La salutare provocazione dei «Colloqui fiorentini»
di Alessandro D'Avenia
Qual è il romanzo più odiato dagli italiani? «I promessi sposi». Perché? Invece di leggerlo lo si studia. Tanti (me compreso), asfissiati dalla frammentaria lettura scolastica, appesantita da riassunti e schede narrative, lo hanno poi riscoperto e amato quando si sono abbandonati per 38 capitoli ai suoi ritmi narrativi. Di chi è la colpa? Mia: un professore.
La spiritualità di un’opera non sta nella cosa di cui si parla, ma nella persona a cui parla. Chi si lascia strappare via lo spirito da ausili didattici e tecniche narratologiche non può far amare quei 38 capitoli (quando riceverò una circolare ministeriale che obbliga a leggere tutto Dante e tutto Manzoni?). Eppure è così semplice: basta leggerli. Io ci provo, sacrificando ore e schede narrative sull’altare della bellezza: mi fido di quei 38 capitoli (a dire il vero riassumo solo quelle parti che annoiano anche me). Sono ore luminose quelle in cui in classe si squaderna il "guazzabuglio del cuore umano" che Manzoni è capace di mettere in scena. I ragazzi spesso interrompono, si ribellano, commentano: quel cuore è il loro cuore.
Sono afferrati dalla notte di Renzo, eroe girovago in cerca di giustizia, pronto a ubriacarsi e ravvedersi, come ogni adolescente; da quella di Lucia, fragile e forte di una forza non sua, come ogni adolescente; da quella dell’Innominato, oppresso dalla noia del male; la notte di don Rodrigo, smascherato da colei che tutto livella... Su "certe notti" (direbbe Ligabue) trionfa sempre la luce (questo Liga non lo sa) – ora il sole, ora la luna – che si accende improvvisa nelle tenebre e gradualmente le scaccia. I ragazzi rimangono catturati dalla sostanza del romanzo: l’amore di due ragazzi, che devono imparare, dalla vita e nella vita, a conoscere i loro limiti e superarli per potersi amare. Questo lo capisce qualsiasi quindicenne, anzi è l’unica cosa che vuole sapere: può l’amore essere per sempre? Come privarli di quel capitolo 38, capolavoro di ironia e di realismo, in cui le ombre restano, ma la luce calma dell’amore ormai le abbraccia senza temerne le armi ormai spuntate?
La struttura del romanzo rivela la vita nuda: un enorme palcoscenico in cui, tra luci e ombre, veniamo guidati ad essere amati e ad amare di più, al ritmo libero della nostra resistenza all’inarrestabile trionfo del Bene Onnipotente, che si occupa di ciascuno come un figlio unico.
Sembra paradossale ciò che accade durante i "Colloqui fiorentini": duemila ragazzi si riuniscono con degli insegnanti in uno spazio creato e ri-creato da un classico. Fuggono da scuola e poi ci vogliono tornare. Paradossi della bellezza, della quale la scuola non si fida più, quando i professori perdono l’anima, perché si fa scuola ovunque ci sia qualcuno che, toccato dalla bellezza, la fa toccare attraverso di sé. Accadde anche a Newman, che letto il romanzo scriveva a un amico: «Il padre cappuccino mi si è conficcato nel cuore come un dardo».
Era l’anno in cui iniziò la sua conversione. Accadrà a ragazzi dall’anima riarsa, se sapremo dissetarla di bellezza e non prosciugarla a colpi di antologie e analisi, che abbiamo inventato per nascondere l’aridità dei nostri cuori.
Ripetiamo spesso che per scrivere meglio i ragazzi dovrebbero leggere di più, e poi siamo noi a fare i romanzi "a pezzi" (macabro delitto scolastico). Lasciamoli rapire dalla bellezza, rendiamola presente, diventiamone complici e non persecutori. E «se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta» (cap. 38, ultima riga): persino Manzoni ci perdonerà ...
La spiritualità di un’opera non sta nella cosa di cui si parla, ma nella persona a cui parla. Chi si lascia strappare via lo spirito da ausili didattici e tecniche narratologiche non può far amare quei 38 capitoli (quando riceverò una circolare ministeriale che obbliga a leggere tutto Dante e tutto Manzoni?). Eppure è così semplice: basta leggerli. Io ci provo, sacrificando ore e schede narrative sull’altare della bellezza: mi fido di quei 38 capitoli (a dire il vero riassumo solo quelle parti che annoiano anche me). Sono ore luminose quelle in cui in classe si squaderna il "guazzabuglio del cuore umano" che Manzoni è capace di mettere in scena. I ragazzi spesso interrompono, si ribellano, commentano: quel cuore è il loro cuore.
Sono afferrati dalla notte di Renzo, eroe girovago in cerca di giustizia, pronto a ubriacarsi e ravvedersi, come ogni adolescente; da quella di Lucia, fragile e forte di una forza non sua, come ogni adolescente; da quella dell’Innominato, oppresso dalla noia del male; la notte di don Rodrigo, smascherato da colei che tutto livella... Su "certe notti" (direbbe Ligabue) trionfa sempre la luce (questo Liga non lo sa) – ora il sole, ora la luna – che si accende improvvisa nelle tenebre e gradualmente le scaccia. I ragazzi rimangono catturati dalla sostanza del romanzo: l’amore di due ragazzi, che devono imparare, dalla vita e nella vita, a conoscere i loro limiti e superarli per potersi amare. Questo lo capisce qualsiasi quindicenne, anzi è l’unica cosa che vuole sapere: può l’amore essere per sempre? Come privarli di quel capitolo 38, capolavoro di ironia e di realismo, in cui le ombre restano, ma la luce calma dell’amore ormai le abbraccia senza temerne le armi ormai spuntate?
La struttura del romanzo rivela la vita nuda: un enorme palcoscenico in cui, tra luci e ombre, veniamo guidati ad essere amati e ad amare di più, al ritmo libero della nostra resistenza all’inarrestabile trionfo del Bene Onnipotente, che si occupa di ciascuno come un figlio unico.
Sembra paradossale ciò che accade durante i "Colloqui fiorentini": duemila ragazzi si riuniscono con degli insegnanti in uno spazio creato e ri-creato da un classico. Fuggono da scuola e poi ci vogliono tornare. Paradossi della bellezza, della quale la scuola non si fida più, quando i professori perdono l’anima, perché si fa scuola ovunque ci sia qualcuno che, toccato dalla bellezza, la fa toccare attraverso di sé. Accadde anche a Newman, che letto il romanzo scriveva a un amico: «Il padre cappuccino mi si è conficcato nel cuore come un dardo».
Era l’anno in cui iniziò la sua conversione. Accadrà a ragazzi dall’anima riarsa, se sapremo dissetarla di bellezza e non prosciugarla a colpi di antologie e analisi, che abbiamo inventato per nascondere l’aridità dei nostri cuori.
Ripetiamo spesso che per scrivere meglio i ragazzi dovrebbero leggere di più, e poi siamo noi a fare i romanzi "a pezzi" (macabro delitto scolastico). Lasciamoli rapire dalla bellezza, rendiamola presente, diventiamone complici e non persecutori. E «se invece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta» (cap. 38, ultima riga): persino Manzoni ci perdonerà ...
«Avvenire» del 22 febbraio 2011
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