Domenica andrà in scena l'ennesima piazza antiberlusconiana, altro che difesa dei valori femminili
di Eugenia Roccella *
Negli anni Settanta il femminismo l’ho attraversato da protagonista, con un grande senso di libertà. E anche se nel tempo la vita è cambiata e mi ha cambiata, se su alcuni temi oggi posso aver maturato opinioni diverse da allora, quella storia è stata, e resta, anche la mia storia.
La prima cosa che ho imparato allora è che bisognava negarsi agli schemi che dividevano le donne secondo i vecchi ruoli assegnati dalla cultura maschile. Maschere che non ci appartengono mai completamente, ruoli prefissati in cui ognuna si può calare per sempre o per poco, ma senza mai una totale identificazione, senza mai sentirsi perfettamente a proprio agio. Una donna non è solo angelo del focolare né solo prostituta: se c’è qualcosa su cui il femminismo è stato compatto, è il rifiuto della divisione tra donne perbene e permale, obbedienti e ribelli, pudiche o trasgressive, spose felici o - come si diceva allora - acide zitelle.
L’appuntamento in piazza del 13 febbraio, invece, rischia di essere proprio questo: una manifestazione di alcune donne contro altre donne. Quelle che passeggiano sui tacchi delle Manolo (le scarpe di Manolo Blahnik, le borse firmate e gli occhiali da sole sembrano essere la bestia nera di Concita De Gregorio) e quelle che vanno a lavorare la mattina, quelle che «si vendono» e quelle che mai e poi mai, quelle che aspirano al fidanzato ricco e potente, e quelle che escono con un uomo solo se sanno che è senza un soldo. Riproporre queste classificazioni è un grande passo indietro per le donne, che le riporta a categorie davvero remote, se persino nei romanzi dell’800 in ogni prostituta c’era, nascosto, un cuore grande e generoso, una maternità segreta, una sofferenza femminile.
Qualche dubbio deve aver assalito anche le organizzatrici, le quali, con un tardivo ripensamento, annotano: «La manifestazione non è fatta per giudicare altre donne, o per dividere le donne in buone e cattive. I cartelli o striscioni ne terranno conto». Ma la divisione è nei fatti e nelle intenzioni, visto che ancora la De Gregorio titola il suo pezzo sull’appuntamento del 13: «Le altre donne», tracciando fin dall’inizio una linea di demarcazione insuperabile tra queste e quelle.
Care amiche di sinistra, fate la vostra manifestazione, ma non a nome delle donne, non trincerandovi dietro una definizione che dovrebbe essere inclusiva e che invece viene utilizzata per legittimare un’esplicita parzialità. Dite con chiarezza che tutto questo è finalizzato solo a dare una spallata al governo, e a offrire sostegno alle tesi accusatorie della Procura di Milano. Sarà la solita piazza antiberlusconiana, che trova un nuovo pretesto nelle intercettazioni, ma non allarga la riflessione a nient’altro: alle ragazze che fanno le cubiste in discoteca, alle giovanissime ribelli che escono ed entrano da comunità che dovrebbero essere protette, alle immigrate che cercano vie d’uscita a una cultura soffocante, alla libertà male intesa e male utilizzata, ai modelli che la cultura contemporanea propone alle donne. Accusate la «ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità», dite che «una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni», ma di quale cultura si parla, e chi ne ha la responsabilità?
È la cultura che la sinistra ha sempre promosso: quella dei diritti individuali sganciati dai doveri, del sesso scisso dalla relazione e dall’affettività, quella della pillola del giorno dopo distribuita alle minorenni, e così via. La cultura dell’autodeterminazione assoluta, sia quando si tratta di eutanasia, sia quando si tratta di scelte sessuali, dell’uso del corpo, del modello di famiglia. Persino sull’uso dell’immagine femminile, solo Giuliano Ferrara abolì le donne nude dalla copertina del settimanale che dirigeva, strada mai più seguita da altri.
Se vogliamo davvero difendere la dignità delle donne sempre e ovunque, perché non c’è stato un coro di proteste femminili per la giornalista Anna Maria Greco, spogliata e perquisita essendo una semplice testimone e non un’indagata? Anna Maria è una donna come quelle che esalta la De Gregorio, una che si alza la mattina per portare i figli a scuola e per lavorare, eppure è stata trattata senza rispetto, e senza alcuna necessità: come se davvero fosse preoccupazione della procura che la giornalista potesse nascondere una pen drive nel pigiama da notte. Ma temo che tutto questo sdegno sia solo l’ultima, e meno credibile, versione della superiorità morale della sinistra, che un tempo accusava la Chiesa di dare troppo spazio ai peccati sessuali e oggi l’accusa del contrario, e spinge la propria strumentalità fino a difendere una morale in cui non crede.
La prima cosa che ho imparato allora è che bisognava negarsi agli schemi che dividevano le donne secondo i vecchi ruoli assegnati dalla cultura maschile. Maschere che non ci appartengono mai completamente, ruoli prefissati in cui ognuna si può calare per sempre o per poco, ma senza mai una totale identificazione, senza mai sentirsi perfettamente a proprio agio. Una donna non è solo angelo del focolare né solo prostituta: se c’è qualcosa su cui il femminismo è stato compatto, è il rifiuto della divisione tra donne perbene e permale, obbedienti e ribelli, pudiche o trasgressive, spose felici o - come si diceva allora - acide zitelle.
L’appuntamento in piazza del 13 febbraio, invece, rischia di essere proprio questo: una manifestazione di alcune donne contro altre donne. Quelle che passeggiano sui tacchi delle Manolo (le scarpe di Manolo Blahnik, le borse firmate e gli occhiali da sole sembrano essere la bestia nera di Concita De Gregorio) e quelle che vanno a lavorare la mattina, quelle che «si vendono» e quelle che mai e poi mai, quelle che aspirano al fidanzato ricco e potente, e quelle che escono con un uomo solo se sanno che è senza un soldo. Riproporre queste classificazioni è un grande passo indietro per le donne, che le riporta a categorie davvero remote, se persino nei romanzi dell’800 in ogni prostituta c’era, nascosto, un cuore grande e generoso, una maternità segreta, una sofferenza femminile.
Qualche dubbio deve aver assalito anche le organizzatrici, le quali, con un tardivo ripensamento, annotano: «La manifestazione non è fatta per giudicare altre donne, o per dividere le donne in buone e cattive. I cartelli o striscioni ne terranno conto». Ma la divisione è nei fatti e nelle intenzioni, visto che ancora la De Gregorio titola il suo pezzo sull’appuntamento del 13: «Le altre donne», tracciando fin dall’inizio una linea di demarcazione insuperabile tra queste e quelle.
Care amiche di sinistra, fate la vostra manifestazione, ma non a nome delle donne, non trincerandovi dietro una definizione che dovrebbe essere inclusiva e che invece viene utilizzata per legittimare un’esplicita parzialità. Dite con chiarezza che tutto questo è finalizzato solo a dare una spallata al governo, e a offrire sostegno alle tesi accusatorie della Procura di Milano. Sarà la solita piazza antiberlusconiana, che trova un nuovo pretesto nelle intercettazioni, ma non allarga la riflessione a nient’altro: alle ragazze che fanno le cubiste in discoteca, alle giovanissime ribelli che escono ed entrano da comunità che dovrebbero essere protette, alle immigrate che cercano vie d’uscita a una cultura soffocante, alla libertà male intesa e male utilizzata, ai modelli che la cultura contemporanea propone alle donne. Accusate la «ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità», dite che «una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni», ma di quale cultura si parla, e chi ne ha la responsabilità?
È la cultura che la sinistra ha sempre promosso: quella dei diritti individuali sganciati dai doveri, del sesso scisso dalla relazione e dall’affettività, quella della pillola del giorno dopo distribuita alle minorenni, e così via. La cultura dell’autodeterminazione assoluta, sia quando si tratta di eutanasia, sia quando si tratta di scelte sessuali, dell’uso del corpo, del modello di famiglia. Persino sull’uso dell’immagine femminile, solo Giuliano Ferrara abolì le donne nude dalla copertina del settimanale che dirigeva, strada mai più seguita da altri.
Se vogliamo davvero difendere la dignità delle donne sempre e ovunque, perché non c’è stato un coro di proteste femminili per la giornalista Anna Maria Greco, spogliata e perquisita essendo una semplice testimone e non un’indagata? Anna Maria è una donna come quelle che esalta la De Gregorio, una che si alza la mattina per portare i figli a scuola e per lavorare, eppure è stata trattata senza rispetto, e senza alcuna necessità: come se davvero fosse preoccupazione della procura che la giornalista potesse nascondere una pen drive nel pigiama da notte. Ma temo che tutto questo sdegno sia solo l’ultima, e meno credibile, versione della superiorità morale della sinistra, che un tempo accusava la Chiesa di dare troppo spazio ai peccati sessuali e oggi l’accusa del contrario, e spinge la propria strumentalità fino a difendere una morale in cui non crede.
* Sottosegretario al ministero della Salute
«Il Giornale» dell'8 febbraio 2011
Nessun commento:
Posta un commento