Tratto dal volume Voces. Sallustio, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2000, pp. 9–10
di Martino Menghi e Massimo Gori
La scelta monografica in un’opera storica vincola l’autore a circoscrivere l’argomento a un periodo limitato di tempo, per lo più vicino, e a farlo ruotare intorno a un personaggio, a un fatto giudicato epocale, a una guerra particolarmente importante. Questo non significa che non si possano avere sezioni di "archeologia" (si chiamano così i capitoli I-XIX del I libro della Guerra del Peloponneso di Tucidide, in cui il grande storico greco, che scrive di una guerra a lui contemporanea e alla quale partecipò, traccia un profilo magistrale del mondo greco arcaico) oppure brevi digressioni per arricchire la materia e introdurre variazioni letterarie, o che addirittura la monografia stessa sia digressione e approfondimento di un’opera che copre un numero di anni più esteso (la Germania di Tacito è per alcuni una digressione etnografica nella storia del I secolo d.C. che l’autore tratta nelle Historiae).
Le opere di Sallustio De Catilinae coniuratione e Bellum Iugurthinum, le prime monografie trasmesseci in misura integrale, non mancano delle caratteristiche sopra elencate: coprono uno spazio di tempo piuttosto breve (dal 64 al 63 a. C. la congiura di Catilina, dal 111 al 105 a. C. la guerra contro Giugurta), ruotano intorno alle imprese di un eroe (o meglio di un antieroe), presentano sezioni archeologiche di storia romana (nel De Catilinae coniuratione i capp. VI-XIII) e degli excursus (per esempio in Bellum Iugurthinum XVII-XIX una digressione etnografica sull’Africa, peraltro piuttosto deludente; in XLI-XLII una panoramica sulla storia delle discordie civili e infine una digressione sui leptitani in LXXVII-LXXIX, excursus posti tutti in posizioni studiate ad arte prima delle tre fasi delle ostilità), e infine la forma letteraria è nella sua concisione assai curata e strettamente legata al contenuto proprio per la brevità delle vicende narrate; Sallustio dichiara di voler «narrare compiutamente, per monografie (carptim, alla lettera "cogliendone alcune parti") le imprese del popolo romano, secondo che parevano meritevoli di memoria» (De Catilinae coniuratione IV, 2). Tuttavia la somma di queste proprietà contenutistiche e formali non basta a dare una definizione completa e soddisfacente del genere. In effetti si fa risalire la prima stesura di un testo storico monografico nella letteratura latina all’opera di Celio Antipatro, che alla fine del II secolo a.C. sviluppò in questa forma le vicende della seconda guerra punica, invece di rifarsi seguendo la tradizione annalistica alla storia di Roma ab urbe condita; tuttavia le dimensioni dell’opera (sette libri) e l’attenzione alle peripezie e all’elemento fantastico per compiacere il pubblico collocano i frammenti di quest’opera piuttosto lontano dall’aridità narrativa dei primi storici di Roma, gli annalisti, ma anche da quella stretta interazione di forma stilistica, scelta di contenuto e interpretazione storica che è propria delle due monografie sallustiane. Non è sufficiente quindi la scelta monografica di un fatto epocale, come nel caso di Celio Antipatro la guerra contro Annibale, per trovare dei precursori a Sallustio e per definire i caratteri del genere: del resto il passaggio alla monografia si era già compiuto, anche se in forme letterarie ufficialmente differenti, nella storiografia greca di età ellenistica, quando alcuni storici che avevano prodotto storie "continue" ne avevano riservato alcuni libri (gli ultimi, pubblicati anche a parte) alla trattazione della storia di un personaggio importante o affascinante (Agatocle, Pirro, Annibale, la cui vita era già l’oggetto di monografie "antiromane" in greco) che veniva a coincidere con quella del conflitto in cui era stato impegnato. Anche Polibio, il grande storico greco che visse a Roma nel II secolo a.C., autore di una Storia "continua", vera e propria chiave di volta dello sviluppo della storiografia romana, aveva fatto coincidere per larga parte la trattazione della guerra punica con la biografia di Annibale (libri III-XV) e tutto sommato anche Tucidide, il modello di Sallustio, aveva compiuto una scelta monografica isolando per importanza, tra tutti i fatti dei greci, la guerra del Peloponneso. Del resto, quale che sia la forma letteraria prescelta, è stato notato (Musti) che tutta la storiografia romana di età repubblicana, fino a Tito Livio, ruota necessariamente intorno alla svolta epocale della seconda guerra punica e in un modo o nell’altro vi è connessa.
Per definire meglio la monografia sallustiana occorre pensare a due elementi. Il primo, di carattere generale, è la tendenza a una più serrata e corretta ricerca delle cause secondo i criteri messi a punto da Polibio e trasferiti nella storiografia romana, come dimostra la celebre distinzione tra annales e res gestae di Sempronio Asellione – un annalista vissuto alla tra II e I secolo a.C. – per il quale scrivere storia, le res gestae, significa spiegare i motivi delle decisioni e le considerazioni che le hanno prodotte e non limitarsi a elencare dei fatti bellici. Anche Sallustio, nella sua ultima opera, presenterà un seguito di cause di una certa ampiezza cronologica (dal 78 al 67 circa a.C. in cinque libri) organizzandole secondo una ricerca approfondita e un coerente disegno d’insieme, però chiamerà quest’opera Historiae. In realtà si può osservare che la congiura di Catilina non è inseritile in un contesto di cause, non è a sua volta causa di nulla, semmai è sintomo, esempio di una serie di eventi che si identificano con la crisi dello stato romano. In effetti al di là dell’idea di una storia come ricerca scaltrita delle cause, la monografia sallustiana presenta come tratto suo proprio non tanto la consequenzialità quanto piuttosto l’esemplarità, il particolare significato di un evento in un processo causale, il portare alle estreme conseguenze quel criterio di scelta dei fatti particolarmente interessanti che ritroviamo all’origine della storiografia greca e occidentale nei proemi dei due storici che ne hanno inventato le strutture: Erodoto e Tucidide. E la conseguenza più semplice, la strada più agevole per uno storico romano che aveva in mente un sistema di valori quasi determinato geneticamente dal mos maiorum, è cercare questa esemplarità in fatti di ordine prettamente morale. Quando Sallustio si trova a giustificare la scelta di un argomento come la guerra giugurtina – tutto sommato poco interessante per i lettori dell’epoca seguita alla morte di Cesare, quando l’interesse era rivolto all’oriente greco per i progetti di Antonio e di Ottaviano di campagne militari contro i parti – riesce a connettersi con la problematica recente delle guerre civili dichiarando apertamente che questa guerra fu il primo momento, il primo esempio, di opposizione alla superbia della nobilitas (Bellum Iugurthinum V, 1). Dunque così come l’attività di scrivere la storia si trasforma nell’orgogliosa rivendicazione di un virtuoso isolamento (vedi la prefazione al Bellum Iugurthinum), la storia stessa diventa antitesi tra vizi e virtù che si alternano quasi a creare o a disfare le fortune degli stati; è un’operazione forse di semplificazione rispetto alla coerenza razionalistica dei modelli greci, Tucidide e Polibio più di ogni altro, ma segna il collegamento ideale tra Sallustio e la struttura profonda di giustificazione e di edificazione morale collettiva che nutrì sempre la coscienza storica dei romani. Sallustio in questo senso si ricollega idealmente al suo conterraneo Catone il Censore e a una visione della storia come celebrazione della grandezza di Roma e come polemica forte contro qualsiasi elemento di disgregazione di quel vero e proprio capolavoro collettivo che è lo stato romano (si può notare che nella digressione archeologica sulla storia di Roma del De Catilinae coniuratione le virtù dei romani sono virtù collettive, come già venivano descritte nelle Origines di Catone): il ricorso sistematico all’arcaismo sintattico e lessicale, che conferisce alle pagine dello storico sabino quel colore particolare e la loro ben nota forza di rappresentazione, non è un artificio gratuito, bensì un richiamo voluto allo stile catoniano nel solco di una tradizione storica di austero moralismo della quale proprio questo modo di scrivere diventa il marchio.
Le opere di Sallustio De Catilinae coniuratione e Bellum Iugurthinum, le prime monografie trasmesseci in misura integrale, non mancano delle caratteristiche sopra elencate: coprono uno spazio di tempo piuttosto breve (dal 64 al 63 a. C. la congiura di Catilina, dal 111 al 105 a. C. la guerra contro Giugurta), ruotano intorno alle imprese di un eroe (o meglio di un antieroe), presentano sezioni archeologiche di storia romana (nel De Catilinae coniuratione i capp. VI-XIII) e degli excursus (per esempio in Bellum Iugurthinum XVII-XIX una digressione etnografica sull’Africa, peraltro piuttosto deludente; in XLI-XLII una panoramica sulla storia delle discordie civili e infine una digressione sui leptitani in LXXVII-LXXIX, excursus posti tutti in posizioni studiate ad arte prima delle tre fasi delle ostilità), e infine la forma letteraria è nella sua concisione assai curata e strettamente legata al contenuto proprio per la brevità delle vicende narrate; Sallustio dichiara di voler «narrare compiutamente, per monografie (carptim, alla lettera "cogliendone alcune parti") le imprese del popolo romano, secondo che parevano meritevoli di memoria» (De Catilinae coniuratione IV, 2). Tuttavia la somma di queste proprietà contenutistiche e formali non basta a dare una definizione completa e soddisfacente del genere. In effetti si fa risalire la prima stesura di un testo storico monografico nella letteratura latina all’opera di Celio Antipatro, che alla fine del II secolo a.C. sviluppò in questa forma le vicende della seconda guerra punica, invece di rifarsi seguendo la tradizione annalistica alla storia di Roma ab urbe condita; tuttavia le dimensioni dell’opera (sette libri) e l’attenzione alle peripezie e all’elemento fantastico per compiacere il pubblico collocano i frammenti di quest’opera piuttosto lontano dall’aridità narrativa dei primi storici di Roma, gli annalisti, ma anche da quella stretta interazione di forma stilistica, scelta di contenuto e interpretazione storica che è propria delle due monografie sallustiane. Non è sufficiente quindi la scelta monografica di un fatto epocale, come nel caso di Celio Antipatro la guerra contro Annibale, per trovare dei precursori a Sallustio e per definire i caratteri del genere: del resto il passaggio alla monografia si era già compiuto, anche se in forme letterarie ufficialmente differenti, nella storiografia greca di età ellenistica, quando alcuni storici che avevano prodotto storie "continue" ne avevano riservato alcuni libri (gli ultimi, pubblicati anche a parte) alla trattazione della storia di un personaggio importante o affascinante (Agatocle, Pirro, Annibale, la cui vita era già l’oggetto di monografie "antiromane" in greco) che veniva a coincidere con quella del conflitto in cui era stato impegnato. Anche Polibio, il grande storico greco che visse a Roma nel II secolo a.C., autore di una Storia "continua", vera e propria chiave di volta dello sviluppo della storiografia romana, aveva fatto coincidere per larga parte la trattazione della guerra punica con la biografia di Annibale (libri III-XV) e tutto sommato anche Tucidide, il modello di Sallustio, aveva compiuto una scelta monografica isolando per importanza, tra tutti i fatti dei greci, la guerra del Peloponneso. Del resto, quale che sia la forma letteraria prescelta, è stato notato (Musti) che tutta la storiografia romana di età repubblicana, fino a Tito Livio, ruota necessariamente intorno alla svolta epocale della seconda guerra punica e in un modo o nell’altro vi è connessa.
Per definire meglio la monografia sallustiana occorre pensare a due elementi. Il primo, di carattere generale, è la tendenza a una più serrata e corretta ricerca delle cause secondo i criteri messi a punto da Polibio e trasferiti nella storiografia romana, come dimostra la celebre distinzione tra annales e res gestae di Sempronio Asellione – un annalista vissuto alla tra II e I secolo a.C. – per il quale scrivere storia, le res gestae, significa spiegare i motivi delle decisioni e le considerazioni che le hanno prodotte e non limitarsi a elencare dei fatti bellici. Anche Sallustio, nella sua ultima opera, presenterà un seguito di cause di una certa ampiezza cronologica (dal 78 al 67 circa a.C. in cinque libri) organizzandole secondo una ricerca approfondita e un coerente disegno d’insieme, però chiamerà quest’opera Historiae. In realtà si può osservare che la congiura di Catilina non è inseritile in un contesto di cause, non è a sua volta causa di nulla, semmai è sintomo, esempio di una serie di eventi che si identificano con la crisi dello stato romano. In effetti al di là dell’idea di una storia come ricerca scaltrita delle cause, la monografia sallustiana presenta come tratto suo proprio non tanto la consequenzialità quanto piuttosto l’esemplarità, il particolare significato di un evento in un processo causale, il portare alle estreme conseguenze quel criterio di scelta dei fatti particolarmente interessanti che ritroviamo all’origine della storiografia greca e occidentale nei proemi dei due storici che ne hanno inventato le strutture: Erodoto e Tucidide. E la conseguenza più semplice, la strada più agevole per uno storico romano che aveva in mente un sistema di valori quasi determinato geneticamente dal mos maiorum, è cercare questa esemplarità in fatti di ordine prettamente morale. Quando Sallustio si trova a giustificare la scelta di un argomento come la guerra giugurtina – tutto sommato poco interessante per i lettori dell’epoca seguita alla morte di Cesare, quando l’interesse era rivolto all’oriente greco per i progetti di Antonio e di Ottaviano di campagne militari contro i parti – riesce a connettersi con la problematica recente delle guerre civili dichiarando apertamente che questa guerra fu il primo momento, il primo esempio, di opposizione alla superbia della nobilitas (Bellum Iugurthinum V, 1). Dunque così come l’attività di scrivere la storia si trasforma nell’orgogliosa rivendicazione di un virtuoso isolamento (vedi la prefazione al Bellum Iugurthinum), la storia stessa diventa antitesi tra vizi e virtù che si alternano quasi a creare o a disfare le fortune degli stati; è un’operazione forse di semplificazione rispetto alla coerenza razionalistica dei modelli greci, Tucidide e Polibio più di ogni altro, ma segna il collegamento ideale tra Sallustio e la struttura profonda di giustificazione e di edificazione morale collettiva che nutrì sempre la coscienza storica dei romani. Sallustio in questo senso si ricollega idealmente al suo conterraneo Catone il Censore e a una visione della storia come celebrazione della grandezza di Roma e come polemica forte contro qualsiasi elemento di disgregazione di quel vero e proprio capolavoro collettivo che è lo stato romano (si può notare che nella digressione archeologica sulla storia di Roma del De Catilinae coniuratione le virtù dei romani sono virtù collettive, come già venivano descritte nelle Origines di Catone): il ricorso sistematico all’arcaismo sintattico e lessicale, che conferisce alle pagine dello storico sabino quel colore particolare e la loro ben nota forza di rappresentazione, non è un artificio gratuito, bensì un richiamo voluto allo stile catoniano nel solco di una tradizione storica di austero moralismo della quale proprio questo modo di scrivere diventa il marchio.
Postato il 25 febbraio 2011
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