Nuove scoperte sui meccanismi della memoria
di Cesare Peccarisi
Uno studio dimostra ciò che Proust aveva intuito: «Quando più niente sussiste d'un passato antico, l'odore e il sapore lungo tempo ancora perdurano» scriveva
Nuove scoperte sui meccanismi della memoria
Nuove scoperte sui meccanismi della memoria
Un particolare del sorriso di una ragazza che incrociamo casualmente può riaccendere in noi il ricordo di un vecchio amore che credevamo sepolto nel tempo. Allo stesso modo, il colore della cravatta di uno sconosciuto che si siede davanti a noi sul metrò, ci può far tornare in mente un difficile esame con un burbero professore che ne indossava una simile. Ma perché certi ricordi, apparentemente insignificanti, restano a fior di memoria al pari del giorno della laurea, o di quello del nostro matrimonio? «Quando più niente sussiste d'un passato antico (...) - scrive Marcel Proust ne À la recherche du temps perdu (Alla ricerca del tempo perduto) - l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano (...) sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo». La possibilità di recuperare il tempo perduto grazie alla scintilla mnemonica accesa da un piccolo particolare, come le famose madeleine col tè nella Recherche, ha trovato una spiegazione in uno studio appena pubblicato sulla rivista Neuron dai neuroricercatori del Massachusetts Institute of Technology.
SPAZIO E TEMPO - È tutta una questione di spazio e di tempo: lo spazio in cui la traccia mnemonica viene incasellata all'interno delle strutture nervose che gestiscono la memoria e il tempo in cui tale operazione viene effettuata, due misure infinitesimali che i ricercatori del MIT sono riusciti a tracciare con una sofisticata tecnica di neuroimaging. Finora si pensava che le tracce di memoria venissero distribuite lungo le infinite autostrade di connessioni nervose - i dendriti - che collegano le cellule cerebrali fra loro, diffondendosi all'interno di una sorta di rete internet biologica, dove i ricordi sono variazioni elettrochimiche più o meno durevoli chiamate engrammi. Invece, le tracce di memoria restano fisicamente localizzate ognuna su uno dei tanti rami dell'arborizazzione dendritica e, per motivi di contiguità, quelle che registrano eventi verificatisi entro un lasso temporale di un'ora, un'ora e mezza circa restano legate fra loro perché vengono messe una vicina all'altra sotto forma di microscopiche spine dendritiche che punteggiano, come le spine del gambo di una rosa, i rami dell'immensa foresta di collegamenti del nostro cervello.
STIMOLI FORTI - Per intenderci: è come se sul ramo dendritico del primo appuntamento "sbocciasse" la "spina" del primo bacio, insieme a quella del colore del vestito che lei o lui aveva quel giorno, insieme a quella del profumo dei capelli di lei o del dopobarba di lui. La memoria, quindi, è un fenomeno di plasticità cellulare, cioè è un cambiamento strutturale che si verifica ogni volta nelle ramificazioni dendritiche che vanno incontro a variazioni più o meno durevoli a seconda della forza dello stimolo mnemonico. Se lo stimolo è forte, come per esempio il ricordo delle nozze o della nascita di un figlio, particolari proteine chiamate LTP potenziano a lungo termine la traccia mnesica, formando una spina dendritica che dura più a lungo, a volte per sempre. Ma nello stesso spazio di tempo (il cosiddetto time frame) in cui quella certa zona dendritica si trasforma per registrare quel ricordo avvengono anche cambiamenti relativi a eventi meno importanti, ma che si sono verificati contemporaneamente: nel caso delle nozze, per esempio, il principale ricordo del bacio alla sposa e quello del colore dei paramenti del prete.
EFFETTO DOMINO - In altre circostanze le spine dendritiche di questi eventi minori avrebbero vita breve (la loro formazione infatti è affidata alle proteine ELTP che si occupano dei ricordi che non serve far durare), ma poiché si formano vicino alle spine che fissano un ricordo indelebile restano indissolubilmente legate a questo, per il semplice fatto di trovarsi sullo stesso ramo dendritico, un ramo che potrebbe non cadere mai più. Magari non ci capiterà più di baciare un'altra sposa su un altro altare, facendo riaffiorare il ricordo di quell’evento che le proteine LTP hanno reso indimenticabile, ma potrebbe succedere di vedere un altro prete con una tonaca di quel colore. E allora quel ricordo di per sé insignificante potrà scatenare, per semplice vicinanza strutturale, un effetto domino sulla traccia mnesica più importante, riportando alla luce "l'edificio immenso del ricordo", perché le tracce dei ricordi sono bidirezionali. «Le tracce mnesiche restano nei rami dendritici - concludono gli autori dello studio - e sono questi rami l’unità funzionale primaria della capacità d’immagazzinare ricordi».
SPAZIO E TEMPO - È tutta una questione di spazio e di tempo: lo spazio in cui la traccia mnemonica viene incasellata all'interno delle strutture nervose che gestiscono la memoria e il tempo in cui tale operazione viene effettuata, due misure infinitesimali che i ricercatori del MIT sono riusciti a tracciare con una sofisticata tecnica di neuroimaging. Finora si pensava che le tracce di memoria venissero distribuite lungo le infinite autostrade di connessioni nervose - i dendriti - che collegano le cellule cerebrali fra loro, diffondendosi all'interno di una sorta di rete internet biologica, dove i ricordi sono variazioni elettrochimiche più o meno durevoli chiamate engrammi. Invece, le tracce di memoria restano fisicamente localizzate ognuna su uno dei tanti rami dell'arborizazzione dendritica e, per motivi di contiguità, quelle che registrano eventi verificatisi entro un lasso temporale di un'ora, un'ora e mezza circa restano legate fra loro perché vengono messe una vicina all'altra sotto forma di microscopiche spine dendritiche che punteggiano, come le spine del gambo di una rosa, i rami dell'immensa foresta di collegamenti del nostro cervello.
STIMOLI FORTI - Per intenderci: è come se sul ramo dendritico del primo appuntamento "sbocciasse" la "spina" del primo bacio, insieme a quella del colore del vestito che lei o lui aveva quel giorno, insieme a quella del profumo dei capelli di lei o del dopobarba di lui. La memoria, quindi, è un fenomeno di plasticità cellulare, cioè è un cambiamento strutturale che si verifica ogni volta nelle ramificazioni dendritiche che vanno incontro a variazioni più o meno durevoli a seconda della forza dello stimolo mnemonico. Se lo stimolo è forte, come per esempio il ricordo delle nozze o della nascita di un figlio, particolari proteine chiamate LTP potenziano a lungo termine la traccia mnesica, formando una spina dendritica che dura più a lungo, a volte per sempre. Ma nello stesso spazio di tempo (il cosiddetto time frame) in cui quella certa zona dendritica si trasforma per registrare quel ricordo avvengono anche cambiamenti relativi a eventi meno importanti, ma che si sono verificati contemporaneamente: nel caso delle nozze, per esempio, il principale ricordo del bacio alla sposa e quello del colore dei paramenti del prete.
EFFETTO DOMINO - In altre circostanze le spine dendritiche di questi eventi minori avrebbero vita breve (la loro formazione infatti è affidata alle proteine ELTP che si occupano dei ricordi che non serve far durare), ma poiché si formano vicino alle spine che fissano un ricordo indelebile restano indissolubilmente legate a questo, per il semplice fatto di trovarsi sullo stesso ramo dendritico, un ramo che potrebbe non cadere mai più. Magari non ci capiterà più di baciare un'altra sposa su un altro altare, facendo riaffiorare il ricordo di quell’evento che le proteine LTP hanno reso indimenticabile, ma potrebbe succedere di vedere un altro prete con una tonaca di quel colore. E allora quel ricordo di per sé insignificante potrà scatenare, per semplice vicinanza strutturale, un effetto domino sulla traccia mnesica più importante, riportando alla luce "l'edificio immenso del ricordo", perché le tracce dei ricordi sono bidirezionali. «Le tracce mnesiche restano nei rami dendritici - concludono gli autori dello studio - e sono questi rami l’unità funzionale primaria della capacità d’immagazzinare ricordi».
«Corriere della Sera» del del 20 febbraio 2011
Nessun commento:
Posta un commento