01 febbraio 2011

E infine i poeti ammainano la bandiera dell’impegno

di Alessandro Spina
E l’engagement (l’impegno) dove è finito? Abbiamo visto per cinquant’anni battaglioni di scrittori sotto quella bandiera, poi è scomparsa e si è dimenticato di celebrarne le esequie. Nessuno ne parla più. Ma non è cambiato niente: si è persa la bandiera ma non il codice di comportamento, ci sono ancora folle di letterati che cercano in quel campo la loro identità e spazio sociale. È di meriti letterari che stiamo parlando, da non confondere dunque col poco coraggio che occorre per contestare una cosa o l’altra, nulla di eroico, suvvia. Sarebbe opportuno che si spiegasse loro che si può essere utili alla società pure in altro modo e che la polemica sociale e politica non garantisce gradi nella scrittura, è un diritto del cittadino, sancito dalla Costituzione. Quanto a me, ho fatto per ventisei anni l’industriale in un Paese in via di sviluppo. Più utile proprio alla società con l’esempio di una via per superare piaghe secolari, miserie e malattie attraverso il benessere o almeno un miglioramento delle condizioni economiche. Che c’entra?, si dirà, il poeta ha altre funzioni. Ma certo! Cito ad ogni occasione un verso di Goethe, che stabilisce piani diversi. Il personaggio di un suo dramma dice: No, ma tendete a più remoti beni. Proprio così, il poeta tende a più remoti beni, l’engagement non è la cima a lui assegnata. Un qualunque gazzettiere è spesso più incisivo ed efficace (a che? Non lo so). Il che non vuole affatto dire che una poesia, un dramma, un romanzo, un saggio, la filosofia, la ricerca in genere, debbano disinteressarsi, ignorare le condizioni sociali e non protestare per ogni menzogna, sopruso eccetera. Ma non è lì che si gioca la partita letteraria, semplice. Suprema beffa: si potrebbe equiparare l’engagement alla missione patriottica nera di ieri, fra le due guerre, di cui ha preso il posto. Chi legge più i libri dell’età dell’ engagement , quelle riviste, quegli articoloni scottanti: freddi oggi, spoglie di una vita finta, di una gloria vissuta l’espace d’un matin , come la famosa rosa. Orazio la sapeva lunga: « Exegi monumentum aere perennius» eccetera ('Opera ho compiuto più del bronzo eterna', secondo il vecchio Romagnoli). Un tempo, a scuola ci obbligavano, benedetti, a imparare certe poesie a memoria, sorta di vaccino. Nel lutto pubblico per un poeta c’è spesso un tratto esilarante grazie al coccodrillo che nelle redazioni dei giornali aspetta il morto, come le casse di noce nelle ditte di onoranze funebri: il solerte cronista ci informa in genere col coccodrillo degli eroismi verbali del defunto nelle occasioni più varie, anche in soccorso di sconosciuti sull’altra faccia della terra, e se la sbriga brevemente sulle 'sudate carte' di leopardiana memoria che spesso non capisce. « Vous l’avez voulu Georges Dandin! », ci scappa detto al morto ormai sordo. Il solerte cronista letterario non dimentica di ricordare che il defunto era un tifoso, dell’Inter o del Milan, per esempio. Come dire: non spaventatevi, guardate che era uno come noi, non era un superuomo. Poveretto, trascinato al nostro livello, comune, lui che credeva magari di avere voce rara, d’oro!
Somma e pur esilarante ingiuria un amico mi diceva: «Il libro che meglio sopravvive di Jean-Paul Sartre è Les mots, l’autobiografia della sua infanzia anteimpegno», mentre Les chemins de la liberté, osserviamo noi imbarazzati, in tre volumi, sono andati al diavolo non si sa quando, le librerie non ne sanno niente. Mi si dirà: e perché non ci parli invece del Doctor Faustus, esempio intrinsecamente clamoroso di engagement?
Basti osservare che Mann non usò mai, che si sappia, quella parola d’ordine: engagement – ciò la dice tutta (per servirci di un motto demistificatorio). Avrebbe un sussulto e scapperebbe con tutti i suoi personaggi gli si dicesse che il suo romanzo è finito nell’antologia oceanica della setta. Si potrebbe imputarci adesso qualche leggerezza nel parlare della morte. Ma ognuno che l’abbia letta conserva nella memoria l’eco grave dell’oraison funèbre di Bossuet, per Luigi di Borbone, principe di Condé, premier prince du sang , vincitore della battaglia di Rocroi, quando (1687) alza la voce nella chiesa di Notre-Dame di Parigi dove è raccolta tutta la corte di Luigi XIV per le esequie, e indica nel feretro del Gran Condé: «La magnifica testimonianza del nostro nulla». Parole che conserviamo nella memoria, campane che poi sempre ritornano di lontano. La mente, la memoria, vivono l’una e l’altra contemporaneamente su piani diversi. Poco importa di cosa con leggerezza al momento si discorra, il buio è davanti a noi, si prende l’orizzonte.
«Avvenire» del 1 febbraio 2011

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