02 febbraio 2011

di Francesco Piccolo
La politica attiva e quella passiva Compito del segretario del Partito Democratico, in questo momento, non è soltanto quello ­ facilissimo ­ di fare il capopopolo contro l’immoralità di Berlusconi, facendo dichiarazioni sprezzanti e chiedendo la firma di appelli per le dimissioni. A far questo, siamo bravi tutti, sui giornali, in televisione, nelle piazze. È facile, è giusto, è un compito che si può portare a termine senza sforzi. Il compito più difficile e necessario consiste nel districare la matassa della situazione imbarazzante di Napoli; nel trovare una soluzione e dimostrare a questo paese e ai suoi elettori che il Pd è un partito con metodi, regole e moralità chiare e visibili a tutti.
Sciascia scriveva quasi trent’anni fa: “Le cose non sono buone quando le facciamo noi e cattive quando le fanno gli altri. Sono o sempre cattive o sempre buone. E se noi facciamo cose cattive per arrivare alle buone, non solo non arriveremo mai, ma ci abitueremo a fare cattive cose e così resteranno. Di questa politica netta ha bisogno il Sud.”
È politica attiva. Aspettare la fine di Berlusconi, è politica passiva, e può al massimo accompagnare compiti concreti che lo spazio della politica conserva ancora, perfino in questi giorni. A volte si ha l’impressione che i guai di Berlusconi servano anche a coprire le molte incapacità dell’opposizione. Del resto, fino a quando gli interessi di lotta all’interno del partito saranno più importanti e urgenti degli interessi del paese, le conseguenze saranno sempre più spesso incomprensibili.
«L'Unità» del 30 gennaio 2011

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