei sentendo parlare di «prostitute» per tutte le ragazze entrate ad Arcore (come ha affermato, fra le altre, la deputata del Pd Ferrante), in una intollerabile e letterale azione di «sputtanamento», scientificamente perseguita dalla procura di Milano, in nome del Popolo italiano. Una palese e violenta diffamazione, nel sostenere la quale sono state chiamate tutte le donne che ritengono bellezza e spregiudicatezza una colpa (per dire, la Maraini afferma che: «praticamente ogni anno ho scritto uno o due articoli contro lo spazio che la televisione dà al concorso di Miss Italia che per me è una delle forme della reificazione del corpo femminile»).
Oggi siamo alle prostitute «nominate» dalla Boccassini e alla richiesta (anche di molti uomini di sinistra) di un intervento della Chiesa, demonizzata quando si pronuncia contro il mondo gay, le unioni omosessuali e il Gay Pride, e invocata a pronunciarsi contro l'immorale Berlusconi. Ciò che accade (dimenticando che non è ostentato ma è rivelato, urbi et orbi, da una aberrante inchiesta giudiziaria) «addolora» anime belle, e corpi un tempo liberi come quelle della Melandri che giudica le notti di Arcore spettacoli indecorosi, osceni, umilianti per la donna (benché non fossero spettacoli ma «riti» privati).
Mi viene in mente il vescovo di Caltanissetta che, mentre io gli opponevo l’innocenza dei rapporti sessuali di due persone libere, senza tradimenti di terzi, sotto il sole, sulla riva di un fiume, considerati peccati per la religione cristiana (mentre io avrei giudicato un peccato astenersi) mi disse: «Dio soffre». E io immaginai, come ora la Melandri e Lucrezia Lante della Rovere in collegamento dai loro eremi, Dio su una nuvola che, tra guerre, stragi, terremoti, catastrofi, violenze, crimini, malattie, incidenti si preoccupava e soffriva per due giovani che facevano l’amore sulle rive del Po o dell’Anapo. Allo stesso modo mi pare assurda la posizione di due, tre e più donne che credevo libere.
Alla Melandri ho urlato: «bigotta!»; alla Maraini ricordo Moravia, a Lucrezia Lante della Rovere ricordo l’innocenza libertina di sua madre e la reincarnazione, nelle scelte della sua vita, proprio della figura di Moll Flanders. E spero che un giorno una donna libera, anche la stessa Lucrezia Lante della Rovere, rinsavita e serenamente viziosa interpreti quel personaggio. Mentre oggi, forse, si è calata nei panni e nel pensiero di una Concita de Gregorio, dimentica del «culo in jeans» esibito da Oliviero Toscani. Lasciamole ora alla contrizione. E inviamo un pensiero libertino a Lorenzo da Ponte, a Mozart, a De Sade, a Bataille, a Balthus, a Klossowski, a Genet, per non impigliarci nel facile moralismo della letteratura d’appendice di Concita.
Ma consentitemi di chiedere ora a Lucrezia Lante della Rovere qualcosa sui suoi rapporti sessuali con Luca Barbareschi; e, per quanto io so, in che cosa la concezione della donna di Barbareschi si differenzi da quella di Berlusconi. Non dovrò essere io a rivelare che, con lei e con altri, Barbareschi ha sempre rivelato, amichevolmente e con complicità (e senza farne mistero), di avere rapporti liberi e plurimi, uomini, donne e trans.
Egli stesso mi ha presentato ragazze pronte a chiamare e a sedurre altre, le sue Nicole Minetti. Dovrò dirne i nomi? Con Lucrezia ha condiviso questa concezione di libertà sessuale senza sentirsi in colpa, felice del piacere e, soprattutto, senza pensare di compiere reati. In Italia, in Francia, in America, in Marocco, in Tunisia, e in molti luoghi dove gli incontri amorosi non sono, né a lui né a lei, mai apparsi crimini. Io conosco persone che possono confermare ciò che affermo. Ma, credo che, senza vergogna, potrà raccontarlo lo stesso Barbareschi. Ed è questa, ad evidenza, la ragione principale del suo riavvicinamento a Berlusconi. O dovremo immaginare che, prendendo le distanze da Berlusconi, Lucrezia Lante della Rovere le voglia prendere anche da Luca Barbareschi, e dal suo modo di vivere? Pentita? E pronta a rinnegare la «amorale» mamma?
L’esito della visione del mondo di queste donne che hanno scelto la Binetti (invece della Minetti) e Bindi come modelli di libertà femminile è nell’atteggiamento punitivo ed esorcistico di don Aldo Antonelli che ha listato a lutto alcune vie di Avezzano: «Lutto per il paese, umiliato da un premier immondo, affarista e licenzioso». A parità di comportamenti davanti a Dio lo farà anche per Barbareschi.
Ma se nella Maraini è sbiadito il ricordo delle battaglie per la liberazione sessuale, senza moralismi, non lo è quello della cattiva abitudine di aderire a manifesti e documenti, come quello osceno contro Luigi Calabresi. Ancora oggi c’è una irresistibile tentazione a firmare appelli, senza pudore.
Oggi è la volta di quello risibile, se non fosse seriosamente proposto, dell’Unità contro il «sultano del Bunga Bunga». Leggo anche la firma di Lucrezia Lante della Rovere, e l’ho sentita vibrante di sdegno ad Annozero. Mi è venuto naturale pensare a Moll Flanders e al moralismo che avrebbe condannato anche lei sentendo parlare di «prostitute» per tutte le ragazze entrate ad Arcore (come ha affermato, fra le altre, la deputata del Pd Ferrante), in una intollerabile e letterale azione di «sputtanamento», scientificamente perseguita dalla procura di Milano, in nome del Popolo italiano. Una palese e violenta diffamazione, nel sostenere la quale sono state chiamate tutte le donne che ritengono bellezza e spregiudicatezza una colpa (per dire, la Maraini afferma che: «praticamente ogni anno ho scritto uno o due articoli contro lo spazio che la televisione dà al concorso di Miss Italia che per me è una delle forme della reificazione del corpo femminile»).
Oggi siamo alle prostitute «nominate» dalla Boccassini e alla richiesta (anche di molti uomini di sinistra) di un intervento della Chiesa, demonizzata quando si pronuncia contro il mondo gay, le unioni omosessuali e il Gay Pride, e invocata a pronunciarsi contro l'immorale Berlusconi. Ciò che accade (dimenticando che non è ostentato ma è rivelato, urbi et orbi, da una aberrante inchiesta giudiziaria) «addolora» anime belle, e corpi un tempo liberi come quelle della Melandri che giudica le notti di Arcore spettacoli indecorosi, osceni, umilianti per la donna (benché non fossero spettacoli ma «riti» privati).
Mi viene in mente il vescovo di Caltanissetta che, mentre io gli opponevo l’innocenza dei rapporti sessuali di due persone libere, senza tradimenti di terzi, sotto il sole, sulla riva di un fiume, considerati peccati per la religione cristiana (mentre io avrei giudicato un peccato astenersi) mi disse: «Dio soffre». E io immaginai, come ora la Melandri e Lucrezia Lante della Rovere in collegamento dai loro eremi, Dio su una nuvola che, tra guerre, stragi, terremoti, catastrofi, violenze, crimini, malattie, incidenti si preoccupava e soffriva per due giovani che facevano l’amore sulle rive del Po o dell’Anapo. Allo stesso modo mi pare assurda la posizione di due, tre e più donne che credevo libere.
Alla Melandri ho urlato: «bigotta!»; alla Maraini ricordo Moravia, a Lucrezia Lante della Rovere ricordo l’innocenza libertina di sua madre e la reincarnazione, nelle scelte della sua vita, proprio della figura di Moll Flanders. E spero che un giorno una donna libera, anche la stessa Lucrezia Lante della Rovere, rinsavita e serenamente viziosa interpreti quel personaggio. Mentre oggi, forse, si è calata nei panni e nel pensiero di una Concita de Gregorio, dimentica del «culo in jeans» esibito da Oliviero Toscani. Lasciamole ora alla contrizione. E inviamo un pensiero libertino a Lorenzo da Ponte, a Mozart, a De Sade, a Bataille, a Balthus, a Klossowski, a Genet, per non impigliarci nel facile moralismo della letteratura d’appendice di Concita.
Ma consentitemi di chiedere ora a Lucrezia Lante della Rovere qualcosa sui suoi rapporti sessuali con Luca Barbareschi; e, per quanto io so, in che cosa la concezione della donna di Barbareschi si differenzi da quella di Berlusconi. Non dovrò essere io a rivelare che, con lei e con altri, Barbareschi ha sempre rivelato, amichevolmente e con complicità (e senza farne mistero), di avere rapporti liberi e plurimi, uomini, donne e trans.
Egli stesso mi ha presentato ragazze pronte a chiamare e a sedurre altre, le sue Nicole Minetti. Dovrò dirne i nomi? Con Lucrezia ha condiviso questa concezione di libertà sessuale senza sentirsi in colpa, felice del piacere e, soprattutto, senza pensare di compiere reati. In Italia, in Francia, in America, in Marocco, in Tunisia, e in molti luoghi dove gli incontri amorosi non sono, né a lui né a lei, mai apparsi crimini. Io conosco persone che possono confermare ciò che affermo. Ma, credo che, senza vergogna, potrà raccontarlo lo stesso Barbareschi. Ed è questa, ad evidenza, la ragione principale del suo riavvicinamento a Berlusconi. O dovremo immaginare che, prendendo le distanze da Berlusconi, Lucrezia Lante della Rovere le voglia prendere anche da Luca Barbareschi, e dal suo modo di vivere? Pentita? E pronta a rinnegare la «amorale» mamma?
L’esito della visione del mondo di queste donne che hanno scelto la Binetti (invece della Minetti) e Bindi come modelli di libertà femminile è nell’atteggiamento punitivo ed esorcistico di don Aldo Antonelli che ha listato a lutto alcune vie di Avezzano: «Lutto per il paese, umiliato da un premier immondo, affarista e licenzioso». A parità di comportamenti davanti a Dio lo farà anche per Barbareschi.
«Il Giornale» del 7 febbraio 2011
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