Brano tratto da C. Bologna - P. Rocchi, Rosa fresca aulentissima, vol. 3 (dal Barocco all’Età dei Lumi)
IL MOVIMENTO E LA METAMORFOSI • Nella cultura del Seicento il macroscopico e il microscopico, l'universo e la natura, sono l'oggetto di uno sguardo sempre più focalizzato sul particolare. La catalogazione e la raccolta di dati prevalgono sulla sintesi, offrendo così l'immagine di una varietà infinita il cui tratto di fondo è l'instabilità. Il mondo dei fenomeni, che si susseguono e si moltiplicano, è un mondo in continua mutazione; la sua essenza visibile è il movimento e la metamorfosi.
DALLA FORMA ALLE FORME • Le osservazioni degli astronomi e più tardi, ma in modo ancora più chiaro, quelle dei biologi, rivelano che sotto la superficie visibile del mondo, ad esempio in quei minimi particolari della natura che solo con il microscopio diventano visibili, esiste una vita nascosta. L'implicazione è rilevantissima: il pensiero religioso e quello filosofico sono costretti a spostare la propria attenzione dall'immobilità della forma sostanziale, di derivazione platonica e aristotelica, al divenire, al movimento, al mutevole e quindi all'imperfetto. Osservando il succedersi dei fenomeni, l'uomo moderno guarda non più alla Forma, ma alle forme.
L'ENCICLOPEDIA MOBILE: GLI ESSAIS DI MONTAIGNE • Negli ultimi decenni del Cinquecento, poggiando il suo sguardo scettico sulla realtà circostante, il filosofo francese Michel de Montaigne (1533-92) aveva già riconosciuto la necessità di una scienza che rifiutasse i sisterni fissi, facendosi flessibile. I suoi Essais, che presentano una struttura mobile, di forma "frammentaria", rispecchiano questa visione: essi seguono il fluire del pensiero, diventano una rappresentazione del mutevole, delle forme diverse che l'esistente assume e rivela. Di fronte a un mondo che muta incessantemente la sfida non è di cogliere la forma, o l’”essere”, ma "il passaggio", la metamorfosi: «Il mondo non è che una continua altalena. Tutte le cose vi oscillano senza posa [...]. La stessa costanza non è altro che un movimento più debole. Io non posso fissare il mio oggetto. Esso procede incerto e vacillante, per una naturale ebbrezza. Io lo prendo in questo punto, com'è, nell'istante in cui m'interesso a lui. Io non descrivo l'essere. Descrivo il passaggio: non un passaggio da un'età all'altra o, come dice il popolo, di sette in sette anni, ma di giorno in giorno, di minuto in minuto ...» (M. de Montaigne, Saggi, III, 2),
LE PENSÉES DI BLAISE PASCAL: IL "PENSIERO FRAMMENTARIO" • Vastità, molteplicità e mutevolezza del reale mettono in crisi la possibilità stessa di raggiungere la verità e di accedere quindi alla conoscenza. Questo tratto, già presente in Montaigne, raggiunge le estreme conseguenze, in pieno Seicento, con il pensiero di Blaise Pascal (1623-62), nel quale si fa vivida la sensazione di dispersione che investe l'essere umano, "sporporzionato" alla vastità dell'universo in espansione.
Già convertito al giansenismo, nel 1646, e prima di entrare nel convento di Port-Royal (1654), Pascal si dedicò intensamente agli studi scientifici, che non entrarono mai, per lui, in conflitto con gli aspetti religiosi. Per questa via egli approfondì le scoperte di Torricelli e giunse alla conclusione dell'esistenza del vuoto, con cui si sovvertiva la secolare credenza dell'horror vacui ("terrore del vuoto") della natura. E anche con la consapevolezza dello scienziato, quindi, ch'egli comunicò la vertigine dell'uomo, il quale, senza il soccorso divino, si trova solo davanti all'abisso, smarrito in un spazio infinito dove la moltiplicazione dei centri determina la perdita dei punti di riferimento. Persino conoscere se stessi, unico modo per conoscere l'universo, diventa un'impresa proibitiva. La stessa frammentarietà delle Pensées (i Pensieri), particelle di un organismo progettato e mai concluso - una Apologia della religione cristiana - è il riflesso di una realtà dispersa in un'infinità di atomi.
3a. La rappresentazione del molteplice
IL METAMORFISMO UNIVERSALE • Se l'osservazione svela l'inesauribile varietà dei particolari, ognuno di questi particolari diventa oggetto potenziale di rappresentazione, pittorica o lirica. Non solo: la molteplicità del reale accresce a dismisura le possibilità di accostamenti tra realtà remote, che vengono messe in comunicazione grazie alla metafora ardita, potente strumento conoscitivo che suscita la meraviglia dello spettatore. L’intero universo diventa un deposito di potenzialità metaforiche. E mentre il mondo si scopre multiforme e mutevole, l’accostamento sorprendente fra le cose lontane acquista anche un significato più profondo: non solo produce l’effetto meraviglioso e ricercato, ma stravolge anche le forme di pensiero consolidate, poiché la meraviglia nasce proprio dalla «rottura con ogni consuetudine e dalla proiezione del pensiero, per mezzo dell’immaginazione, nel dominio del possibile» (G. C. Argan).
L’IMMAGINE DELLA MENTE • Uno dei tratti costitutivi del Barocco, legato alla visione della realtà mutevole e metamorfica, è l’importanza dell’immaginazione. L’interesse per la singolarità e per la varietà dei fenomeni porta alla scoperta che un significato univoco non esiste: la realtà stessa smette di esistere come forma, ovvero come quadro statico e acquisito. Da questa scoperta ne discende un’altra: se non esiste la realtà come dato fisso e stabile, diventa reale ogni immagine prodotta dalla mente e dalla fantasia umana, i cui prodotti si propongono come privilegiato oggetto di rappresentazione.
Dopo la grande esperienza del Rinascimento, il Manierismo aveva dichiarato la crisi della forma. Il passo successivo, compiuto dal Barocco, è l’affermazione irreversibile del valore autonomo dell’immagine come prodotto della mente.
3b. Spazio infinito, natura naturans e rappresentazione barocca
LO «SPETTACOLO NATURALE» • La scoperta dello spazio infinito e la forzatura dei confini dell’immagine della perfezione circolare, di matrice classica, dilatata e deformata nell’ellisse, influenza anche la rappresentazione pittorica e la concezione architettonica dello spazio.
Con l’efficace espressione di «spettacolo naturale» il critico d’arte Giuliano Briganti ha riassunto il nuovo atteggiamento di apertura alla varietà e ricchezza del mondo naturale, che è proprio dell’epoca barocca matura, quando alla centralità dell’uomo, perduta ormai inesorabilmente, si è sostituita quella della natura. Lo sguardo sul mondo è ormai altro anche rispetto alla posizione personalissima di un pittore geniale come Caravaggio, ancora assorto nell’esperienza della crisi dell’uomo postrinascimentale e rivolto a una natura che acquista interesse per il segno che in essa imprime la coscienza dell’uomo. Altra cosa, invece, è il teatro naturale, di cui l’uomo barocco è, a un tempo, spettatore e attore, partecipando della continuità infinita dello spazio in cui è immerso.
LA RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO INFINITO • L’effetto principale di questa nuova posizione dello spettatore, partecipe della scena rappresentata, si manifesta nello “sfondamento” visivo dei confini architettonici: soffitti, volte, cupole, pareti delle chiese barocche e dei palazzi non separano più lo spettatore dal mondo che sta fuori, ma lo collocano al centro dello «spettacolo naturale» infinitamente vario e vasto che essi riproducono. L’elemento architettonico si apre all’esterno, in una continuità che costituisce la proiezione esatta della visione continua e infinita dello spazio. Già negli artisti della prima generazione barocca, alcuni ancora legati alla tarda esperienza manierista, è visibile questo tentativo di rappresentazione dello spazio infinito: così in Pietro da Cortona (1596-1669), o nel Guercino (1591-1666), o in Giovanni Lanfranco (1582-1647), che preannunciano la piena realizzazione anche architettonica di questa continuità dell’infinito operata dal genio di Gian Lorenzo Bernini.
LA NATURA NATURANS • Al centro della visione secentesca della natura si pone la dialettica tra natura naturans (la “natura naturante”, creatrice in quanto genera e produce ogni aspetto della realtà) e natura naturata (la “natura creata”, prodotto dell’atto creativo). La seconda è fissa e ordinata, statica e inerte, mentre la prima è caotica e mutevole. Quest’ultima è l’immagine della natura che informa di sé l’epoca barocca: essa riconosce che Dio ha conferito al mondo un’energia inesauribile e ha delegato alla natura una creatività infinita. Dalla natura nasce altra natura; la materia, tutt’altro che ferma, si evolve e muta generando forme sempre nuove, in una facilità di trapasso da uno stato all’altro, per semplice virtù interna della materia, che rasenta quasi la magia.
Come osserva lo studioso francese Michel Jeanneret, a questa visione della natura naturans, creatrice, corrisponde una precisa dimensione antropologica, che trova in Michel de Montaigne la sua più compiuta espressione: per gli uomini, come per la natura, la vita è una genesi continua. Esistere significa nascere, non essere, e a questa filosofia del divenire corrisponde la poetica della trasformazione, centrale nella letteratura e nell’arte barocca.
«GROTTESCHE» E MOSTRI • Il Barocco è anche l’epoca di una natura multiforme che genera mostri. Dalla seconda metà del Cinquecento l’elemento naturale e quello mostruoso sono infatti due aspetti diversi e correlati, due elementi che hanno la loro collocazione privilegiata nelle “grottesche” (famose quelle di Arcimboldi), spazio di una «pittura licenziosa e ridicola», secondo la definizione di Giorgio Vasari, e di una libertà decorativa che si apre ai soggetti sorprendenti e stravaganti. Nella grottesca la rappresentazione ordinata e razionale è sospesa per lasciare il posto all’elemento caotico e bizzarro: un genere di rappresentazione che troverà in epoca barocca un terreno tanto fertile da costituirsi come distinto elemento decorativo.
Spesso nella grottesca si colloca il luogo privilegiato della rappresentazione anche del mostro, esito necessario dell’inestinguibile energia generatrice della natura: i corpi mostruosi testimoniano infatti della stessa dinamica della natura naturans di cui sono il prodotto. La deformazione è un effetto inevitabile dell’instabilità della forma e della sua mutevolezza, e la natura barocca non può non essere popolata di mostri.
IL DECORATIVISMO • La natura, che ha nella molteplicità la sua manifestazione caratteristica, diventa anche elemento decorativo privilegiato. La decorazione risponde alla necessità di riempire il vuoto per evitare la vertigine ch’esso provoca: «è una volontà d’addobbare le forme, un horror vacui percorso da un’ansia d’enumerare nomi e specie, d’infittire il reale e di renderlo persuasivo con lo splendore delle pietre preziose e dell’artificio artistico» (C. Ossola). La moltiplicazione degli elementi diventa uno dei tratti peculiari della nuova idea del “decoro”, che ha rotto ormai l’ordinata misura rinascimentale e si materializza invece nella ricerca di un visibile e vario splendore, magari ridondante, teso a raggiungere il massimo dell’espressività.
DALLA FORMA ALLE FORME • Le osservazioni degli astronomi e più tardi, ma in modo ancora più chiaro, quelle dei biologi, rivelano che sotto la superficie visibile del mondo, ad esempio in quei minimi particolari della natura che solo con il microscopio diventano visibili, esiste una vita nascosta. L'implicazione è rilevantissima: il pensiero religioso e quello filosofico sono costretti a spostare la propria attenzione dall'immobilità della forma sostanziale, di derivazione platonica e aristotelica, al divenire, al movimento, al mutevole e quindi all'imperfetto. Osservando il succedersi dei fenomeni, l'uomo moderno guarda non più alla Forma, ma alle forme.
L'ENCICLOPEDIA MOBILE: GLI ESSAIS DI MONTAIGNE • Negli ultimi decenni del Cinquecento, poggiando il suo sguardo scettico sulla realtà circostante, il filosofo francese Michel de Montaigne (1533-92) aveva già riconosciuto la necessità di una scienza che rifiutasse i sisterni fissi, facendosi flessibile. I suoi Essais, che presentano una struttura mobile, di forma "frammentaria", rispecchiano questa visione: essi seguono il fluire del pensiero, diventano una rappresentazione del mutevole, delle forme diverse che l'esistente assume e rivela. Di fronte a un mondo che muta incessantemente la sfida non è di cogliere la forma, o l’”essere”, ma "il passaggio", la metamorfosi: «Il mondo non è che una continua altalena. Tutte le cose vi oscillano senza posa [...]. La stessa costanza non è altro che un movimento più debole. Io non posso fissare il mio oggetto. Esso procede incerto e vacillante, per una naturale ebbrezza. Io lo prendo in questo punto, com'è, nell'istante in cui m'interesso a lui. Io non descrivo l'essere. Descrivo il passaggio: non un passaggio da un'età all'altra o, come dice il popolo, di sette in sette anni, ma di giorno in giorno, di minuto in minuto ...» (M. de Montaigne, Saggi, III, 2),
LE PENSÉES DI BLAISE PASCAL: IL "PENSIERO FRAMMENTARIO" • Vastità, molteplicità e mutevolezza del reale mettono in crisi la possibilità stessa di raggiungere la verità e di accedere quindi alla conoscenza. Questo tratto, già presente in Montaigne, raggiunge le estreme conseguenze, in pieno Seicento, con il pensiero di Blaise Pascal (1623-62), nel quale si fa vivida la sensazione di dispersione che investe l'essere umano, "sporporzionato" alla vastità dell'universo in espansione.
Già convertito al giansenismo, nel 1646, e prima di entrare nel convento di Port-Royal (1654), Pascal si dedicò intensamente agli studi scientifici, che non entrarono mai, per lui, in conflitto con gli aspetti religiosi. Per questa via egli approfondì le scoperte di Torricelli e giunse alla conclusione dell'esistenza del vuoto, con cui si sovvertiva la secolare credenza dell'horror vacui ("terrore del vuoto") della natura. E anche con la consapevolezza dello scienziato, quindi, ch'egli comunicò la vertigine dell'uomo, il quale, senza il soccorso divino, si trova solo davanti all'abisso, smarrito in un spazio infinito dove la moltiplicazione dei centri determina la perdita dei punti di riferimento. Persino conoscere se stessi, unico modo per conoscere l'universo, diventa un'impresa proibitiva. La stessa frammentarietà delle Pensées (i Pensieri), particelle di un organismo progettato e mai concluso - una Apologia della religione cristiana - è il riflesso di una realtà dispersa in un'infinità di atomi.
3a. La rappresentazione del molteplice
IL METAMORFISMO UNIVERSALE • Se l'osservazione svela l'inesauribile varietà dei particolari, ognuno di questi particolari diventa oggetto potenziale di rappresentazione, pittorica o lirica. Non solo: la molteplicità del reale accresce a dismisura le possibilità di accostamenti tra realtà remote, che vengono messe in comunicazione grazie alla metafora ardita, potente strumento conoscitivo che suscita la meraviglia dello spettatore. L’intero universo diventa un deposito di potenzialità metaforiche. E mentre il mondo si scopre multiforme e mutevole, l’accostamento sorprendente fra le cose lontane acquista anche un significato più profondo: non solo produce l’effetto meraviglioso e ricercato, ma stravolge anche le forme di pensiero consolidate, poiché la meraviglia nasce proprio dalla «rottura con ogni consuetudine e dalla proiezione del pensiero, per mezzo dell’immaginazione, nel dominio del possibile» (G. C. Argan).
L’IMMAGINE DELLA MENTE • Uno dei tratti costitutivi del Barocco, legato alla visione della realtà mutevole e metamorfica, è l’importanza dell’immaginazione. L’interesse per la singolarità e per la varietà dei fenomeni porta alla scoperta che un significato univoco non esiste: la realtà stessa smette di esistere come forma, ovvero come quadro statico e acquisito. Da questa scoperta ne discende un’altra: se non esiste la realtà come dato fisso e stabile, diventa reale ogni immagine prodotta dalla mente e dalla fantasia umana, i cui prodotti si propongono come privilegiato oggetto di rappresentazione.
Dopo la grande esperienza del Rinascimento, il Manierismo aveva dichiarato la crisi della forma. Il passo successivo, compiuto dal Barocco, è l’affermazione irreversibile del valore autonomo dell’immagine come prodotto della mente.
3b. Spazio infinito, natura naturans e rappresentazione barocca
LO «SPETTACOLO NATURALE» • La scoperta dello spazio infinito e la forzatura dei confini dell’immagine della perfezione circolare, di matrice classica, dilatata e deformata nell’ellisse, influenza anche la rappresentazione pittorica e la concezione architettonica dello spazio.
Con l’efficace espressione di «spettacolo naturale» il critico d’arte Giuliano Briganti ha riassunto il nuovo atteggiamento di apertura alla varietà e ricchezza del mondo naturale, che è proprio dell’epoca barocca matura, quando alla centralità dell’uomo, perduta ormai inesorabilmente, si è sostituita quella della natura. Lo sguardo sul mondo è ormai altro anche rispetto alla posizione personalissima di un pittore geniale come Caravaggio, ancora assorto nell’esperienza della crisi dell’uomo postrinascimentale e rivolto a una natura che acquista interesse per il segno che in essa imprime la coscienza dell’uomo. Altra cosa, invece, è il teatro naturale, di cui l’uomo barocco è, a un tempo, spettatore e attore, partecipando della continuità infinita dello spazio in cui è immerso.
LA RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO INFINITO • L’effetto principale di questa nuova posizione dello spettatore, partecipe della scena rappresentata, si manifesta nello “sfondamento” visivo dei confini architettonici: soffitti, volte, cupole, pareti delle chiese barocche e dei palazzi non separano più lo spettatore dal mondo che sta fuori, ma lo collocano al centro dello «spettacolo naturale» infinitamente vario e vasto che essi riproducono. L’elemento architettonico si apre all’esterno, in una continuità che costituisce la proiezione esatta della visione continua e infinita dello spazio. Già negli artisti della prima generazione barocca, alcuni ancora legati alla tarda esperienza manierista, è visibile questo tentativo di rappresentazione dello spazio infinito: così in Pietro da Cortona (1596-1669), o nel Guercino (1591-1666), o in Giovanni Lanfranco (1582-1647), che preannunciano la piena realizzazione anche architettonica di questa continuità dell’infinito operata dal genio di Gian Lorenzo Bernini.
LA NATURA NATURANS • Al centro della visione secentesca della natura si pone la dialettica tra natura naturans (la “natura naturante”, creatrice in quanto genera e produce ogni aspetto della realtà) e natura naturata (la “natura creata”, prodotto dell’atto creativo). La seconda è fissa e ordinata, statica e inerte, mentre la prima è caotica e mutevole. Quest’ultima è l’immagine della natura che informa di sé l’epoca barocca: essa riconosce che Dio ha conferito al mondo un’energia inesauribile e ha delegato alla natura una creatività infinita. Dalla natura nasce altra natura; la materia, tutt’altro che ferma, si evolve e muta generando forme sempre nuove, in una facilità di trapasso da uno stato all’altro, per semplice virtù interna della materia, che rasenta quasi la magia.
Come osserva lo studioso francese Michel Jeanneret, a questa visione della natura naturans, creatrice, corrisponde una precisa dimensione antropologica, che trova in Michel de Montaigne la sua più compiuta espressione: per gli uomini, come per la natura, la vita è una genesi continua. Esistere significa nascere, non essere, e a questa filosofia del divenire corrisponde la poetica della trasformazione, centrale nella letteratura e nell’arte barocca.
«GROTTESCHE» E MOSTRI • Il Barocco è anche l’epoca di una natura multiforme che genera mostri. Dalla seconda metà del Cinquecento l’elemento naturale e quello mostruoso sono infatti due aspetti diversi e correlati, due elementi che hanno la loro collocazione privilegiata nelle “grottesche” (famose quelle di Arcimboldi), spazio di una «pittura licenziosa e ridicola», secondo la definizione di Giorgio Vasari, e di una libertà decorativa che si apre ai soggetti sorprendenti e stravaganti. Nella grottesca la rappresentazione ordinata e razionale è sospesa per lasciare il posto all’elemento caotico e bizzarro: un genere di rappresentazione che troverà in epoca barocca un terreno tanto fertile da costituirsi come distinto elemento decorativo.
Spesso nella grottesca si colloca il luogo privilegiato della rappresentazione anche del mostro, esito necessario dell’inestinguibile energia generatrice della natura: i corpi mostruosi testimoniano infatti della stessa dinamica della natura naturans di cui sono il prodotto. La deformazione è un effetto inevitabile dell’instabilità della forma e della sua mutevolezza, e la natura barocca non può non essere popolata di mostri.
IL DECORATIVISMO • La natura, che ha nella molteplicità la sua manifestazione caratteristica, diventa anche elemento decorativo privilegiato. La decorazione risponde alla necessità di riempire il vuoto per evitare la vertigine ch’esso provoca: «è una volontà d’addobbare le forme, un horror vacui percorso da un’ansia d’enumerare nomi e specie, d’infittire il reale e di renderlo persuasivo con lo splendore delle pietre preziose e dell’artificio artistico» (C. Ossola). La moltiplicazione degli elementi diventa uno dei tratti peculiari della nuova idea del “decoro”, che ha rotto ormai l’ordinata misura rinascimentale e si materializza invece nella ricerca di un visibile e vario splendore, magari ridondante, teso a raggiungere il massimo dell’espressività.
Postato il 9 febbraio 2011
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